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Dichiarazione di intenti: sanzioni e oneri probatori

Un’impresa di costruzioni di imbarcazioni si è opposta a un avviso di accertamento per operazioni in esenzione IVA. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4383/2025, ha chiarito che la mancata presentazione della dichiarazione di intenti integra la violazione e giustifica la sanzione, anche se le operazioni di esportazione sono effettive. Il caso è stato rinviato al giudice di secondo grado per una nuova valutazione su questo e altri punti omessi nella precedente sentenza.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione di Intenti: Sanzioni e Onere della Prova in Cassazione

L’esenzione IVA per gli esportatori abituali è un meccanismo fondamentale per il commercio internazionale, ma è subordinato a precisi adempimenti formali. La dichiarazione di intenti è il documento cardine di questo sistema. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4383/2025) ha ribadito la rigidità delle regole, chiarendo che la semplice omissione del documento è sufficiente a far scattare le sanzioni, indipendentemente dalla reale natura delle operazioni. Analizziamo insieme questa importante decisione.

Il Caso: Una Disputa sulle Imbarcazioni da Diporto

Il titolare di un’impresa di costruzioni di imbarcazioni da diporto e sportive impugnava un avviso di accertamento relativo all’anno 2009. L’Agenzia delle Entrate contestava l’applicazione del regime di non imponibilità IVA su alcune operazioni, a causa della mancanza o irregolarità di diverse dichiarazioni di intento.

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari davano ragione al contribuente. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale sosteneva che l’Ufficio avesse contestato solo l’aspetto formale della trasmissione della dichiarazione, e non la reale effettività delle esportazioni. Di conseguenza, riteneva non applicabile la pesante sanzione prevista dall’art. 7 del d.lgs. 471/1997. L’Agenzia delle Entrate, non soddisfatta, ricorreva in Cassazione, basando il suo appello su tre motivi.

I Motivi del Ricorso e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso presentati dall’Agenzia, accogliendone due e dichiarandone uno inammissibile.

La Sanzione per la Dichiarazione di Intenti Mancante

Il primo motivo, ritenuto fondato, riguardava la violazione dell’art. 8 del d.P.R. 633/1972. L’Agenzia lamentava che, a fronte di nove dichiarazioni contestate, il contribuente ne avesse esibite solo due. La Corte ha colto l’occasione per ribadire un principio cruciale: la sanzione per operazioni in regime di sospensione d’imposta si applica non solo quando mancano i presupposti sostanziali (cioè l’effettiva esportazione), ma anche in caso di totale assenza della dichiarazione di intenti. La mancanza del documento, anche solo per alcune delle operazioni contestate, integra di per sé la violazione e giustifica l’applicazione della sanzione.

Inammissibilità del Motivo sulla Valutazione dei Fatti

Il secondo motivo, con cui l’Agenzia denunciava l’omesso esame del fatto che fossero state prodotte solo due dichiarazioni su nove, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha applicato il principio della cosiddetta “doppia conforme”. Poiché sia la sentenza di primo grado che quella d’appello erano giunte a una conclusione favorevole al contribuente basandosi sulle stesse ragioni di fatto, il ricorso su questo punto era precluso. Spettava al ricorrente, in questi casi, dimostrare che le ragioni fattuali delle due decisioni fossero diverse, onere che l’Agenzia non ha assolto.

L’Omessa Pronuncia sulla Natura delle Imbarcazioni

Il terzo motivo, anch’esso accolto, verteva sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. (principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato). L’Agenzia aveva sollevato in appello la questione specifica dell’inapplicabilità dell’esenzione IVA per le imbarcazioni da diporto, destinate a fini sportivi e ricreativi, escluse dalla norma di favore (art. 8-bis D.P.R. 633/1972). La Commissione Tributaria Regionale aveva completamente ignorato questo punto. La Cassazione ha ravvisato in ciò un vizio di “omessa pronuncia”, cassando la sentenza e rinviando la causa al giudice del merito affinché si esprima sulla questione.

Le Motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano su una netta distinzione tra vizi formali e sostanziali. Per quanto riguarda la dichiarazione di intenti, la sua esistenza è un presupposto essenziale per accedere al regime di non imponibilità. La sua assenza non è una mera irregolarità formale, ma una mancanza che impedisce al Fisco di effettuare i dovuti controlli preventivi. Pertanto, la sanzione è pienamente giustificata. Sul piano processuale, la Corte ha applicato con rigore le regole sull’ammissibilità dei ricorsi, ribadendo l’onere della prova a carico di chi invoca il superamento della “doppia conforme” e sanzionando l’inerzia del giudice d’appello che omette di pronunciarsi su una specifica doglianza.

Le Conclusioni

La decisione della Cassazione offre due importanti lezioni. La prima, per le imprese, è che gli adempimenti formali in materia fiscale, come la corretta gestione delle dichiarazioni d’intento, non sono un optional. L’assenza di questi documenti può costare cara, anche se le operazioni sottostanti sono legittime. La seconda, di natura processuale, conferma che il processo tributario ha regole precise: ogni motivo di appello deve ricevere una risposta specifica dal giudice, pena l’annullamento della sentenza per omessa pronuncia. La causa torna ora alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, che dovrà riesaminare il caso attenendosi ai principi stabiliti dalla Suprema Corte.

Quando si applica la sanzione per operazioni senza IVA basate su una dichiarazione di intenti?
Secondo la Corte, la sanzione si applica non solo quando mancano i presupposti sostanziali per l’esenzione (cioè la cessione non è una vera esportazione), ma anche nel caso di totale assenza della dichiarazione di intenti, poiché questo documento è un requisito fondamentale per l’accesso al beneficio.

Cosa significa “doppia conforme” e come influisce sul ricorso in Cassazione?
È un principio processuale secondo cui, se i giudici di primo e secondo grado emettono sentenze con la stessa decisione basata sulle medesime ragioni di fatto, non è possibile impugnare la sentenza d’appello in Cassazione per un presunto errore nella valutazione dei fatti. Per superare questo sbarramento, il ricorrente deve dimostrare che le ragioni fattuali delle due sentenze erano diverse.

Quali sono le conseguenze se un giudice d’appello non decide su uno specifico punto sollevato da una parte?
Si verifica un vizio di “omessa pronuncia”, che viola il principio di corrispondenza tra quanto richiesto dalle parti e quanto deciso dal giudice. Tale vizio comporta l’annullamento (cassazione) della sentenza, con rinvio della causa a un altro giudice affinché si pronunci sul punto omesso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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