Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19125 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19125 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2041/2021 R.G. proposto da :
COGNOMENOME COGNOME con gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato;
-controricorrente-
avverso Sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo Sezione Staccata di Pescara n. 218/2020 depositata il 18/05/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME impugnava la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA emessa, ad esito del controllo effettuato ai sensi dell’art. 36 ter del DPR n. 600/73, per l’anno di imposta 2012 , recante una pretesa tributaria pari ad € 11.503,69, comprensiva, per quanto qui ancora rileva, del recupero a
tassazione delle detrazioni operate per le spese inerenti ad interventi di risparmio energetico.
Il contribuente, a sostegno del ricorso, deduceva che nel corso dell’anno 2010, in qualità di comodatario di parte dell’immobile, ad uso abitativo, sito in Comune di Spoltore alla INDIRIZZO aveva eseguito, unitamente agli altri detentori o possessori dell’immobile, opere di ristrutturazione e di risanamento dell’immobile stesso portando in detrazione dall’imposta la quota del 55% degli importi dallo stesso pagati per opere di risparmio energetico, così come previsto dalla L. 296/96, art. 1, commi da 344 a 347.
L’Agenzia delle Entrate si costituiva in giudizio replicando alle avverse contestazioni e chiedendo la parziale cessazione della materia del contendere con riferimento all’importo di € 238,00 (relativo al recupero delle detrazioni per spese mediche e degli oneri deducibili per erogazioni liberarli alle ONLUS).
In esito, la Commissione tributaria provinciale di Chieti dichiarava cessata materia del contendere rispetto al menzionato importo di euro 238,00 e, nel resto, rigettava il ricorso del contribuente, ritenendo fondato nel merito il provvedimento impositivo con riguardo al mancato riconoscimento delle detrazioni per interventi finalizzati al risparmio energetico.
Quindi, con la sentenza indicata in epigrafe, la CTR dell’Abruzzo rigettava l’appello del contribuente ritenendo che questi, pur risultando formalmente titolare di un contratto di comodato, non avesse, tuttavia, mai effettivamente detenuto l’immobile oggetto della richiesta della detrazione fiscale beneficio e che la documentazione prodotta dal contribuente fosse lacunosa e inidonea al fine di provare la sussistenza del presupposto oggettivo per la fruizione del beneficio.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandolo a dodici motivi.
Ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
Il Pubblico ministero, in persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
I n prossimità dell’adunanza il ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380-bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso NOME COGNOME denuncia – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. – la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., deducendo che la CTR non si è pronunciata sull’eccezione di difetto di motivazione nella comunicazione di rettifica della dichiarazione dei redditi ex art. 36 ter del d.P.R. n. 600 del 1973 dal medesimo proposta con il ricorso introduttivo ed accolta dalla Commissione Tributaria Provinciale; in subordine, deduce la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. per difetto assoluto di motivazione.
1.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità.
Il contribuente allega: i) di avere, con il ricorso introduttivo, lamentato che, contrariamente a quanto previsto dall’art. 7 co. 1 della L. 212/2000, la rettifica operata dall’Agenzia delle Entrate non indicava i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche per la ripresa fiscale; ii) che la doglianza è stata condivisa dalla CTP di Chieti, con la sentenza n. 574/2016; iii) che in esito all’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, egli si era costituito in giudizio, ribadendo il difetto di motivazione già denunciato in primo grado; iv) che la CTR, nel pronunciarsi sull’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate, accogliendolo nel merito, ha omesso qualsiasi pronuncia in ordine alla carenza di motivazione della rettifica operata dall’Agenzia.
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ex art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., è compatibile con il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU, qualora, in ossequio al criterio di
proporzionalità, non trasmodi in un eccessivo formalismo, dovendosi, di conseguenza, ritenere rispettato ogni qualvolta l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi, avvenga, alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali, bastando, ai fini dell’assolvimento dell’onere di deposito previsto dall’art. 369, comma 2, n. 4), c.p.c., che il documento o l’atto, specificamente indicati nel ricorso, siano accompagnati da un riferimento idoneo ad identificare la fase del processo di merito in cui siano stati prodotti o formati (Cass. Sez. 1, n. 12481 del 19/04/2022).
