Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32432 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32432 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 8903/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 3367/2019 depositata il 21/08/2019.
Udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME all’udienza pubblica dell’11 giugno 2024.
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo con assorbimento dei restanti;
Uditi l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per il recupero di IVA per il 2012, relativa ad operazioni di cessione nei confronti di quattro esportatori abituali (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) ai sensi dell’art. 8 comma 1 lett. c) d.P.R. n. 633/1972, sul presupposto che la dichiarazione di intenti presentata da ciascuno di essi fosse ideologicamente falsa.
Il ricorso è stato rigettato dalla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Milano, e l ‘ appello della società è stato respinto dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Lombardia con la sentenza in epigrafe.
I Giudici d’appello hanno ritenuto che l’Ufficio avesse fornito elementi indiziari sufficienti comprovanti la frode, risultanti anche da dati ricavabili dalla Camera di commercio, mentre la cedente aveva adottato « cautele del tutto insufficienti per verificare l’affidabilità dei 4 cessionari », essendosi limitata ad effettuare controlli meramente formali.
La CTR ha evidenziato, con riguardo a ciascun cessionario, quanto segue: per la RAGIONE_SOCIALE l’avviso faceva riferimento al le segnalazioni trasmesse dalla Direzione Provinciale dell’Agenzia di Pordenone (prot. 59319/2016) e dalla Direzione Regionale del Veneto (prot. 20278/2012), di cui erano riportati i contenuti essenziali, in cui si evidenziava «la mancanza della documentazione amministrativo -contabile, nonché la irreperibilità della società e del
legale rappresentante»; anche per la RAGIONE_SOCIALE l’avviso riportava « i contenuti essenziali della segnalazione, indicata con il numero specifico di protocollo 59374/2016 », e richiamava « i risultati concreti dei dati della Motorizzazione dal 2011 al 2013 con riguardo alle peculiarità del commercio di autovetture, elementi che di per sé sono sufficienti ed esaustivi, al di là dei dati emergenti dall’anagrafe tributaria, a fornire la prova della frode»; quanto a RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, l’avviso di accertamento svelava « le caratteristiche della struttura e dell’operatività delle due concessionarie, ricavabili dai dati dei siti della Camera di Commercio, costituenti in modo univoco dell’esistenza di una frode».
Passando alla responsabilità della cedente, la CTR ha osservato che la ricorrente non aveva attivato gli accertamenti ben esperibili nella fattispecie concreta, tenuto conto delle dimensioni e della struttura organizzativa della RAGIONE_SOCIALE. L’esame delle risultanze del Registro delle imprese, secondo la CTR, avrebbe consentito di rilevare oggettive anomalie: mancato deposito di bilanci, gestione non affidabile derivante dal cambio di oggetto sociale (dal settore dell’edilizia o immobiliare al commercio di autoveicoli), aumento esponenziale dei ricavi della RAGIONE_SOCIALE
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione la società fondato su sei motivi, illustrati con memoria.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c, violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. nonché del diritto di difesa ex art. 47 della Carta fondamentale dell’Unione europea, per non avere l’Amministrazione
messo a disposizione della parte e del giudice di merito tutti gli atti relativi alle presunte frodi dei cessionari.
1.1. Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c. dell’art. 164 della direttiva 2006/112/CE, nonché dei principi espressi dalla giurisprudenza della CdGUE in relazione agli elementi idonei e rilevanti per sostenere la ‘presunzione di consapevolezza’ della frode del cessionario.
1.2. Con il terzo mezzo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione dell’art. 2697, 2727 e 2729 c.c. nonché dell’art. 35 commi 2, lett. e bis, 7 bis, 15 quater d. P.R. n. 633/1972 nonché dell’art. 22 del regolamento UE n. 904/2010 e del principio di proporzionalità enunciato dalla CGUE per avere la sentenza negato l’affidamento derivante dall’iscrizione del cessionario nel sistema VIES.
