Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33489 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33489 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6536/2023 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F. P_IVA), in persona del liquidatore pro tempore, quale socio accomandatario di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione (C.F.: P_IVA), cancellata dal registro delle imprese in data 11.01.2023, rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di
–
Oggetto:
tributi
IVA – dichiarazione
di intento – diligenza
procura speciale in calce al controricorso, elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC del difensore
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, n. 6209/18/22 depositata in data 20 settembre 2022 Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella camera di consiglio del 5 novembre 2024.
RILEVATO CHE
La società contribuente NOME RAGIONE_SOCIALE in Liquidazione, già NOME RAGIONE_SOCIALE, ha impugnato un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2005 con il quale, a seguito di PVC -per quanto qui ancora rileva – si accertava l’indebita emissione di fatture in esenzione di imposta ex art. 8 d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, operazioni ritenute soggettivamente inesistenti in quanto effettuate nei confronti di soggetti privi di organizzazione. Le fatture in oggetto, come emerge dalla sentenza impugnata, erano state emesse a termini dell’art. 50 -bis , comma 4, d.l. 30 agosto 1993, n. 331, quali cessioni di beni mediante introduzione in un deposito IVA, senza indicazione dell’IVA. Le cessioni venivano, pertanto, riqualificate come normali cessioni interne, attesa la natura fittizia del cessionario e conseguentemente assoggettate a IVA in capo al cedente, oltre sanzioni e accessori.
La CTP di Napoli ha rigettato il ricorso, con sentenza parzialmente accolta dalla CTR della Campania, che ha accolto l’appello della società contribuente in relazione alla deducibilità dei costi, respingendolo in punto IVA. La sentenza di appello è stata cassata con rinvio da questa Corte (Cass., Sez. V, 11 novembre 2021, n. 33310) per omessa pronuncia in relazione all’addebito relativo alle fatture emesse a termini dell’art. 8 d.P.R. n. 633/1972.
La CGT di secondo grado della Campania, con la sentenza qui impugnata, ha accolto l’appello della società contribuente, ritenendo che la società contribuente non fosse a conoscenza della natura di cartiera del cessionario della merce.
Propone ricorso per cassazione l’Ufficio, affidato a tre motivi, cui resiste con controricorso la società contribuente. La controricorrente ha depositato in data 22 ottobre 2024 istanza di interruzione del giudizio per intervenuta dichiarazione di liquidazione giudiziale in data 29 dicembre 2023 con sentenza n. 65/2023.
CONSIDERATO CHE
Va preliminarmente rigettata l’istanza di interruzione del giudizio per intervenuta dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale della controricorrente, posto che al giudizio di cassazione, dominato dall’impulso d’ufficio, non si applica l’istituto dell’interruzione del giudizio, come nel caso di sopravvenuto fallimento di una delle parti (Cass., Sez. U., 14 novembre 2003, n. 17295; Cass., Sez. I, 12 febbraio 2021, n. 3630; Cass., Sez. V, 17 marzo 2022, n. 8712; Cass., Sez. V, 3 agosto 2022, n. 24114), ovvero di apertura della liquidazione giudiziale (art. 143, comma 3, CCII).
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza e motivazione apparente, con violazione degli artt. 111, sesto comma Cost., 36, 53 e 54 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. Osserva parte ricorrente come la motivazione della sentenza impugnata appaia del tutto appiattita sui motivi della riassunzione dell’appello, senza alcuna indicazione delle deduzioni formulate dal l’Ufficio e, soprattutto, della supposta buona fede o diligenza dell’emittente. Evidenzia, inoltre, come appaia arbitrario distinguere l’elemento soggettivo nel caso di specie rispetto
al caso delle fatture di acquisto per operazioni soggettivamente inesistenti.