Nel caso di specie il principio non risulta rispettato neppure alla luce della sua richiamata declinazione sostanziale, in quanto il ricorrente richiama atti di un differente procedimento: è diversa la sentenza della CTR invocata, differente lo sviluppo del giudizio che, qui, ha visto appellante il contribuente e non l’Agenzia.
1.2. Il motivo è, comunque, infondato, in quanto la censura in oggetto è stata esaminata ed espressamente rigettata dalla Commissione territoriale, come risulta dall’ampia argomentazione a tale riguardo spesa nella sentenza impugnata (v. sentenza, pp. 3 e 4).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 1, commi da 344 a 347, della legge n. 296/2006, prorogata con legge 244/2007, dell’art. 2, comma 1 lett. a) del D.M. n. 47/2007 e dell’art. 1803 cod. civ., nella parte in cui la CTR ha affermato la carenza di titolo idoneo alla concessione del beneficio fiscale, pur avendo il contribuente la disponibilità giuridica dell’immobile oggetto degli interventi di risparmio energetico in virtù di un contratto di comodato stipulato il 26 novembre 2009, registrato il successivo 30 novembre 2009.
Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 132,
comma 2, n. 4), cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. per motivazione apparente, per non avere i giudici di appello esposto le ragioni per le quali hanno ritenuto che il contratto di comodato citato non fosse idoneo a dimostrare la sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti per la fruizione dell’agevolazione.
Con il quarto motivo di ricorso si prospetta in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 1, commi 344/347, della legge n. 296/2006, prorogata con legge n. 244/2007, dell’art. 2, comma 1, lett. a), del D.M. n. 47/2007, e dell’art. 1803 cod. civ., laddove la CTR ha affermato la carenza di titolo idoneo alla concessione del beneficio fiscale, in quanto, sostiene il ricorrente, la circostanza che il contribuente risiedesse presso altro immobile insieme al coniuge e che all’epoca della ristrutturazione l’immobile oggetto degli interventi fosse occupato dal proprietario e dall’usufruttuario non va rrebbe, di per sé, a escludere la detenzione del comodatario, avendo il contratto di comodato a oggetto la quota indivisa dei 5/10 dell’intero bene interessato dai lavori di ristrutturazione.
Con il quinto motivo di ricorso il contribuente deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. – che la Commissione tributaria regionale ha omesso di esaminare un fatto decisivo per il giudizio, rappresentato dall’oggetto del contratto di comodato, che riguardava la quota indivisa dei 5/10 dell’immobile interessato dalle opere di risparmio energetico.
Con il sesto motivo di ricorso denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ. la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR ha affermato che le vicende negoziali del fabbricato inducevano a ritenere che il ricorrente non avesse la disponibilità dell’immobile de quo .
Con il settimo motivo di ricorso si lamenta in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – la violazione dell’art. 1, commi
344/347, della legge n. 296/2006, prorogata con legge 244/2007, dell’art. 2, comma 1 lett. a), del D.M. n. 47/2007 e degli artt. 981 e 1803 cod. civ., nella parte in cui la CTR ha affermato che la donazione della nuda proprietà dell’immobile disposta il 30 marzo 2010 dalla proprietaria in favore dei figli, con contestuale vendita, da parte di alcuni dei donatari, della loro quota parte di nuda proprietà ricevuta in donazione, fosse incompatibile con il contratto di comodato stipulato con il contribuente, avendo la proprietariadonante mantenuto l’usufrutto del bene concesso in comodato.
Il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, il sesto e il settimo motivo di ricorso sono esaminabili congiuntamente, in quanto all’evidenza connessi, avendo tutti ad oggetto, seppure in relazione ai differenti profili di censura dedotti, il capo della decisione con il quale i giudici dell’appello hanno ritenuto che il contribuente non avesse dato dimostrazione della sussistenza dei requisiti soggettivi richiesti dalla normativa vigente per la fruizione delle agevolazioni per il risparmio energetico.