1.3. Con il quarto motivo si deduce «omesso esame della circostanza decisiva -ai fini della presunzione di ‘conoscibilità della frode’ compiuta dalla società RAGIONE_SOCIALE costituita dall’iscrizione delle medesime società sulla banca dati VIES».
1.4. Con il quinto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 5 commi 4, 6 commi 1, 4 e 5, nonché dell’art. 7 comma 3 d.lgs. n. 471/1997 per aver la CTR ritenuto applicabili al cedente le sanzioni tributarie (ai sensi dell’art. 5 comma 4 del d.lgs. n. 471/1997 per dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta, e dell’art. 6 commi 1, 4 e 5 del medesimo decreto, per infedele fatturazione di operazioni imponibili) espressamente escluse dalla legge, secondo cui per la falsa dichiarazione d’intenti la sanzione grava solo sul cessionario che ha rilasciato la dichiarazione ai sensi dell’art. 7 comma 3 del d.lgs. n. 471/1997.
1.5. Con il sesto motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. violazione del principio di proporzionalità della sanzione, così come delineato dalla Corte di giustizia UE, laddove la CTR non ha ritenuto la violazione del principio unionale di proporzionalità nell’irr ogazione di una sanzione pari al 180% dell’imposta (90% più 90% per ciascuna violazione sanzionata).
Il primo motivo è inammissibile e comunque infondato.
2.1. Con questo motivo si lamenta la mancata ostensione degli atti comprovanti la frode, nonostante i puntuali riferimenti della motivazione, per ciascun cessionario, a specifici accertamenti contenuti nell’avviso impugnato , ma la doglianza resta generica e non consente di individuare precisi profili di violazione dei principi unionali, espressi in particolare nella sentenza della Corte di giustizia, 16 ottobre 2019 C-189/18, Glencore, la quale non esclude « in linea di principio » l’utilizzabilità di atti dell’Amministrazione relativi a terzi.
2.2. Il diritto del contribuente all’accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato riguarda quelle che possano essere utili alla sua difesa (Corte giust., Glencore, cit., punto 54), ed è la stessa giurisprudenza eurounitaria ad affermare che il rispetto del diritto di difesa non costituisce una prerogativa assoluta, ma può essere assoggettato a restrizioni, in particolare in ambito tributario (Corte giust., 9 novembre 2017, Ispas , C-298/16, punto 35), ove occorre tutelare ulteriori interessi, come la vita privata di terzi e la stessa efficacia dell’azione repressiva, interessi meritevoli di tutela e che possano essere pregiudicati dall’accesso indiscriminato. E’ stato, quindi, affermato che « il principio del rispetto dei diritti della difesa, in un procedimento amministrativo non impone quindi all’amministrazione finanziaria un obbligo generale di fornire un accesso integrale al fascicolo di cui dispone, ma esige che il soggetto passivo abbia la possibilità di ricevere, a
sua richiesta, le informazioni e i documenti contenuti nel fascicolo amministrativo e presi in considerazione da tale amministrazione ai fini dell’adozione della sua decisione » (Corte giust., Glencore , cit., punto 56).
2.3. In tal senso è anche la giurisprudenza di questa Corte, che ha di recente ribadito come, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, il diritto di accesso alle informazioni sottostanti l’emissione dell’atto impugnato può essere esercitato solo se, e nella misura in cui, sia strumentale all’esercizio del diritto di difesa, che può dirsi violato ove il contribuente illustri come ed in che termini la tempestiva ostensione degli elementi di fatto a lui favorevoli, e non contenuti negli atti impositivi impugnati, avrebbe potuto influenzare l’esito dell’accertamento nei propri confronti (Cass. n. 36852 del 2022; Cass. n. 34044 del 2023).
