Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 6258 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 6258 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15952/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dal l’ avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata presso il suo studio in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 70/2023, depositata il 10 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Nel 2018 l’Agenzia delle entrate – Direzione Provinciale di Lecco – redigeva un processo verbale di constatazione a carico della società RAGIONE_SOCIALE a chiusura di una verifica fiscale relativa agli anni di imposta 2013, 2014 e 2015. Successivamente, la società presentava memoria ex art. 12, l . 212/2000 e l’Ufficio notificava invito a comparire per attivare la procedura di accertamento con adesione. Al termine del procedimento, la società si avvaleva del ravvedimento operoso ex art. 13, co. 1, lett. b) quater , d.lgs. n. 472/1997, limitatamente ad alcuni rilievi relativi al 2014 presenti nel processo verbale di constatazione (n. 4, 5 e 6 della sezione Ires e Irap), manifestando la volontà di non procedere alla definizione dei restanti. Nel 2019, l’Ufficio notificava alla società avviso di accertamento n. T9P031Q00957/2019 per il recupero a tassazione per l’anno di imposta 2014 di importi pari a: euro 878.000,00, quali maggiori componenti impositivi ex art. 110, co. 7, TUIR; euro 483.231,00, quali costi non inerenti ex art. 109 TUIR; euro 106.310,82, quale IVA indetraibile per effetto della non inerenza; euro 35.236,29, quale IVA erroneamente non addebitata in violazione dell’art. 8, co. 1, lett. c) d. P.R. 633/1972.
Avverso l’avviso di accertamento, la RAGIONE_SOCIALE proponeva ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale di Lecco.
L’Ufficio si costituiva in giudizio, confermando la legittimità del suo operato.
La Commissione tributaria provinciale di Lecco, con sentenza n. 92/2021, dichiarava cessata la materia del contendere relativamente alla parte di accertamento interessato dalla procedura di arbitrato internazionale e respingeva per la restante parte il ricorso.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello la contribuente. Si costituiva in giudizio l’Agenzia delle entrate.
La Corte di giustizia tributaria di II grado della Lombardia, con sentenza n. 70/2023, depositata in data 10 gennaio 2023, respingeva il ricorso.
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
L ‘Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, c. 1, n. 4, cod. proc. civ. e conseguente violazione dell’art. 109, TUIR, in relazione all’art. 360, c. 1, n. 3, cod. proc. civ., nonché violazione dell’art. 109, comma 5, TUIR, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Secondo quanto argomentato, la Corte di giustizia tributaria di II grado avrebbe deciso ultra petitum , affermando la duplicazione dei costi in difetto di contestazione da parte dell’Ufficio, che si sarebbe invece limitato a contestare la riferibilità dei costi alla casa madre. Inoltre, la pronuncia avrebbe violato l’art. 109, TUIR poiché i costi sostenuti dalla casa madre/fornitrice possono da questa discrezionalmente essere fatti gravare sulla controllata/cliente applicando un margine di ricarico, senza che sia censurabile l’indeducibilità del costo medesimo, trattandosi di insindacabili strategie imprenditoriali adottate dal contribuente. In ogni caso, con riguardo alla connessa statuizione con la quale la Corte di giustizia tributaria di II grado ha sancito la non inerenza dei costi in questione, risulta violata la disposizione che regola il principio di inerenza, sussistendo invece tutti i presupposti per qualificare i costi medesimi come inerenti alla stregua di un giudizio qualitativo e in assenza di contestazioni da parte dell’Amministrazione
finanziaria in ordine a profili di antieconomicità, di incongruità o di violazione della normativa sulla determinazione dei prezzi di trasferimento.
1.1. -Il motivo è infondato.
Non sussiste alcuna violazione tra il chiesto e il pronunciato, avendo la pronuncia ritenuto , nel rispetto dell’art. 112 cod. proc. civ., che la contribuente non potesse dedurre fiscalmente i costi inerenti all’attività della casa madre proprietaria del magazzino e della merce ivi contenuta.
Inammissibili risultano le deduzioni riguardanti la valutazione degli elementi considerati dalla pronuncia per escludere l’ inerenza dei costi, mirando in realtà la parte a conseguire una rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie non consentita in sede di legittimità (Cass., Sez. V, 11 maggio 2022, n. 14893).
-Con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 cod. civ. e dell’art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600/1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Si denuncia, sul punto, che la Corte di giustizia tributaria avrebbe fondato il proprio convincimento sulla base di un mero elemento indiziario, che non assurge a presunzione qualificata, in quanto privo dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, nonché per erronea inversione dell’onere probatorio, che avrebbe dov uto gravare sull’ufficio . I giudici di appello, infatti, avrebbero erroneamente ritenuto di poter inferire un fatto ignoto (l’assorbimento delle spese di logistica nel prezzo di vendita) sulla base di un unico elemento (prezzo maggiorato di acquisto rispetto all’originario prezzo di vendita) in difetto dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanza. Inoltre, la Corte di giustizia tributaria avrebbe trascurato di verificare se tra detto fatto ignoto, presuntivamente accertato, e il fatto posto a suo fondamento esistesse quel legame di ‘ragionevole probabilità’ di cui si richiede la sussistenza.
