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Dichiarazione confessoria: l’errore sull’oggetto

La Corte di Cassazione ha annullato un accertamento fiscale basato sull’errata interpretazione di una dichiarazione del contribuente. Una dichiarazione relativa alla variazione del prezzo di vendita è stata illegittimamente usata dall’Agenzia delle Entrate per calcolare la percentuale di ricarico. La Corte ha chiarito che una dichiarazione confessoria non può avere valore per un fatto diverso da quello specificamente dichiarato, invalidando così il metodo di accertamento.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Dichiarazione confessoria: quando le parole del contribuente vengono travisate

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un importante chiarimento sul valore e i limiti della dichiarazione confessoria in ambito tributario. Il caso analizzato riguarda un accertamento fiscale fondato su un’interpretazione errata delle parole di una contribuente, portando all’annullamento della pretesa del Fisco. Vediamo nel dettaglio come si sono svolti i fatti e quali principi ha affermato la Suprema Corte.

I Fatti: L’Accertamento Fiscale Contestato

Una commerciante nel settore degli articoli casalinghi riceveva un avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate per l’anno d’imposta 2005. L’Ufficio contestava maggiori ricavi per quasi 80.000 euro, basando la sua ricostruzione su un metodo induttivo.

Il punto cruciale dell’accertamento era l’individuazione della percentuale di ricarico applicata dalla contribuente. Per determinarla, i verificatori si erano basati su una dichiarazione resa dalla stessa commerciante durante un controllo. Alla domanda su quale fosse il prezzo di vendita nel 2005, la signora aveva risposto che “rispetto all’anno in corso [il 2008], ritengo che il prezzo di vendita applicato nell’anno 2005 è oscillato tra il 5 e il 15% in meno”.

L’Agenzia delle Entrate aveva interpretato questa frase come una confessione sulla percentuale di ricarico, estrapolando un valore medio del 10% e utilizzandolo per ricalcolare tutti i ricavi. Sia la Commissione Tributaria Provinciale che quella Regionale avevano dato ragione all’Ufficio, ritenendo legittimo il metodo e confessorio il valore della dichiarazione.

La Decisione della Cassazione e la questione della dichiarazione confessoria

La contribuente, non arrendendosi, ha portato il caso dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando un vizio fondamentale: la sua dichiarazione riguardava il prezzo di vendita, non la percentuale di ricarico. Si tratta di due concetti economici e fiscali completamente diversi. Il prezzo di vendita è il valore finale pagato dal cliente, mentre la percentuale di ricarico è la maggiorazione applicata sul costo d’acquisto del bene.

La Suprema Corte ha accolto questa tesi, ritenendola fondata. I giudici hanno smontato l’impianto accusatorio del Fisco, evidenziando l’errore logico e giuridico commesso.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha stabilito che una dichiarazione confessoria, per avere valore di prova legale, deve avere ad oggetto il medesimo fatto su cui si fonda la pretesa della controparte. In questo caso, il fatto dichiarato dalla contribuente era la riduzione del prezzo di vendita del 2005 rispetto al 2008. Il fatto utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per l’accertamento era, invece, la percentuale di ricarico applicata sul costo dei beni nel 2005.

Come sottolineato dalla Cassazione, si tratta di due elementi distinti. Affermare che i prezzi sono più bassi non significa affatto confessare una determinata percentuale di guadagno. L’aver utilizzato la dichiarazione su un dato (il prezzo) per desumerne un altro (il ricarico) ha minato alla base l’intero percorso logico dell’accertamento, rendendolo illegittimo.

L’errore interpretativo ha quindi privato la dichiarazione della sua presunta natura confessoria, poiché non c’era coincidenza tra il fatto dichiarato e il fatto posto a fondamento della pretesa fiscale. Di conseguenza, la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che aveva avallato questo errore, è stata cassata.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza riafferma un principio di garanzia fondamentale per il contribuente: le parole hanno un peso e non possono essere decontestualizzate o travisate per fini accertativi. L’Agenzia delle Entrate deve basare le proprie pretese su elementi certi e coerenti. Una dichiarazione può essere considerata confessoria solo se verte in modo inequivocabile sui fatti contestati.

Per i contribuenti e i loro difensori, questa decisione rafforza l’importanza di analizzare con estrema attenzione il percorso logico-giuridico seguito dall’Amministrazione finanziaria, specialmente quando si utilizzano dichiarazioni rese in sede di verifica. Un’interpretazione errata, come in questo caso, può essere un vizio fatale per l’intero avviso di accertamento.

Può una dichiarazione del contribuente essere usata come confessione per un fatto diverso da quello dichiarato?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che una dichiarazione può avere valore confessorio solo per i fatti specifici che ne sono oggetto. Non può essere utilizzata per provare un fatto diverso, come nel caso di specie dove una dichiarazione sul prezzo di vendita è stata usata per determinare la percentuale di ricarico.

Qual è la differenza tra ‘prezzo di vendita’ e ‘percentuale di ricarico’?
Il ‘prezzo di vendita’ è l’importo finale a cui un bene viene venduto al pubblico. La ‘percentuale di ricarico’ è la maggiorazione che il venditore applica sul costo di acquisto del bene per determinarne il prezzo di vendita. La sentenza chiarisce che confondere questi due concetti rende illegittimo l’accertamento fiscale.

Qual è la conseguenza se l’Agenzia delle Entrate sbaglia a interpretare una dichiarazione del contribuente?
Se l’errore interpretativo è alla base dell’intero accertamento fiscale, come in questo caso, l’accertamento stesso diventa illegittimo. La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza che convalidava l’operato dell’Agenzia, rinviando il caso a un nuovo giudice che dovrà riesaminare la questione rispettando il principio corretto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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