2.4. Sotto questo profilo, va altresì considerato, a mente dello stesso diritto eurounitario, che il parametro di riferimento è costituito dal principio di effettività -in forza del quale le modalità procedurali interne « non devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione » -, principio che, tuttavia, come ribadito dalla Corte di Giustizia, « non esige che una decisione contestata, in quanto adottata in violazione dei diritti della difesa, sia annullata in tutti i casi. Infatti, una violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto giungere a un risultato diverso » (Corte giust. 4 giugno 2020 , SC C.F. SRL , C – 430/19, punti 35 e 37). Ciò si verifica ove il contribuente illustri come e in che termini, in mancanza di detta irregolarità e della conseguente compressione del diritto di difesa, il procedimento amministrativo, nel caso in cui
il diritto di difesa fosse stato rispettato, sarebbe potuto giungere a un risultato diverso (cd. « prova di resistenza », v. Corte giust., 3 luglio 2014, Kamino , C-129/13 e C-130/13, punti 78 e 79; Corte giust., 10 ottobre 2009, NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , C-141/08, punto 94; Corte giust., 10 settembre 2013, M.G. e N.R. , C-383/13, punto 38; Corte giust., 26 settembre 2013, Texdata Software , C- 418/11, punto 84).
2.5. La violazione del diritto di accesso alla documentazione non offerta tempestivamente in comunicazione dall’Ufficio, in quanto strumentale all’esercizio del diritto di difesa (ad es., in relazione agli elementi favorevoli al contribuente che non siano stati immediatamente resi noti), sussiste, pertanto, ove il tempestivo accesso a tali documenti e la loro valorizzazione in sede amministrativa avrebbe comportato un diverso esito nell’atto impositivo. In questo caso, invece, parte ricorrente lamenta genericamente la violazione del diritto di difesa rispetto a informazioni relative ai terzi cessionari e l’insufficienza degli elementi forniti dall’Ufficio per comprendere dinamica ed estensione delle frodi, ma non si confronta con i puntuali riferimenti all’avviso di accertamento contenuti in sentenza . In concreto osserva che ancora nel 2017 e 2018 i cessionari, descritti come autori di gravissime frodi, erano titolari di partita IVA e iscritti al VIES, circostanza che, secondo la ricorrente, « presuppone un rigoroso controllo di affidabilità fiscale » ed evidenzia una « contraddizione (..) meritevole di ulteriore indagine », denunciando così un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, che però è sindacabile in sede di legittimità solo per vizio di motivazione entro gli stretti limiti di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., n. 17313 del 2020; Cass. n. 23940 del 2017 ).
Il secondo, il terzo e il quarto motivo possono essere considerati unitariamente e anch’ essi sono inammissibili ovvero infondati.
3.1. Sono inammissibili perché sotto il paradigma della violazione di legge ovvero dell’omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c. -quest’ultimo comunque inammissibile per cd. ‘doppia conforme’ ( Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 5947 del 2023) – si tenta, in realtà, di rimettere in discussione l’accertamento in fatto svolto – dal giudice del merito. E’ inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, in quanto l’accertamento in fatto svolto dal giudice di merito è incensurabile nel giudizio di legittimità, se correttamente motivato (Cass., Sez. Un., n. 34476 del 2019). Con specifico riguardo al vizio di violazione di legge, poi, va osservato che esso consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015).