Il primo motivo è infondato, assorbendosi l’eccezione di inammissibilità articolata dal controricorrente, essendo il vizio di motivazione apparente predicabile solo in caso di incomprensibilità del percorso argomentativo che ha condotto la sentenza impugnata alla decisione (Cass., Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053). La sentenza impugnata, con una motivazione non cristallina ma comprensibile, ha ritenuto che gli elementi addotti dall’Ufficio a fondamento della consapevolezza dell’emittente di non essere con sapevole di avere preso parte a una frode IVA non fossero sufficienti, dovendosi operare una distinzione tra la diligenza richiesta in sede di utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti da quella richiesta in caso di emissione di fatture per le medesime operazioni, fittiziamente indirizzate verso un soggetto dichiaratosi esportatore abituale.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 8 d.P.R. n. 633/1972, dell’art. 50bis , comma 4 d.l. n. 331/93, in combinato disposto con gli artt. 2727, 2729, 2697 cod. civ. Osserva il ricorrente che la sentenza impugnata ha distinto il grado di diligenza del cessionario in caso di acquisto di beni per operazioni soggettivamente inesistenti dal caso dell’emittente (fornitore) che ceda fittiziamente beni in esenzione di imposta, che richiederebbe la prova di una effettiva partecipazione alla frode consumata dal cessionario o, quanto meno, un collegamento tra emittente e cessionario, per cui non avrebbe rilievo l’omessa verifica sull’effettivo possesso da parte del cessionario della qualifica di esportatore abituale. Osserva il ricorrente che, in questo caso, stante la pacifica falsità della dichiarazione di intento e l’esistenza di elementi di fatto che denotavano l’insussistenza dell’organizzazione del cessionario, la società contribuente non avrebbe
assolto all’onere di dimostrare di avere tenuto un comportamento improntato alla dovuta prudenza al fine di non incorrere nella partecipazione a una frode IVA.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi, costituito dall’assenza di organizzazione del cessionario , con conseguente falsità ideologica della dichiarazione di intento.
Il secondo e il terzo motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del motivo per difetto di specificità, essendo il motivo sufficientemente ancorato ai fatti e ai documenti di causa, nonché non essendo lo stesso volto a una revisione degli accertamenti in fatto, avendo ad oggetto una falsa applicazione della disciplina della consapevolezza di avere preso parte a una frode IVA.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle cessioni all’esportazione in regime di sospensione di imposta ex art. 8 d.P.R. n. 633/1972, se la dichiarazione d’intenti si riveli ideologicamente falsa, perché emessa da soggetto privo del requisito di esportatore abituale, al cedente non è consentito l’esercizio fraudolento del diritto di valersi del limite di esecutività correlato alla suddetta qualità di esportatore abituale qualora, anche in base ad elementi presuntivi, questi disponga di elementi tali da sospettare l’esistenza di irregolarità, gravando sul medesimo un onere di diligenza mediante l’adozione di tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass., Sez. V, 15 luglio 2020, n. 14979; Cass., Sez. V, 5 aprile 2019, n. 9586; Cass., Sez. V, Sez. 5, 5 ottobre 2016, n. 19896).
Questo principio è conforme alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, secondo cui -che si tratti di cessioni intracomunitarie di beni in applicazione dell’articolo 138 della direttiva IVA (CGUE, 25 ottobre 2018, C-528/17, punto 35), ovvero di cessione di cui all’articolo 143,
paragrafo 1, lettera d), direttiva IVA (CGUE, 20 giugno 2018, Enteco Baltic, C -108/17, punto 94), non è in contrasto con il diritto dell’Unione esigere da un operatore che egli agisca in buona fede, e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere per assicurarsi che l’operazione da esso effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione di tributi armonizzati (CGUE, 27 settembre 2007, Teleos e a., C -409/04, punto 65; CGUE, 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C -273/11, punto 48). Sicché, ove il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrasse in un’evasione posta in essere dall’acquirente e non abbia adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare l’evasione medesima, il beneficio dell’esenzione dev’essergli negato (CGUE, C-273/11, cit., punto 54).
9. Come correttamente dedotto dal ricorrente, non è consentito differenziare il grado di diligenza del cedente in caso di cessioni all’esportazione fittiziamente destinati a cessionari esteri, in realtà privi della qualità di esportatori abituali per falsità della dichiarazione di intento, rispetto al caso del cessionario che riceva da un cedente privo di organizzazione beni per i quali l’IVA a monte è destinata a non essere versata, dovendo questi adottare ogni cautela imposta dalla necessità di non incorrere nella compartecipazione a una frode IVA. In questo caso, il cedente deve usare ogni diligenza esigibile da un accorto operatore professionale al fine di verificare che il cessionario dei beni destinati all’esportazione sia effettivamente in possesso della qualifica di esportatore abituale, al fine di non incorrere in una frode IVA e di beneficiare dell’emissione di fattura senza indicazione, né pagamento dell’imposta.
10. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi e va cassata con rinvio al fine di verificare se nelle cessioni di merce ex art. 8 d.P.R. n. 833/1972 sia stata adottata la
massima diligenza esigibile da parte di un accorto operatore commerciale. Al giudice del rinvio è rimessa anche la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo, rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 5 novembre 2024