Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 34360 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 34360 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/12/2024
Oggetto: Dichiarazione congiunta dei coniugi -Accertamento di maggiori redditi del marito -Conseguenze nei confronti della moglie – Decorrenza del termine di prescrizione.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8021/2016 R.G. proposto da
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, INDIRIZZO è domiciliata ex lege. – controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della C.T.R. Firenze, n. 91/2016, depositata il 26.1.2016 e non notificata.
Ascoltata la relazione svolta nella camera di consiglio del 17.09.2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE:
Con ricorso proposto alla Commissione tributaria provinciale di Pisa, i coniugi COGNOME e COGNOME NOME impugnavano gli
avvisi di accertamento – emessi nei confronti di entrambi, avendo questi presentato la dichiarazione congiunta ai sensi dell’art. 17 della l. n. 114 del 1977 – con cui, per gli anni d’imposta 1983 e 1984, era stato riscontrato un maggior reddito derivante d all’attività imprenditoriale del marito, con recupero a tassazione delle imposte Irpef e Ilor ed irrogazione delle relative sanzioni.
In primo grado, l’ impugnazione dei contribuenti veniva parzialmente accolta, con rideterminazione delle imposte dovute. COGNOME e l’ente impositore proponevano gravame avverso tale decisione, che tuttavia veniva confermata sia in appello, sia dalla Commissione tributaria centrale.
Con il passaggio in giudicato di tale decisione, l’Ufficio impositore emetteva la conseguente cartella di pagamento che, impugnata dalla sola COGNOME, veniva annullata dall ‘ adita Commissione tributaria provinciale di Pisa, che riteneva prescritta l’obbligazione tributaria, essendo decorsi oltre dieci anni dal momento in cui la sentenza di primo grado era divenuta definitiva nei confronti della contribuente predetta, che non aveva proposto appello.
Proposto gravame dall’Agenzia delle entrate, la decisione veniva parzialmente riformata dalla C.t.r., che riteneva irrilevante la mancata proposizione del gravame da parte della COGNOME e la sua acquiescenza alla sentenza di primo grado, avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento presupposti , poiché il gravame proposto dall’Ufficio avverso tutti i capi della sentenza ne aveva impedito il passaggio in giudicato nei confronti di tutte le parti del processo, indipendentemente dalla loro effettiva partecipazione ai successivi gradi del giudizio. Riteneva, inoltre, che la COGNOME non potesse disconoscere, ai sensi degli artt. 214 e ss. c.p.c., la sottoscrizione apposta sul ricorso proposto avverso gli avvisi di accertamento, poiché l’ inefficacia della sentenza emessa in quel giudizio nei suoi confronti poteva essere fatta valere solo con la revocazione straordinaria o con l’opposizione di terzo. Tuttavia,
ritenendo che la COGNOME non dovesse rispondere delle sanzioni amministrative per le violazioni compiute dal coobbligato solidale, dichiarava non dovuti gli importi a titolo di Ilor e sanzioni, confermando sul punto la sentenza di primo grado.
Avverso tale decisione proponeva ricorso per cassazione NOME NOME sulla base di tre motivi. L’ Agenzia delle entrate resisteva, depositando controricorso e proponendo ricorso incidentale, affidato ad un motivo di doglianza. Replicava la contribuente con ulteriore controricorso.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di doglianza, NOME deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2945 c.c., in riferimento agli artt. 324 e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere irrilevante la mancata proposizione del gravame da parte della contribuente e la sua acquiescenza alla sentenza di primo grado, avente ad oggetto l’impugnazione degli avvisi di accertamento presupposti, poiché il termine di prescrizione per l’esercizio dell’ actio iudicati decorre dalla formazione del giudicato interno e non da quello formale sull’intero giudizio.