2.1. -Il motivo è infondato.
In tema di imposte sui redditi delle società, la deducibilità di costi e oneri richiede la loro inerenza all’attività di impresa, da intendersi come necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale, escludendo quelli che si collocano in una sfera estranea ad essa, senza che si debba compiere alcuna valutazione in termini di utilità – anche solo potenziale ed indiretta secondo valutazione qualitativa e non quantitativa, la cui prova, in caso di contestazioni dell’amministrazione finanziaria, è a carico del contribuente, dovendo egli provare e documentare l’imponibile maturato e, quindi, l’esistenza e la natura del costo, i relativi fatti giustificativi e la sua concreta destinazione alla produzione, quale atto di impresa perché in correlazione con l’attività di impresa e non ai ricavi in sé (Cass., Sez. V, 18 agosto 2022, n. 24880).
In tema di prova per presunzioni, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità, con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull'”id quod plerumque accidit”. Ne consegue che, anche se il giudizio valutativo svolto dal giudice del merito sugli indizi è insindacabile, essendo il controllo di legittimità circoscritto alla verifica della correttezza logico giuridica del ragionamento seguito, tuttavia, in relazione all’utilizzo di massime o regole d’esperienza, anche in sede di giudizio di legittimità, si deve verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero ipotesi non fondate sull'”id quod plerum accidit” o regole generali prive di una sia pur minima
plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza (Cass., Sez. III, 25 maggio 2021, n. 14268).
Nel caso di specie, la pronuncia ha ritenuto che difettasse la prova dell’inerenza di un componente negativo di reddito, gravando il relativo onere probatorio sul contribuente. L’inerenza , in particolare, è stata esclusa, poiché il magazzino e la merce detenuta al suo interno erano di proprietà della casa madre, cui spettava anche la relativa gestione. Inoltre, la Corte di giustizia tributaria ha evidenziato che la contribuente non ha fornito alcuna prova idonea a contrastare l’assunto dell’Ufficio in merito alla considerazione che i prezzi di vendita dei beni da parte della casa madre alla consociata risultavano maggiorati rispetto a quelli di acquisto delle consociate stesse che ne sono produttrici e, pertanto, tale maggiorazione senza alcuna giustificazione riconducibile a lavorazioni effettuate sul prodotti – è stata ritenuta rappresentare la remunerazione dei servizi di magazzinaggio e spedizione della merce. Non sussiste, pertanto, alcune violazione delle norme richiamate nel motivo di censura, stante l’apprezzamento compiuto in sede di merito e la corretta applicazione della disciplina delle presunzioni.
3. -Con il terzo motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 1, d.l. n. 746 del 1983, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Secondo quanto prospettato, la Corte di giustizia tributaria di II grado avrebbe escluso l’applicazione del regime di non imponibilità IVA di cui all’art. 8, d.P.R. n. 633 del 1972 per il semplice fatto che le dichiarazioni d’intenti emesse dai cessionari sarebbero state consegnate alla odierna ricorrente in data successiva alla effettuazione delle operazioni, pur in assenza di contestazione in ordine all’esistenza e alle verid icità di esse dichiarazioni, che la società cedente ha peraltro regolarmente trasmesso all’Agenzia delle entrate.
3.1. -Il motivo è fondato.
In tema di IVA, il regime di cessione all’esportazione in sospensione d’imposta, di cui all’art. 8, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 633 del 1972 (vigente ratione temporis ), può essere legittimamente applicato dal cedente anche prima della ricezione della dichiarazione di intenti di cui all’art. 1, comma 1, lett. c), del d.l. n. 746 del 1983, conv., con modif., in l. n. 17 del 1984 (applicabile ratione temporis ), purché lo stesso dimostri la sussistenza di tutti i presupposti di fatto caratterizzanti detta cessione, in quanto derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria (Cass., Sez. V, 5 aprile 2019, n. 9586).
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, ai fini dell’esclusione dell’applicazione del regime di favore, non può essere attribuita alcuna rilevanza alla circostanza che le lettere di intenti emesse degli esportatori abituali siano state ricevute dalla società cedente in data successiva a quella di emissione delle fatture contestate.
-Il ricorso va dunque accolto in relazione al terzo motivo.
La sentenza va cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado territorialmente competente in diversa composizione per l’ulteriore esame.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo e il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione