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Dichiarazione del terzo: prova inammissibile in Cassazione

Un contribuente riceve un accertamento fiscale per ingenti somme accreditate sul suo conto dall’estero, a fronte di un reddito dichiarato molto basso. Si difende sostenendo si tratti di donazioni, producendo una dichiarazione del terzo erogante. L’Agenzia delle Entrate contesta la versione. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, dichiara inammissibile il ricorso del contribuente. La Corte stabilisce che la valutazione sull’attendibilità della dichiarazione del terzo è una questione di merito, non sindacabile in sede di legittimità, e non richiede una querela di falso.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione del terzo: non basta per provare una donazione

Quando si ricevono ingenti somme di denaro dall’estero, una semplice dichiarazione del terzo che afferma di averle donate a titolo di liberalità potrebbe non essere sufficiente per superare un accertamento fiscale. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito i limiti probatori di tale documento e chiarito che la valutazione sulla sua attendibilità spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità.

I fatti del caso: bonifici dall’estero e accertamento fiscale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a un contribuente per l’anno d’imposta 2013. L’Amministrazione Finanziaria aveva rilevato accrediti su un conto corrente per oltre 336.000 euro, provenienti dall’estero tramite otto bonifici, importo del tutto sproporzionato rispetto al reddito dichiarato dal contribuente, pari a circa 7.600 euro.

Per giustificare tali somme, il contribuente sosteneva che si trattasse di elargizioni liberali (donazioni) ricevute da una terza persona, producendo a supporto una dichiarazione scritta di quest’ultima. Tuttavia, sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado avevano respinto le sue ragioni, confermando la legittimità della pretesa fiscale.

Il percorso giudiziario e i motivi del ricorso

Giunto dinanzi alla Corte di Cassazione, il contribuente ha basato il suo ricorso su due motivi principali:
1. Violazione di norme processuali: Sosteneva che i giudici di merito avessero erroneamente ritenuto inattendibile la dichiarazione della terza persona. Secondo il ricorrente, per contestare la veridicità di quel documento, sarebbe stata necessaria una formale querela di falso, un procedimento riservato al giudice ordinario e non a quello tributario.
2. Violazione del diritto al contraddittorio: Lamentava che la corte di secondo grado avesse fondato la sua decisione su una questione – l’autenticità della dichiarazione – rilevata d’ufficio, senza prima dare alle parti la possibilità di discutere sul punto.

La valutazione della dichiarazione del terzo in Cassazione

La Corte Suprema ha dichiarato inammissibile il primo motivo, fornendo un chiarimento fondamentale sulla valenza probatoria della dichiarazione del terzo. I giudici hanno spiegato che il contribuente non stava contestando una violazione di legge, ma tentava di ottenere un nuovo esame dei fatti e delle prove, attività preclusa nel giudizio di legittimità.

La Corte ha precisato che la querela di falso è necessaria solo per atti pubblici o scritture private autenticate. Una semplice dichiarazione proveniente da un terzo, invece, non possiede un’intrinseca forza probatoria e può essere liberamente valutata dal giudice di merito quanto a credibilità e attendibilità, senza bisogno di procedure speciali.

L’inammissibilità del secondo motivo

Anche il secondo motivo è stato giudicato inammissibile. La Corte ha osservato che il ricorrente non aveva specificato quali argomentazioni difensive avrebbe potuto aggiungere se gli fosse stato concesso un termine per discutere sulla questione. Inoltre, la decisione dei giudici d’appello non si basava unicamente sulla veridicità della dichiarazione, ma sull’intero quadro probatorio e indiziario disponibile, che rendeva l’operazione finanziaria incompatibile con i redditi dichiarati.

Le motivazioni

La decisione della Suprema Corte si fonda sul principio consolidato che distingue nettamente il giudizio di merito da quello di legittimità. Il ricorso per cassazione non è un terzo grado di giudizio dove si possono rivalutare i fatti. Il suo scopo è controllare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso specifico, il ricorrente criticava l’apprezzamento delle prove operato dal giudice di secondo grado, un’attività che rientra pienamente nella sua discrezionalità. La Corte ha ribadito che il giudice di merito ha il potere di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e scegliere quelle che ritiene più idonee a dimostrare i fatti. Contestare questa valutazione significa chiedere un riesame del merito, inammissibile in Cassazione. La dichiarazione di un terzo è un semplice elemento di prova che il giudice può considerare, o scartare motivatamente, come qualsiasi altro indizio.

Le conclusioni

L’ordinanza ha importanti implicazioni pratiche per i contribuenti. Dimostra che, di fronte a un accertamento fiscale basato su movimentazioni bancarie anomale, non è sufficiente produrre una semplice dichiarazione scritta di un terzo per giustificare la natura non reddituale delle somme. Il Fisco e i giudici tributari possono legittimamente ritenerla inattendibile se non supportata da altri elementi concreti e coerenti. La decisione sottolinea inoltre i limiti del ricorso per cassazione: non è la sede adatta per rimettere in discussione l’interpretazione dei fatti data dai giudici dei primi due gradi. Infine, il contribuente non solo ha visto il suo ricorso respinto, ma è stato anche condannato a pagare le spese legali, una somma aggiuntiva per lite temeraria e un’ulteriore sanzione alla cassa delle ammende, a testimonianza della severità con cui viene trattato un ricorso ritenuto palesemente infondato.

Una dichiarazione scritta di un terzo è sufficiente per dimostrare che somme ricevute sono una donazione e non un reddito tassabile?
No. Secondo la Corte, una semplice dichiarazione di un terzo è un elemento di prova che il giudice può valutare liberamente. Se considerata inattendibile o in contrasto con altri elementi (come la sproporzione tra l’importo ricevuto e il reddito dichiarato), non è sufficiente a superare la presunzione di reddito derivante da movimentazioni bancarie.

È sempre necessaria una querela di falso per contestare la veridicità di un documento in un processo tributario?
No. La querela di falso è richiesta solo per documenti con una speciale forza probatoria, come gli atti pubblici o le scritture private con sottoscrizione autenticata. Per un documento proveniente da un terzo, come una semplice dichiarazione, non è necessaria e il giudice può valutarne liberamente la credibilità.

Si può fare ricorso in Cassazione se non si è d’accordo su come il giudice ha valutato le prove?
No. Il ricorso per cassazione serve a contestare errori di diritto (cioè l’errata applicazione di una norma di legge) o vizi logici della motivazione, non a ottenere un nuovo esame dei fatti o una diversa valutazione delle prove. L’apprezzamento del materiale probatorio è un compito riservato esclusivamente ai giudici di merito (primo e secondo grado).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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