Con il secondo motivo di doglianza, NOME deduce l’omessa valutazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., avendo la C.t.r. omesso di valutare se l’atto di appello , relativo al giudizio di impugnazione degli avvisi di accertamento, era stato correttamente notificato anche alla contribuente, essendone stata consegnata, presso la residenza coniugale, una sola copia al coniuge, al fine di verificare se, oltre al giudicato interno, derivante dalla acquiescenza della moglie, si fosse formato anche il giudicato formale tra lei e l’Erario.
Con il terzo motivo di doglianza, NOME NOME deduce la errata applicazione degli artt. 395 e 404 c.p.c. e l’omessa applicazione degli artt. 159 e 214 e ss. c.p.c., in relazione all’art.
360, comma 1, n. 3, c.p.c., avendo errato la C.t.r. nel ritenere inammissibile il disconoscimento della sottoscrizione apposta dalla contribuente sul ricorso avverso gli avvisi di accertamento e nel ritenere applicabili gli artt. 395 e 404 c.p.c., poiché, in assenza di istanza di verificazione, il giudicante avrebbe dovuto rilevare che la contribuente non aveva sottoscritto il ricorso, con conseguente nullità della sentenza pronunciata nei suoi confronti, attesa l’assenza di procura. Ad avviso della contribuente, la C.t.r. avrebbe dovuto scrutinare il denunciato vizio degli avvisi di accertamento, non avendo lei mai preso parte all’originario processo avverso i predetti atti impositivi.
Con l’unico motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in combinato disposto con l’art. 17 della l. n. 114 del 1977, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, avendo errato la C.t.r. nel ritenere che la COGNOME non dovesse rispondere delle sanzioni amministrative per le violazioni commesse dal coobbligato solidale, poiché l’Ufficio aveva già riconosciuto la non debenza dell’Ilor e della relativa sanzione, in quanto rel ativa al reddito percepito per l’esercizio di impresa da parte del marito, mentre la sanzione residua era relativa all’Irpef e conseguente alla sottoscrizione della dichiarazione infedele: violazione che aveva commesso anche la COGNOME nel momento in cui aveva sottoscritto la dichiarazione congiunta con il marito, ai sensi del citato art. 17 della l. n. 114 del 1977.
Il primo motivo del ricorso principale è infondato.
L’art. 17 della l. n. 114 del 1977 consente ai coniugi non separati di presentare congiuntamente la dichiarazione dei redditi. In tal caso, gli accertamenti in rettifica sono notificati nei confronti del marito, ma effettuati a nome di entrambi i coniugi, i quali sono responsabili in solido per il pagamento dell’imposta, soprattasse, pene pecuniarie e interessi iscritti a ruolo a nome del marito. A tal riguardo, la SRAGIONE_SOCIALE. ha precisato che la responsabilità solidale della
moglie non si pone in contrasto né con i principi di eguaglianza e di capacità contributiva, atteso che l’accertamento riguarda un reddito omesso, o infedelmente indicato, nella dichiarazione congiunta, frutto di libera scelta del contribuente; né con il diritto di difesa della moglie, la quale può tutelare i propri diritti in sede di impugnazione dell’avviso di mora conseguente all’avviso di accertamento notificato al marito, ancorché questo sia divenuto definitivo per mancata impugnazione da parte del coniuge (Cass. n. 5169/2002, Rv. 55364901).
Tuttavia, sebbene la moglie possa tutelare anche autonomamente i propri diritti, la SRAGIONE_SOCIALE. ha costantemente affermato che, nel caso di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi ex art. 17 della l. n. 114 del 1977, e per effetto della solidarietà voluta dal legislatore, la tempestiva notifica al marito dell’avviso di accertamento, come della cartella di pagamento, impedisce qualsiasi decadenza dell’Amministrazione finanziaria anche nei confronti della moglie co-dichiarante; allo stesso modo, la pendenza del processo tra l’Amministrazione finanziaria ed il marito determina la sospensione di qualsiasi termine – di decadenza come di prescrizione -riguardo alla stessa moglie co-dichiarante, trattandosi di un condebitore solidale rimasto estraneo al giudizio, sicché trovano applicazione gli ordinari principi codicistici in tema di obbligazione solidale di cui agli artt. 1310, comma 1, e 2495 c.c. (Cass. n. 1463/2016, Rv. 63873701; Conf. n. 27005/2007, Rv. 60129501).