3.2. Le censure vanno comunque disattese perché la CTR ha fatto buon governo dei principi che regolano la materia.
3.2.1. Va premesso che costituiscono cessioni all’esportazione non imponibili ai fini IVA ex art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. 633/1972 quelle effettuate da un cedente a favore di soggetto esportatore abituale, purché corredate da dichiarazione di intento redatta dal cessionario sotto la propria responsabilità alla stregua del l’art. 1, comma 1, lett. c) del d.l. 29.12.1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla l. 27.2.1984, n. 17, come modificato dalla l. n.311 del 2004, secondo cui tale dichiarazione
deve essere consegnata o spedita al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell’effettuazione della operazione e, nella prima ipotesi, il cedente o prestatore deve comunicare all’Agenzia delle entrate, esclusivamente per via telematica entro il giorno 16 del mese successivo, i dati contenuti nella dichiarazione ricevuta. L’art. 7, comma 3, ultimo periodo del d.lgs. 18.12.1997, n. 471 prevede che qualora la dichiarazione sia stata rilasciata in mancanza dei presupposti richiesti dalla legge, dell’omesso pagamento del tributo rispondono esclusivamente i cessionari, i committenti e gli importatori che hanno rilasciato la dichiarazione stessa. Tale regola della imputazione della responsabilità in via esclusiva al cessionario è stata modificata dal successivo art. 1, comma 384 della l. 30.12.2004, n. 311, secondo cui « Chiunque omette di inviare, nei termini previsti, la comunicazione di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), ultimo periodo, del decretolegge 29 dicembre 1983, n. 746, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1984, n. 17, introdotto dal comma 381, o la invia con dati incompleti o inesatti, è responsabile in solido con il soggetto acquirente dell’imposta evasa correlata all’infedeltà della dichiarazione ricevuta ».
3.2.2. Va altresì sottolineato che la lotta contro eventuali evasioni, elusioni e abusi costituisce un obiettivo riconosciuto ed incoraggiato dalle direttive IVA (v. Corte giust., 29 aprile 2004, Gemeente Leusden e RAGIONE_SOCIALE, C-487/01 e C-7/02, punto 76; Corte giust., 21 giugno 2012, COGNOME e COGNOME, C-80/11 e C142/11; Corte giust. 8 maggio 2019, C-712/17, RAGIONE_SOCIALE, punto 31) che giustifica talvolta obblighi severi per il venditore (Corte giust., 27 settembre 2007, C409/04, Teleos, punti 58 e 61); quindi, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione
tributaria (v., sentenze Teleos e a., cit., punto 65, nonché COGNOME e COGNOME, cit., punto 54). Pertanto, « la non imponibilità ai fini IVA è subordinata alla dichiarazione scritta di responsabilità del cessionario sulla destinazione del bene fuori del territorio comunitario ed al possesso dei requisiti oggettivi e soggettivi previsti dall’art. 8 d.P.R. 633 del 1972, mentre la stessa viene meno ove si accerti che i beni non siano stati effettivamente esportati e che tale dichiarazione sia ideologicamente falsa, con la conseguenza che il cedente deve assolvere successivamente l’imposta su tali beni, salvo che risulti provato che egli abbia adottato tutte le misure ragionevoli in suo potere al fine di assicurarsi che la cessione effettuata non lo conducesse a partecipare alla frode» (Cass. n. 12751 del 2011; Cass. n. 7389 del 2012; Cass. n. 176 del 2015; Cass. n. 19896 del 2016). Il cedente, quindi, deve comunque dimostrare l’assenza di un proprio coinvolgimento nell’attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell’assenza delle condizioni legali per l’applicazione di detto regime di esenzione o di non essersene potuto rendere conto, pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in proprio potere (Cass. n. 14979 del 2020; Cass. n. 9586 del 2019); grava sul cedente un onere di diligenza, ed altresì di prudenza, onde prevedere e prevenire possibili illeciti ‘a valle’ che si accentua a fronte dell’emersione di indici di anomalia rispetto a prassi ordinarie -e deve avere riguardo ad effettività, operatività, serietà e solidità del cessionario, in guisa, sinteticamente, da ricavarne -attraverso un’indagine non limitata alle risultanze formali (con particolare riguardo ad esistenza e validità della partita IVA), ma estesa alla reale situazione economico-imprenditoriale (Cass. n. 22261 del 2024, in motivazione; v., in precedenza, Cass. n. 9851 del 2018 in tema di operazioni soggettivamente inesistenti).