Giova premettere all’esame delle questioni dedotte con i predetti motivi una ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
L’art. 1, comma 344 e seguenti, della legge n. 296 del 2006 (Finanziaria 2007), ha previsto che, per le spese documentate, sostenute entro il 31 dicembre 2007, relative ad interventi di riqualificazione energetica di edifici esistenti, spetta una detrazione dall’imposta lorda per una quota pari al 55% degli importi rimasti a carico del contribuente.
Tale agevolazione è stata successivamente prorogata, con l’introduzione di modifiche qui non rilevanti.
9.1. In merito al profilo soggettivo, il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 19 febbraio 2007, attuativo dell’art. 1 della l. n. 296 del 2006, commi 344 -349, dispone che la detrazione spetta: i) alle persone fisiche, agli enti e ai soggetti di cui all’art. 5 del Tuir, non titolari di reddito d’impresa, che
sostengono le spese per la esecuzione degli interventi di cui ai predetti commi sugli edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, posseduti o detenuti, (art. 2, primo comma, lett. a, l. cit.); ii) ai soggetti titolari di reddito d’impresa che sostengono le spese per l’esecuzione degli interventi di risparmio energetico sugli edifici esistenti, su parti di edifici esistenti o su unità immobiliari esistenti di qualsiasi categoria catastale, anche rurali, posseduti o detenuti (art. 2, primo comma, lett. b).
Il secondo comma dell’art. 2 del d.m. citato dispone, inoltre, che, nel caso in cui gli interventi di cui al primo comma siano eseguiti mediante contratti di locazione finanziaria, la detrazione compete all’utilizzatore ed è determinata in base al costo sostenuto dalla società concedente.
I presupposti applicativi, dunque, in relazione agli interventi effettuati sulla singola unità immobiliare, sono il possesso o la detenzione dell’immobile, a nulla rilevando che il contribuente che detrae sia o meno residente anagraficamente nell’immobile oggetto di intervento.
9.2. Per quanto concerne la fattispecie in esame, la stessa prassi dell’Amministrazione (cfr. circolare n. 36/E del 2007, pagg. 5 e 22) riconosce nella detenzione derivante dal comodato la fonte della legittimazione all’agevolazione, che permane anche dopo la cessazione dello stesso comodato, relativamente al comodatario che abbia sostenuto le spese.
La sussistenza del comodato integra, quale titolo idoneo alla detenzione, anche la prova della sussistenza di quest’ultima, per quanto attiene l’onere gravante sulla contribuente comodataria ai fini dell’agevolazione.
9.3. Questa Corte ha, di conseguenza, affermato che, di regola, il comodatario, ai fini della prova del suo diritto all’agevolazione, non è tenuto a dimostrare un concreto potere di fatto sul bene e della
sua concreta disponibilità, in quanto «la sussistenza del comodato integra, quale titolo idoneo alla detenzione, anche la prova della sussistenza di quest’ultima» (Cass. 24 gennaio 2022, n. 1975).
9.4. Tuttavia, a fronte della prova dell’esistenza di un contratto di comodato rimane, comunque, «salva la possibilità della contestazione e della prova contraria da parte dell’Ufficio, ovvero dell’allegazione di una situazione oggettiva concreta difforme da quella riconducibile alla fonte negoziale accertata», in ipotesi configurabile nel caso in cui si accerti «la natura meramente fittizia» del comodato (Cass. 24 febbraio 2022, n. 1975, cit.).
Il secondo, quarto e settimo motivo di ricorso, con i quali si denuncia la violazione dell’art. 1, commi da 344 a 347, della l. n. 296 del 2006, dell’art. 2, comma 1, lett. a) del d.m. n. 47 del 2007, dell’art. 1803 cod. civ., e dell’art. 981 cod. civ. , sono pertanto infondati.
