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Dichiarazione d’intenti falsa: onere del fornitore

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13959/2024, ha rigettato il ricorso di una società a cui era stata contestata la vendita di beni in sospensione d’IVA sulla base di una dichiarazione d’intenti falsa fornita da un cliente. La Corte ha stabilito che il fornitore ha un onere di diligenza e non può beneficiare dell’esenzione se dispone di elementi per sospettare dell’irregolarità. Inoltre, è stata confermata la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di indizi di reato e l’irrilevanza, nel giudizio tributario, di una eventuale sentenza di assoluzione penale per i medesimi fatti.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione d’Intenti Falsa: La Cassazione Conferma la Responsabilità del Fornitore

La gestione delle operazioni in sospensione d’IVA è un aspetto cruciale per molte aziende. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 13959 del 20 maggio 2024, ritorna su un tema di grande importanza: le conseguenze per un fornitore che accetta una dichiarazione d’intenti falsa. Il principio ribadito è chiaro: la semplice ricezione del documento non basta a esonerare da responsabilità; è necessario un comportamento diligente per verificare la buona fede del cliente. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne le implicazioni pratiche.

I Fatti del Caso: Cessioni in Sospensione d’Imposta e Accertamenti Fiscali

Una società operante nel settore della logistica e del commercio si è vista notificare diversi avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IVA relativi a più annualità. Le contestazioni dell’Agenzia delle Entrate riguardavano, tra le altre cose, l’errata applicazione del regime di non imponibilità IVA per cessioni a clienti che si erano qualificati come esportatori abituali. Secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali clienti non possedevano i requisiti di legge, rendendo di fatto la dichiarazione d’intenti falsa o, più precisamente, ideologicamente falsa.

Inoltre, l’Agenzia contestava l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti e, sulla base di sospetti di rilevanza penale delle condotte, applicava il raddoppio dei termini di accertamento.

La Commissione Tributaria Regionale aveva parzialmente accolto le ragioni della società, ma confermato le riprese fiscali relative alle operazioni in sospensione d’imposta. La società ha quindi proposto ricorso in Cassazione.

La Decisione della Corte sulla dichiarazione d’intenti falsa

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società, confermando la decisione dei giudici di merito e consolidando alcuni principi fondamentali in materia.

L’Onere di Diligenza del Fornitore

Il punto centrale della sentenza riguarda la responsabilità del fornitore. La Corte ha ribadito che, in caso di dichiarazione d’intenti falsa, il cedente non può beneficiare del regime di sospensione d’imposta se, usando la normale diligenza di un operatore economico accorto, avrebbe potuto o dovuto sospettare dell’irregolarità. Non è richiesta la prova di un accordo fraudolento, ma è sufficiente che il fornitore disponga di “elementi presuntivi” che mettano in dubbio la veridicità della dichiarazione e lo status di esportatore abituale del cliente. Grava sul fornitore un “onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere”.

L’Irrilevanza della Sentenza Penale di Assoluzione

Un altro motivo di ricorso si basava sull’assoluzione in sede penale del legale rappresentante della società per i medesimi fatti. La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, richiamando il consolidato principio dell’autonomia tra il giudizio penale e quello tributario. Una sentenza penale irrevocabile non ha autorità automatica di cosa giudicata nel processo tributario. Il giudice fiscale ha il potere e il dovere di valutare autonomamente le prove, inclusa la stessa sentenza penale, ma come un semplice elemento probatorio da confrontare con le altre risultanze processuali. Questo perché i criteri di valutazione della prova e la definizione dell’elemento soggettivo (dolo o colpa) possono differire nei due ordinamenti.

La Legittimità del Raddoppio dei Termini di Accertamento

Infine, la Corte ha confermato la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento. Secondo i giudici, questo meccanismo scatta in presenza di “seri indizi di reato” che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale. È irrilevante che la denuncia venga poi archiviata o che il processo si concluda con un’assoluzione, anche per mancato superamento della soglia di punibilità. L’obbligo di denuncia, che giustifica l’estensione dei termini, si fonda sulla situazione di sospetto esistente al momento dell’accertamento, non sull’esito del successivo giudizio penale.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su un’interpretazione rigorosa della normativa IVA, volta a prevenire abusi e frodi. Il beneficio della sospensione d’imposta è concesso a condizione che sia il cessionario (l’esportatore) sia il cedente (il fornitore) agiscano in buona fede e con la dovuta diligenza. La Corte sottolinea che la consapevolezza richiesta al fornitore non coincide con il dolo specifico del reato, ma si configura come la disponibilità di elementi tali da “indurre in sospetto un operatore economico accorto”. L’autonomia del giudizio tributario è un principio cardine che serve a garantire l’efficacia dell’azione accertatrice dello Stato, i cui presupposti sono indipendenti da quelli dell’azione penale. La ratio è quella di responsabilizzare tutti gli attori della catena economica, imponendo controlli che vanno al di là della mera acquisizione formale di un documento.

Le Conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante monito per tutte le imprese. Chi vende a esportatori abituali non può limitarsi a ricevere e archiviare la dichiarazione d’intenti. È fondamentale implementare procedure di controllo e due diligence sulla clientela, specialmente in presenza di nuovi rapporti commerciali o di anomalie. La decisione rafforza l’idea che la buona fede in ambito fiscale non è presunta, ma va dimostrata attraverso un comportamento attivo e diligente. L’esito di un eventuale procedimento penale offre una protezione limitata, poiché il Fisco conduce la sua partita su un campo con regole probatorie differenti e più stringenti per il contribuente.

Se un cliente mi fornisce una dichiarazione d’intenti per acquistare senza IVA, sono sempre protetto?
No. Secondo la Cassazione, non sei protetto se disponi di elementi, anche presuntivi, che possano far sospettare l’irregolarità della dichiarazione. Grava sul fornitore un onere di diligenza per adottare misure ragionevoli di controllo sulla veridicità dello status di esportatore abituale del cliente.

Un’assoluzione in un processo penale per reati fiscali annulla automaticamente l’accertamento tributario basato sugli stessi fatti?
No. Il processo tributario è autonomo da quello penale. La sentenza penale di assoluzione, anche se irrevocabile, non ha autorità di cosa giudicata nel giudizio tributario e viene considerata dal giudice fiscale solo come un elemento di prova, da valutare insieme a tutti gli altri atti del processo.

L’Agenzia delle Entrate può raddoppiare i termini per un accertamento anche se alla fine non viene accertato un reato penalmente rilevante?
Sì. Il raddoppio dei termini è legittimo se, al momento dell’accertamento, esistono seri indizi di un reato che obbligano l’Amministrazione Finanziaria a presentare denuncia penale. L’esito del successivo procedimento penale (ad esempio, un’archiviazione o un’assoluzione) non incide sulla legittimità originaria dell’estensione dei termini.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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