Tale principio risulta in linea con quanto, più in generale, affermato di recente dalle Sezioni Unite, secondo cui, nel caso di solidarietà tra più obbligati, ex art. 2055 c.c., l’interruzione della prescrizione compiuta dal creditore nei confronti di uno dei soggetti obbligati ha effetto anche nei confronti degli altri condebitori solidali, ai sensi dell’art. 1310, comma 1, c.c., senza che sia richiesto che questi ultimi abbiano conoscenza dell’atto interruttivo, in quanto gli effetti conservativi che tale atto produce incidono direttamente sul
rapporto da cui origina l’obbligazione, e non sulla sfera giuridica del singolo condebitore solidale, il quale in conseguenza dell’estensione nei suoi confronti del relativo effetto conservativo dell’interruzione non viene a perdere alcun diritto, né viene inciso in una qualsiasi situazione giuridica soggettiva di cui sia titolare (Cass. Sez. U n. 13143/2022, Rv. 66465404).
Risulta, pertanto, corretta l’affermazione della C.t.r., che ha ritenuto irrilevante la mancata proposizione, da parte della COGNOME, dell’appello avverso alla sentenza di primo grado relativa all’impugnazione degli avvisi di accertamento, poiché la pendenza del processo tra l’Amministrazione finanziaria ed il marito ha impedito il decorso di qualsiasi termine di prescrizione e decadenza anche nei suoi confronti, a prescindere dalla sua effettiva partecipazione al giudizio.
Sulla base delle medesime considerazioni, risulta infondato anche il secondo motivo del ricorso principale.
Ed infatti, non essendo decorsi i termini di prescrizione per tutta la durata del processo tra l’Amministrazione finanziaria e il marito, a prescindere dalla partecipazione al giudizio della moglie, è irrilevante se l’atto di appello sia stato a lei correttamente notificato . Nei suoi confronti, comunque, non può essersi anteriormente formato alcun giudicato.
Peraltro, non può trascurarsi che, per giurisprudenza successiva costante, la notifica all’unico difensore di più parti di un solo atto di appello non è nulla e non determina l’inammissibilità del gravame, giacché quest’ultima non può mai conseguire a vizi di natura meramente formale che non pregiudichino interessi costituzionalmente protetti, quali l’effettività del contraddittorio (Cass. n. 10386/2011, Rv. 61793301; Conf. n. 3042/2008, Rv. 60186901).
Anche il terzo motivo di doglianza del ricorso principale è infondato.
E’ vero che, come affermato dalla S.C., i n tema di dichiarazione congiunta dei redditi da parte dei coniugi, la moglie codichiarante è legittimata ad impugnare autonomamente l’avviso di accertamento notificato al marito, ancorché divenuto definitivo nei confronti di quest’ultimo (anche per intervenuto giudicato), proponendo ricorso avverso la cartella di pagamento, atteso che, pur non essendo necessario, affinché ne insorga la responsabilità, che le sia notificato l’avviso di accertamento, il suo diritto di difesa non può essere pregiudicato e, in virtù della regola generale di cui all’art. 1306 c.c., il giudicato intervenuto tra l’Amministrazione finanziaria ed uno dei debitori solidali non ha effetto contro l’altro debitore solidale ( Cass. n. 462/2018, Rv. 64690901).