10.1. La Commissione tributaria regionale, infatti, lungi dall’affermare che il contratto di comodato non costituisce titolo idoneo ai fini della legittimazione all’agevolazione, ha acco lto l’appello dell’Agenzia delle Entrate sul rilievo che , nella fattispecie in esame la stessa ha fornito la prova contraria di una situazione oggettiva concreta difforme, desumibile da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti, da cui è emerso che il contribuente non aveva mai avuto la disponibilità dell’immobile , ravvisati dai giudici di appello nel fatto che questi aveva la propria residenza altrove, unitamente al coniuge; che l’immobile era di fatto occupato soltanto dal proprietario e dall’usufruttuaria; che tra la fine del 2009 e i primi mesi del 2010 la comodante aveva donato la nuda proprietà dell’immobile ai figli, alcuni dei quali avevano contestualmente venduto la quota parte della nuda proprietà ricevuta in donazione.
La CTR ha , pertanto, ritenuto, in conformità all’orientamento giurisprudenziale di questa Corte ora richiamato, che il contribuente non possedesse i requisiti soggettivi per ottenere la detrazione per gli interventi di riqualificazione energetica per risparmio energetico per l’immobile, avendo l’Ufficio fornito la prova contraria posta a suo carico (v., ancora, Cass. 24 gennaio 2022, n. 1975) , ovvero quella dell’insussistenza di un comodato effettivo e concreto (e non solamente formale ovvero meramente giuridico).
10.2. I motivi sono, inoltre, inammissibili laddove, pur deducendo, apparentemente, una violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, mirano ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme (Cass. Sez. U, 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987).
Sono, altresì, infondati anche il terzo ed il sesto motivo di ricorso, con i quali la medesima contestazione censura viene declinata sotto il profilo di denuncia della nullità della sentenza per motivazione apparente.
11.1. L’assenza della motivazione, la sua mera apparenza, o ancora la sua intrinseca illogicità, implicano una violazione di legge costituzionalmente rilevante e, pertanto, danno luogo ad un error in procedendo , la cui denuncia è ammissibile dinanzi al giudice di legittimità ai sensi del n. 4 dell’art. 360, ponendosi come violazione delle norme poste a presidio dell’obbligo motivazionale (Cass. S.U. sentenze 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054). In sostanza, il vizio di motivazione che solo può dar luogo alla cassazione della sentenza è quello che attinge il nucleo fondamentale della sentenza, il cosiddetto minimo costituzionale di esplicitazione delle ragioni poste a base della sentenza.
11.2. Va ancora rammentato che ‘La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.’ (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass. Sez. 1, 03/03/2022 n. 7090).
11.3. Nessuna di tali fattispecie ricorre nel caso in esame, in quanto dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata, e di cui si è ampiamente dato conto nell’esaminare i superiori motivi di ricorso, emerge con chiarezza ed esaustività l’iter logico seguito dalla CTR per argomentare i propri convincimenti. I giudici dell’appello hanno chiaramente esposto le argomentazioni poste a base del loro ragionamento e, altrettanto univocamente, hanno indicato i fatti storici ritenuti rilevanti ai fini della prova dell’insussistenza dei requisiti soggettivi (e di quelli oggettivi) richiesti per la fruizione delle agevolazioni fiscali previste per gli interventi di risparmio energetico, le fonti di prova atte a provare i suddetti fatti e le ragioni della loro decisività ai fini dell’accoglimento del gravame dell’Agenzia delle Entrate.
11.4. I suddetti motivi di ricorso sono, inoltre, inammissibili nella parte in cui mirano a una rivalutazione dei fatti storici operata dalla
Commissione tributaria regionale e alla contrapposizione, a quelli forniti dall’Amministrazione Finanziaria, dei diversi elementi indiziari invocati dal ricorrente, la cui valenza probatoria è stata, tuttavia, disattesa dal giudice del gravame, alla stregua dell’orientamento giurisprudenzial e di cui si è già fatto richiamo.
12. Il quinto motivo, con il quale si censura l’omessa valutazione dell’oggetto del comodato, limitato ad una quota indivisa dell’immobile interessato dagli interventi di riqualificazione, è inammissibile.
12.1. È infatti censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. soltanto l’omesso esame di un fatto storico controverso, che sia stato oggetto di discussione e che sia decisivo; di contro, non è più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo a giustificazione della decisione adottata sulla base degli elementi fattuali acquisiti e ritenuti dal giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (Cass. 31/01/2017, n. 2474).
