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Dichiarazione di intento falsa: doveri del cedente

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di una società di vendita auto, confermando la sua corresponsabilità in una frode IVA. La sentenza stabilisce che, in presenza di una dichiarazione di intento falsa da parte dell’acquirente, il venditore non può limitarsi a controlli formali come la verifica VIES. Deve adottare una diligenza sostanziale per accertare la reale affidabilità del cliente. In caso contrario, se gli indizi di frode erano conoscibili, il cedente risponde dell’imposta evasa e delle relative sanzioni, in quanto la sua negligenza lo rende partecipe all’illecito.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione di Intento Falsa: la Cassazione Definisce la Responsabilità del Cedente

Una recente sentenza della Corte di Cassazione affronta un tema cruciale per le imprese: la responsabilità del fornitore in caso di dichiarazione di intento falsa presentata da un cliente. Il caso, che ha coinvolto una nota società di vendita di automobili, ha permesso ai giudici di delineare con precisione i confini dell’onere di diligenza che grava sul cedente per non essere considerato complice in una frode IVA. La decisione sottolinea che i controlli meramente formali non sono sufficienti a tutelare l’impresa da pesanti sanzioni fiscali.

Il Caso: Cessioni a Esportatori Abituali e l’Accertamento Fiscale

Una società operante nel settore automobilistico ha impugnato un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate recuperava l’IVA relativa all’anno 2012. L’operazione contestata riguardava la vendita di veicoli a quattro società qualificatesi come ‘esportatori abituali’. Queste ultime avevano presentato delle dichiarazioni d’intento per acquistare i beni in regime di non imponibilità IVA. Tuttavia, secondo l’Amministrazione Finanziaria, tali dichiarazioni erano ‘ideologicamente false’ e parte di un meccanismo fraudolento. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano respinto i ricorsi della società, ritenendo che l’Ufficio avesse fornito prove indiziarie sufficienti a dimostrare la frode e che la società cedente non avesse adottato le cautele necessarie per verificare l’affidabilità dei suoi clienti.

I Motivi del Ricorso: Difesa del Cedente e Principio di Affidamento

La società venditrice ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su diversi motivi. In sintesi, lamentava:
* La violazione del diritto di difesa, poiché l’Amministrazione non aveva messo a disposizione tutti gli atti relativi alla presunta frode dei cessionari.
* L’errata applicazione delle norme sulle presunzioni, sostenendo che non vi fossero elementi sufficienti per presumere la sua ‘consapevolezza’ della frode.
* Il mancato riconoscimento del legittimo affidamento derivante dall’iscrizione dei clienti nel sistema VIES.
* L’illegittima applicazione delle sanzioni, che per legge dovrebbero gravare solo su chi rilascia la dichiarazione falsa.
* La violazione del principio di proporzionalità per l’entità delle sanzioni irrogate.

La Decisione della Cassazione sulla Dichiarazione di Intento Falsa

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali sull’onere di diligenza del cedente.

L’Onere di Diligenza Oltre i Controlli Formali

I giudici hanno stabilito che l’onere di diligenza e prudenza del venditore va ben oltre la semplice verifica formale, come il controllo dell’iscrizione al VIES. Di fronte a indici di anomalia (come il mancato deposito di bilanci, un improvviso cambio di oggetto sociale o una crescita esponenziale del fatturato senza un’adeguata struttura aziendale), il cedente deve condurre un’indagine più approfondita sulla reale situazione economico-imprenditoriale del cliente. Limitarsi a controlli formali, in presenza di tali ‘campanelli d’allarme’, configura una colpa che rende il cedente partecipe della frode.

La Responsabilità del Cedente e le Sanzioni

La Corte ha chiarito un punto fondamentale: il cedente non viene sanzionato per un fatto altrui (la falsa dichiarazione del compratore), ma per un fatto proprio. La sua responsabilità deriva dalla violazione del proprio onere di diligenza, che lo ha portato a partecipare, seppur inconsapevolmente in alcuni casi, a un’operazione fraudolenta che ha causato una perdita di gettito per l’Erario. Pertanto, l’applicazione dell’imposta e delle sanzioni è legittima in quanto riferita alla propria condotta negligente.

L’Irrilevanza della Dichiarazione di Intento Falsa ai Fini della Proporzionalità delle Sanzioni

Infine, la Cassazione ha respinto anche la censura relativa alla sproporzionalità delle sanzioni. I giudici hanno distinto il caso in esame da altre situazioni in cui le sanzioni erano state ritenute eccessive. In questo caso, la presenza di una frode conclamata, che ha determinato una perdita di gettito e una distorsione del mercato, giustifica pienamente la severità delle sanzioni applicate. Non sussistono, quindi, i presupposti per dubitare della proporzionalità della sanzione o per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano sul principio consolidato, sia a livello nazionale che europeo, secondo cui la lotta all’evasione fiscale giustifica l’imposizione di severi obblighi di diligenza agli operatori economici. La non imponibilità IVA non è un diritto automatico, ma è subordinata alla buona fede e all’adozione di tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che l’operazione non faccia parte di una frode. La Corte ha ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale avesse correttamente valutato gli elementi indiziari (mancato deposito di bilanci, cambio di oggetto sociale, crescita anomala dei ricavi) come sufficienti a dimostrare la ‘conoscibilità’ della frode da parte del cedente. L’iscrizione al VIES, in questo contesto, diventa un dato meramente formale e insufficiente a scagionare il fornitore. La responsabilità, quindi, non è oggettiva, ma scaturisce da una colpa specifica: non aver approfondito le anomalie evidenti dei partner commerciali.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per tutte le imprese. La gestione delle operazioni con esportatori abituali richiede un approccio proattivo e sostanziale, non meramente burocratico. La semplice ricezione di una dichiarazione di intento e una rapida verifica sul VIES non bastano. È necessario implementare procedure di controllo interno per valutare l’affidabilità concreta dei clienti, specialmente in presenza di segnali anomali. Ignorare questi segnali espone l’azienda al rischio di essere considerata corresponsabile di frodi fiscali, con conseguente recupero dell’imposta e l’applicazione di pesanti sanzioni. La diligenza è, ancora una volta, la migliore forma di tutela.

Cosa deve fare un’azienda per proteggersi se riceve una dichiarazione di intento da un cliente?
Oltre alla verifica formale della dichiarazione e dell’iscrizione al VIES, l’azienda deve esercitare una diligenza sostanziale. Deve valutare l’affidabilità economico-commerciale del cliente, prestando attenzione a indici di anomalia come recenti cambi di oggetto sociale, mancato deposito dei bilanci, o una sproporzione tra il volume d’affari e la struttura aziendale.

L’iscrizione del cliente nel sistema VIES è una garanzia sufficiente per il venditore?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’iscrizione al VIES è un elemento meramente formale e, da solo, è insufficiente a escludere la responsabilità del venditore. In presenza di altri indizi che suggeriscono una possibile frode, il venditore ha l’obbligo di effettuare controlli più approfonditi.

In caso di dichiarazione di intento falsa, il venditore è sempre responsabile per l’IVA e le sanzioni?
Il venditore è responsabile se viene provato che era a conoscenza della frode o che avrebbe dovuto conoscerla usando l’ordinaria diligenza. Se il venditore non ha adempiuto al suo onere di prudenza e non ha indagato su evidenti anomalie, viene considerato partecipe della frode per sua stessa negligenza e quindi risponde dell’imposta e delle sanzioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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