3.2.3. In questo caso la CTR ha ritenuto raggiunta la prova della conoscibilità della frode da parte del cedente in via indiziaria,
sulla base delle risultanze del registro delle imprese. Non è stato valorizzato soltanto il mancato deposito dei bilanci ma sono state considerate pure le risultanze desumibili dai bilanci depositati: mancanza di struttura organizzativa, mancanza di dipendenti, esponenziale crescita di fatturato in assenza di struttura adeguata, mutamento radicale di oggetto sociale. La ricorrente sottopone a critica questi elementi considerandoli analiticamente, in violazione del modello cd. “atomistico-analitico” secondo cui il ragionamento presuntivo richiede una valutazione complessiva e globale che, alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale, congruenza espositiva, concordanza prevalente, possa condurre all’approdo della prova presuntiva del factum probandum (Cass. n. 19045 del 2022; Cass. n. 9054 del 2022). Va considerato, inoltre, che, ai fini del soddisfacimento dell’onere probatorio dell’Ufficio, non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità, con riferimento a una connessione probabile di accadimenti in base a regole di esperienza (Cass. n. 13807 del 2019; Cass. n. 4168 del 2018; Cass. n. 17833 del 2017; Cass. n. 25129 del 2016; già Cass. sez. un. n. 9961 del 1996); la prova può ritenersi raggiunta se l’Amministrazione fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova “certa” e incontrovertibile di ogni operazione e dettaglio ma è sufficiente che gli elementi forniti dall’Amministrazione si riferiscano anche solo ad alcune fatture o circostanze rilevanti (arg. ex Cass. n. 9851 del 2018).
3.2.4. In presenza di quei dati sostanziali, elementi meramente formali, quali la titolarità di partita IVA ovvero l’iscrizione al c.d. VIES, che svolge la sua funzione informativa con riguardo alle
operazioni intracomunitarie (Cass. n. 30696 del 2021), non possono che essere insufficienti (cfr. Cass. n. 20575 del 2011).
Da quanto sopra osservato, in particolare in ordine alla responsabilità del cedente in caso di dichiarazioni di intenti ideologicamente false, risulta infondato anche il quinto motivo. Il cedente non risponde di un fatto altrui ma di un fatto proprio: in sostanza, risponde dell’IVA per essersi reso partecipe, in violazione di un onere di diligenza, di una frode che ha determinato una perdita di gettito, riconoscendo l’esenzione IVA ad operazioni che dovevano, invece, considerarsi imponibili, e le sanzioni sono applicate con riferimento a violazioni ad esso riferibili.
Quanto al sesto motivo, la ricorrente sottolinea che vi sarebbe violazione del principio di proporzionalità, dato l’automatismo sanzionatorio , e irragionevole disparità di trattamento con riferimento alla più grave violazione della dolosa detrazione di imposta. Si chiede, laddove non si possano disapplicare le norme in questione, la sospensione del giudizio con rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia affinché si valuti la compatibilità con il principio di proporzionalità delle sanzioni applicate nella presente fattispecie.
5.1. La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha calato il principio di proporzionalità nella materia delle sanzioni, affermando che esse non debbano eccedere quanto necessario per conseguire gli obiettivi di garantire l’esatta riscossione dell’IVA e di evitare l’evasione (v., in tal senso, Corte giust., 8 maggio 2008, Ecotrade, C-95/07 e C-96/07, punti da 65 a 67; Corte giust., 12 luglio 2012, EMS-Bulgaria Transport, C-284/11, punto 67). Al fine di valutare se una sanzione sia conforme al principio di proporzionalità, occorre tener conto, in particolare, della natura e della gravità dell’infrazione che detta sanzione mira a penalizzare, nonché delle
modalità di determinazione dell’importo della sanzione stessa (così Corte giust., 17 luglio 2014, Equoland, C-272/13, punto 35).