12.2. Pacifica l’applicabilità della norma al processo tributario (così Sez. U n. 8053/2014, cit.), questa Corte, in tema di contenzioso tributario, ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale non si censuri l’omesso esame di un fatto decisivo, ma si evidenzi solo un’insufficiente motivazione per non avere la CTR considerato tutte le circostanze della fattispecie dedotta in giudizio (v., ad es., Cass. 28/6/2016 n. 13366).
12.3. Nella fattispecie, la circostanza fattuale invocata dal contribuente non è stata né pretermessa, né negata dalla Commissione tributaria regionale, che ha, anzi, espressamente preso in considerazione l’avvenuta stipula del contratto di comodato correlandola, però, ad una serie di ulteriori elementi fattuali che, valutati in coordinazione tra loro, l ‘ hanno condotta ritenere insussistenti i requisiti soggettivi richiesti per la fruizione dell ‘ agevolazione fiscale.
Con l’ottavo motivo di ricorso il contribuente deduce – in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. per motivazione apparente, nella parte in cui la CTR ha ritenuto che il ricorrente non avesse dato dimostrazione del presupposto oggettivo per il riconoscimento della detrazione fiscale, visto che le fatture prodotte erano intestate al nudo proprietario, il quale aveva ordinato il pagamento.
Con il nono motivo di ricorso censura in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. – il capo della decisione impugnato con l’ottavo motivo di ricorso, deducendo che la Commissione tributaria r egionale è incorsa nella violazione dell’art. 1, commi da 344 a 347, della legge n. 296/2006, dell’art. 4 comma 1, lett. c) e lett. d) del D.M. n. 47/2007, e dell’art. 21 del d.P.R. n. 633/72, laddove ha affermato la carenza, in capo al contribuente, del presupposto oggettivo per il riconoscimento della detrazione fiscale, non avendo il giudice del gravame considerato che dai bonifici effettuati dall’usufruttuaria risultava che il ricorrente era il beneficiario delle detrazioni de quibus .
Con il decimo motivo di ricorso deduce in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. la violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c . e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nella parte in cui la CTR, con motivazione apparente, ha affermato la carenza dei requisiti oggettivi per la detrazione fiscale; deduce inoltre, in relazione all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., che la sentenza dà una non corretta applicazione della disciplina degli esoneri in materia di asseverazione e attestazione.
16. Con l’undicesimo motivo di ricorso censura -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. – il capo della decisione impugnato con il decimo motivo, deducendo che la Commissione Tributaria Regionale è incorsa nella violazione dell’art. 1, commi 344 -347, della legge n. 296/2006, dell’art. 4, comma 1, lett. a) e comma 1 –
quater del D.M. n. 47/2007, laddove ha evidenziato che l’attestazione asseverata della conformità degli interventi era stata rilasciata soltanto nel 2014, in quanto tale ritardo era giustificato dal fatto che i lavori, iniziati il 7 giugno 2010, si erano protratti fino al 7 giugno 2015.
L’infondatezza e inammissibilità del secondo, terzo, quarto, quinto, sesto e settimo motivo di ricorso, con cui si è contestato il capo della sentenza, costituente autonoma ratio decidendi , che ha ritenuto insussistenti i requisiti soggettivi per la fruizione del beneficio in oggetto, comportano l’inammissibilità, per carenza di interesse, dei motivi dedotti dall’ottavo all’undicesimo.
17.1. A tale riguardo deve farsi richiamo alla costante affermazione di questa Corte secondo cui «Nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, ‘in toto’ o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato» (Cass. Sez. U., 8 agosto 2005, n. 16602; in senso conforme anche la giurisprudenza successiva, ex plurimis, tra le più recenti, Cass. 18 aprile 2019, n. 10815; Cass. 6 luglio 2020, n. 13880; Cass. 14 agosto 2020, n. 17182).
