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Dichiarazione di intenti: IVA non imponibile anche se tardiva

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6258/2025, si è pronunciata su un caso di accertamento fiscale. Ha respinto i motivi di ricorso relativi alla deducibilità dei costi e all’uso di presunzioni da parte dell’Agenzia delle Entrate, ma ha accolto quello sull’imponibilità IVA. La Corte ha stabilito che la ricezione tardiva della dichiarazione di intenti da parte del fornitore non preclude l’applicazione del regime di non imponibilità IVA, a condizione che sussistano tutti i presupposti sostanziali che caratterizzano la cessione all’esportazione.

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Pubblicato il 17 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione di intenti: la Cassazione fa chiarezza sull’IVA nelle esportazioni

L’ordinanza n. 6258/2025 della Corte di Cassazione affronta temi cruciali per le imprese, tra cui la deducibilità dei costi e il regime IVA per gli esportatori abituali. Una decisione che ribadisce l’importanza della sostanza sulla forma, soprattutto riguardo alla dichiarazione di intenti. Il provvedimento chiarisce che la ricezione tardiva di tale documento non compromette il diritto alla non imponibilità IVA, a patto che siano rispettati tutti i requisiti sostanziali.

I fatti di causa

La vicenda nasce da una verifica fiscale a carico di una società italiana per gli anni 2013, 2014 e 2015. A seguito della verifica, l’Agenzia delle Entrate notificava un avviso di accertamento per il 2014, contestando la deducibilità di costi per oltre 480.000 euro, ritenuti non inerenti, e recuperando l’IVA su operazioni considerate erroneamente non imponibili. La società contribuente impugnava l’atto davanti alla Commissione Tributaria Provinciale, che respingeva in parte il ricorso. La decisione veniva confermata anche in appello dalla Commissione Tributaria Regionale, spingendo la società a ricorrere in Cassazione.

I motivi del ricorso e la questione della dichiarazione di intenti

Il ricorso della società si fondava su tre motivi principali:
1. Violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato: la società sosteneva che i giudici di merito avessero dichiarato indeducibili i costi per ragioni (duplicazione) non contestate dall’Ufficio, che si era limitato a metterne in discussione la riferibilità alla casa madre.
2. Errata applicazione delle presunzioni: secondo la ricorrente, la Corte di giustizia tributaria aveva basato la propria decisione su un unico indizio (prezzo di vendita maggiorato), insufficiente a costituire una presunzione grave, precisa e concordante.
3. Violazione della normativa IVA: il punto cruciale riguardava l’esclusione del regime di non imponibilità per le cessioni a esportatori abituali. I giudici di merito avevano negato il beneficio perché la dichiarazione di intenti era stata ricevuta dalla società fornitrice dopo l’emissione delle fatture.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato i primi due motivi, confermando la correttezza dell’operato dei giudici di merito. Sul primo punto, ha chiarito che non vi è stata alcuna violazione, poiché la decisione si è concentrata sull’inerenza dei costi relativi all’attività della casa madre. Sul secondo, ha ribadito che l’onere di provare l’inerenza dei costi grava sul contribuente e che, in assenza di prove, la valutazione dell’Amministrazione finanziaria, basata su presunzioni logiche (come la maggiorazione del prezzo per remunerare servizi di magazzinaggio), è legittima.

Il vero punto di svolta si trova nell’accoglimento del terzo motivo, quello relativo alla dichiarazione di intenti. La Corte ha affermato un principio fondamentale: in materia di IVA, il regime di non imponibilità per le cessioni all’esportazione può essere legittimamente applicato anche se la dichiarazione di intenti viene ricevuta dopo l’effettuazione dell’operazione. Ciò che conta è che il cedente (il fornitore) dimostri la sussistenza di tutti i presupposti di fatto che caratterizzano la cessione. La circostanza che le lettere di intenti siano state ricevute in data successiva all’emissione delle fatture non è, di per sé, sufficiente a escludere il regime di favore.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e ha rinviato la causa alla Corte di giustizia tributaria della Lombardia per un nuovo esame. Questa decisione rafforza un orientamento che privilegia la sostanza sulla forma. Per le imprese che operano con l’estero, significa che un adempimento formale tardivo, come la ricezione della dichiarazione di intenti, non pregiudica automaticamente un diritto sostanziale come la non imponibilità IVA, a condizione che sia possibile provare inequivocabilmente la natura dell’operazione come cessione a un esportatore abituale. La sentenza sottolinea l’importanza per le aziende di mantenere una documentazione completa e accurata a supporto delle proprie operazioni, poiché è su quella che si gioca la prova della legittimità del proprio operato fiscale.

La ricezione tardiva di una dichiarazione di intenti fa perdere il diritto alla non imponibilità IVA?
No. Secondo la Corte di Cassazione, il regime di non imponibilità IVA può essere applicato anche se la dichiarazione di intenti viene ricevuta dopo l’emissione della fattura, a condizione che il fornitore possa dimostrare che tutti i presupposti sostanziali per la cessione all’esportazione erano presenti al momento dell’operazione.

Su chi ricade l’onere di provare che un costo è deducibile?
L’onere della prova grava sempre sul contribuente. È l’azienda che deve dimostrare e documentare l’esistenza, la natura e l’inerenza del costo, ovvero il suo collegamento diretto con l’attività d’impresa e la sua finalità di generare ricavi.

Può l’Agenzia delle Entrate basare un accertamento su presunzioni?
Sì. L’Amministrazione finanziaria può utilizzare presunzioni per accertare un maggior reddito, a condizione che queste siano gravi, precise e concordanti. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto legittima la presunzione che la maggiorazione del prezzo di vendita dei beni da parte della casa madre rappresentasse la remunerazione per servizi di logistica, in assenza di prove contrarie fornite dal contribuente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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