5.2. « In considerazione dell’entità della percentuale fissata per la maggiorazione prevista dalla normativa nazionale e dell’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie, non è escluso che tale modalità di determinazione dell’importo della sanzione, e dunque la parte corrispondente della medesima, possa rivelarsi sproporzionata» (v. Corte giust., Equoland cit., punto 45; v. anche Corte giust., 19 luglio 2012, Rēdlihs, C -263/11, punti 45 e 52), I n questi casi di determinazione della sanzione « in modo automatico » il principio di proporzionalità viene in rilievo, in particolare, « in assenza di indizi di frode » oppure quando la violazione « non ha dato luogo ad alcuna perdita di gettito fiscale » ovvero sussistono « circostanze particolari che, secondo tale giudice, meritino di essere prese in considerazione » (Corte giust. 15 aprile 2021, in C -935/19, COGNOME, punti 33 e 35).
5.3. Nell’ordinamento interno si ribadisce che il principio di proporzionalità implica la commisurazione della gravità del trattamento sanzionatorio all’effettivo pregiudizio subito dall’erario e alla pericolosità della condotta tenuta in relazione all’esercizio di un’efficace azione di controllo (Cass. sez. un. n. 13145 del 2022, par. 13.1.); in tema di IVA, questa esigenza ha condotto alla disapplicazione della norma sanzionatoria quando le modalità di determinazione, non consentendo la possibilità di adeguarla alle circostanze specifiche del singolo caso, risultano eccedenti quanto necessario per assicurare l’esatta riscossione dell’Iva ed evitare l’evasione, come nel caso in cui sia fissato un limite minimo (Cass. n. 14767 del 2015; Cass. n. 23506 del 2018; Cass. n. 1830 del 2019); è intervenuta anche la Corte costituzionale che ha suggerito il ricorso al potere di riduzione delle sanzioni di cui al l’art. 7, comma 4, del d.lgs. n. 472 del 1997, al fine di una risposta
rispettosa del principio di proporzionalità, quando « risultino allegate circostanze tali da consentirlo» (Corte cost. n. 46/2023).
5.4. Si trattava di casi in cui il danno per l’ Erario era assai limitato, emergendo essenzialmente come pregiudizio all’attività di controllo, e non vi era alcun indizio di frode: – violazione di obblighi formali di contabilità e dichiarazione in relazione ad un diritto di detrazione, del quale non erano contestati i requisiti sostanziali (Cass. 14767 del 2015); – illegittimo computo in detrazione di IVA con successiva variazione ex art. 26, comma 3, d.P.R. n.633/1972 che aveva eliso l’evasione di imposta lasciando le irregolarità contabili (Cass. n. 1830 del 2018); -riporto in dichiarazione di credito di imposta non dovuto ma non utilizzato (Cass. n. 23506 del 2018). Nel caso sottoposto al giudice delle leggi, poi, si trattava di sanzione applicata per omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale da parte della consolidante, che aveva presentata la propria, così come le consolidate, e aveva comunque pagato le imposte dovute, con interessi e sanzioni ridotte avvalendosi del ravvedimento operoso, prima dell’accertamento.
5.5. Invece nel caso in esame ricorre una frode, che ha determinato perdita di gettito con riguardo alle cessioni in oggetto e i cui effetti pregiudizievoli per l’Erario si estendono alle successive cessioni ‘a valle’ , perché i beni, grazie al risparmio di imposta sulle prime rivendite, possono essere ceduti ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Anche il confronto con la dolosa indebita detrazione IVA non appare significativo, essendo ben più grave il pregiudizio per l’Erario nella fattispecie in esame , proprio perché non limitato ad una singola operazione. Se, in termini astratti, l’automatismo derivante dalla previsione di una sanzione minima può confliggere con il principio di proporzionalità, in questo caso non si ravvisano elementi oggettivi cui ancorare il dubbio di non proporzionalità della sanzione minima applicata per le violazioni
accertate. Mancano, quindi, anche le condizioni per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia.
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 8.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.