Con il dodicesimo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c., deducendo che la Commissione tributaria regionale è incorsa nella violazione ed erronea applicazione delle regole di giudizio in ordine all’onere della prova ex art. 2697 cod. civ., anche in relazione a quelle di cui agli artt. 2727 e 2728 cod. civ., nella parte in cui ha ritenuto che fosse onere del contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti richiesti dalla legge per fruire delle agevolazioni fiscali de quibus , rilevando, in proposito, che nella specie, per un verso, esso ricorrente aveva dato dimostrazione dei fatti costitutivi della propria pretesa e, per altro verso, che l’Amministrazione Finanziaria non aveva fornito la prova contraria, contrariamente a quanto affermato dai giudici di appello.
18.1. Il motivo è inammissibile.
La disamina operata dalla C.T.R. esclude la fondatezza della doglianza, la quale, ancorché proposta in termini di violazione di legge, si risolve in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia di fatto, certamente estranea alla natura e ai fini del giudizio di cassazione (Cass., Sez. U., 25/10/2013, n. 24148).
18.2. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configura unicamente nell’ipotesi in cui il giudice di merito abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando il ricorrente intenda lamentare che, a causa di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, la sentenza impugnata abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere (Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9055), come invece sostanzialmente preteso oggi dal ricorrente.
18.3. Peraltro, anche la selezione, tra gli indizi offerti dall’Amministrazione a dimostrazione delle pretese fiscali, di quelli
reputati rilevanti rientra a pieno titolo nel meccanismo di operatività dell’art. 2729 cod. civ., il quale, nel prescrivere che le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla “prudenza del giudice” (secondo una formula analoga a quella che si rinviene nell’art. 116 cod. proc. civ. a proposito della valutazione delle prove dirette), si articola nei due momenti valutativi della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, volta a scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e a conservare viceversa quelli che, presi singolarmente, rivestono i caratteri della precisione e gravità, e della successiva valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi così isolati, oltreché dell’accertamento della loro idoneità alla prova presuntiva se considerati in combinazione tra loro (c.d. convergenza del molteplice), essendo erroneo l’operato del giudice di merito il quale, al cospetto di plurimi indizi, li prenda in esame e li valuti singolarmente, per poi giungere alla conclusione che nessuno di essi assurga a dignità di prova (v. Cass., Sez. 3, 09/03/2012 n. 3703 e, di seguito, Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054).
18.4. Pertanto, come affermato da questa Corte, intanto può denunciarsi la violazione o falsa applicazione del ridetto art. 2729 cod. civ., in quanto il giudice di merito ne abbia contraddetto il disposto, affermando che un ragionamento presuntivo può basarsi anche su presunzioni ( rectius: fatti), che non siano gravi, precisi e concordanti, ovvero abbia fondato la presunzione su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e abbia dunque sussunto erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione fatti concreti accertati che non siano, invece, rispondenti a quei caratteri, competendo soltanto in tal caso alla Corte di cassazione controllare se la norma in esame sia stata applicata a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta o il giudice non sia incorso in
errore nel considerare grave una presunzione che non lo sia sotto il profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi, al pari di quanto può accadere con riguardo al controllo della precisione e della concordanza (in questi termini, v., ex multis , Cass., Sez. 2, 21/3/2022, n. 9054, cit.).
18.5. Se questo è il presupposto della violazione o errata applicazione dell’art. 2729 cod. civ., la deduzione del vizio, come già sostenuto da questa Corte, non può che estrinsecarsi nella puntuale indicazione, enunciazione e spiegazione dei motivi per i quali il ragionamento del giudice di merito sia irrispettoso dei paradigmi della gravità, precisione e concordanza. Altrimenti, la critica al ragionamento presuntivo svolto, che si sostanzi nell’enunciazione di una diversa modalità della sua ricostruzione, si risolverebbe nel suggerimento di un diverso apprezzamento della questio facti che si pone al di là della fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., atteso che il giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sez., 1, 2/8/2016, n. 16056). La valutazione del compendio probatorio è ovviamente preclusa a questa Corte, essendo riservata al giudice di merito al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i
casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass., 23/08/2024, n. 23044; Cass., 13/01/2020, n. 331; Cass., 16/12/2011, n. 27197).
19. In conclusione, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come in dispositivo.
Infine, bisogna dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera del ricorrente, dell’ulteriore importo da corrispondere a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M .
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente Agenzia delle Entrate, delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 2.300 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 21/05/2025.