Tuttavia, nel caso in esame, non può trovare applicazione l’art. 1306 c.c. ed il suesposto orientamento, poiché il giudicato, posto a fondamento della cartella impugnata dalla COGNOME, non è intervenuto solo tra l’Amministrazione finanziaria ed il marito ma, almeno formalmente, è intervenuto anche nei confronti della predetta, la quale risulta aver partecipato al giudizio. E’ pacifico, infatti, che sul ricorso introduttivo del giudizio di primo grado avverso gli avvisi di accertamento vi fosse apposta anche la sottoscrizione della moglie, tanto è vero che, nel corso del giudizio avverso la cartella di pagamento, la COGNOME ne aveva effettuato il disconoscimento ex art. 214 c.p.c., sostenendo di non ricordare di averla mai apposta.
Ed infatti, ciò che in sostanza la contribuente contesta con il terzo motivo di doglianza è la non opponibilità nei suoi confronti di quel giudicato.
Di conseguenza, non è errata l’affermazione della C.t.r., secondo cui non sarebbe applicabile nel caso in esame il disconoscimento di scrittura privata ex art. 214 c.p.c.. Ed infatti, tale strumento ha il solo scopo di eliminare il valore probatorio di un documento prodotto dalla controparte, ma non può essere utilizzato per privare di effetti una sentenza passata in giudicato ed emessa
all’esito di un procedimento che, quanto meno formalmente, vedeva essere parte lo stesso soggetto operante il disconoscimento.
Peraltro, come già affermato dalla Suprema Corte, la procura apposta in calce o a margine di un atto giudiziario integra una scrittura privata e l’autografia della sottoscrizione di essa con la successiva certificazione del difensore, ai sensi dell’art. 83, terzo comma, c.p.c., attribuisce a detta procura, in mancanza di querela di falso da parte del sottoscrittore, valore di piena prova della provenienza delle dichiarazioni in essa contenute. Di conseguenza, non è ammessa la prova per testimoni finalizzata a contraddire il contenuto di tale procura (Cass. n. 24639/2010, Rv. 61539901, nello stesso senso, n. 21054/2004, Rv. 57791701).
Pertanto, per contestare la propria sottoscrizione apposta sulla procura alle liti, la COGNOME avrebbe dovuto proporre la querela di falso, con il conseguente onere, a suo carico, della prova della falsità denunziata.
Quanto, infine, al motivo di ricorso incidentale, l’Agenzia delle entrate, nel lamentare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 del d.lgs. n. 472 del 1997, in combinato disposto con l’art. 17 della l. n. 114 del 1977, sostiene che la C.t.r. avrebbe errato nel dichiarare non dovute anche le sanzioni relative all’Irpef accertata in capo ai coniugi codichiaranti e coobbligati, poiché la COGNOME, avendo sottoscritto la dichiarazione congiunta con il marito, era parimenti responsabile per la presentazione di una dichiarazione infedele, ai sensi del citato art. 17.
Per contro, con riferimento a tale doglianza, la COGNOME eccepisce nel controricorso che il suddetto art. 17 sarebbe stato abrogato, anche con riferimento all’anno d’imposta in discussione, dalla sopravvenuta disciplina di cui al d.lgs. n. 472 del 1997 e, in particolare, dall’art. 2, comma 2, che prevede il principio della responsabilità personale dell’autore dell’illecito. Di conseguenza, a dire della contribuente, trattandosi di condotte illecite poste in essere dal marito nell’esercizio dell’impresa, no n potevano essere irrogate
sanzioni anche a suo carico, in violazione del suddetto principio di personalità della responsabilità per gli illeciti amministrativi.
Orbene, l’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997 stabilisce che la sanzione amministrativa per la violazione di norme tributarie è riferibile alla persona fisica che ha commesso o concorso a commettere la violazione. Il successivo art. 29, comma 2, poi, dispo ne l’abrogazione di ogni altra norma in materia di sanzioni amministrative tributarie, nonché della loro determinazione ed irrogazione, non compatibile con le disposizioni del d.lgs. in questione.
Ciò nonostante, l’eccezione della contribuente non co glie nel segno.
Ed invero, come già evidenziato, la dichiarazione dei redditi congiunta, consentita a coniugi non separati, costituisce una facoltà che, una volta esercitata per libera scelta degli interessati, produce tutte le conseguenze, vantaggiose ed eventualmente svantaggiose, che derivano dalla legge e che ne connotano il peculiare regime, a prescindere dalle successive vicende del matrimonio. Da ciò deriva che la responsabilità solidale dei coniugi per il pagamento dell’imposta ed accessori, iscritti a ruolo a nome del marito a seguito di accertamento, prevista dall’ultimo comma del citato art. 17, non è influenzata dal venir meno, successivamente alla dichiarazione congiunta, della convivenza matrimoniale per separazione personale, (Cass. n. 2021/2003, Rv. 56039301, conf. n. 15175/2006, Rv. 59158301).
In sostanza, con la dichiarazione congiunta, entrambi i coniugi assumono la responsabilità personale per quanto ivi dichiarato. Ne consegue che la responsabilità per eventuali sanzioni non è una responsabilità per fatto altrui, bensì una responsabilità per fatto proprio, per aver consapevolmente e volontariamente aderito ad un regime dichiarativo che comporta, tra l’altro, anche ta le responsabilità solidale (cfr. in tal senso, Cass. n. 13525/2008 e n. 3181/2018, non massimate).
Sicché, contrariamente a quanto eccepito dalla contribuente, non può ritenersi implicitamente abrogato l’art. 17 in questione, in quanto, non prevedendo una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, non risulta in contrasto con il principio della personalità della responsabilità per sanzioni amministrative tributarie, sancito dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 472 del 1997.
Passando all’esame del merito del motivo di ricorso incidentale, questo è fondato.
Va, innanzitutto, evidenziato che non risulta rilevante l’apparente discrasia tra la motivazione della sentenza impugnata ed il suo dispositivo. E ‘ vero, infatti, che nel dispositivo la C.t.r. dichiara ‘non dovute Ilor e sanzioni’ , senza specificare se le sanzioni non dovute siano solo quelle relative all’Ilor ovvero anche quelle relative all’Irpef ed all’infedele dichiarazione . Ciò nonostante, nella parte motiva, si afferma: ‘La non debenza delle somme dovute a titolo di Ilor deve essere confermata’ e poi: ‘…in applicazione dell’art. 5 d.lgs. n. 472/1997 la Commissione ritiene che la sig. NOME non debba rispondere delle sanzioni amministrative per le violazioni compiute dal coo bbligato solidale’.
Può, quindi, ritenersi che la C.t.r. abbia inteso annullare tutte le sanzioni irrogate a carico della COGNOME, non solo quelle relative all’Ilor, ma anche quelle relative alla infedele dichiarazione Irpef.
Tuttavia, come già si è detto, nel caso in esame la sanzione amministrativa irrogata per la infedele dichiarazione è ricollegata ad una responsabilità personale della COGNOME, commessa nel momento in cui ha sottoscritto la dichiarazione infedele.
Risulta, pertanto, errata l’affermazione della C.t.r., secondo cui la COGNOME non debba rispondere delle sanzioni amministrative per le violazioni compiute dal coobbligato solidale in applicazione del principio di legalità sancito dal d.lgs. n. 472 del 1997.
In conclusione, quindi, va integralmente rigettato il ricorso principale proposto da NOME NOME e, in accoglimento dell’unico motivo di ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle
entrate, la sentenza impugnata va cassata, con rinvio al giudice a quo per l’ulteriore esame dell’appello e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio, a carico della ricorrente, del contributo unificato, ove dovuto (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020, Rv. 657198-03).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale proposto da NOME NOME e, in accoglimento dell’unico motivo di ricorso incidentale proposto dall’Agenzia delle entrate, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, per l’ ulteriore esame dell’appello e per il regolamento delle spese di lite anche del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione