Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22062 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22062 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 05/08/2024
Oggetto:
IVA – rimborso – detrazione
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 6019/2018 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata n. 611/3/2017, depositata il 31 luglio 2017.
2 ) sul ricorso iscritto al n. 22749/2021 R.G. proposto da
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO, con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio del difensore;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
-controricorrente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Basilicata n. 35/1/21, depositata il primo febbraio 2021.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito l’AVV_NOTAIO in sostituzione dell’AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza impugnata con il ricorso R.G. n. 6019/2018 la Commissione tributaria regionale della Basilicata accoglieva l’appello proposto dall’ RAGIONE_SOCIALE, ufficio locale, avverso la sentenza n. 260/1/14 della Commissione tributaria provinciale di Matera che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro il diniego di rimborso IVA 2012.
La CTR osservava in particolare che la società contribuente doveva considerarsi “terzo” profittante in favore del quale era stato
stipulato un contratto di permuta immobiliare tra società terze (RAGIONE_SOCIALE; rogito AVV_NOTAIO del 21 dicembre 2012), sicchè non essendo “parte” di detto contratto non poteva avvalersi della detrazione dell’IVA correlativa e perciò chiederne il rimborso, irrilevante ovvero abu/elusivo il rapporto a latere che la società contribuente allegava sussistere con la permutante (del terreno) RAGIONE_SOCIALE.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo tre motivi, poi illustrati con memorie.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
Con la sentenza impugnata con il ricorso R.G. n. 22749/2021 la Commissione tributaria regionale della Basilicata accoglieva l’appello proposto dall’ RAGIONE_SOCIALE, ufficio locale, avverso la sentenza n. 90/2/19 della Commissione tributaria provinciale di Matera che aveva accolto il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE contro l’avviso di accertamento IVA 2012.
La CTR, del tutto analogamente che con la prima decisione emessa sul diniego di rimborso, osservava in particolare che la società contribuente doveva considerarsi “terzo” profittante in favore del quale era stato stipulato un contratto di permuta immobiliare tra società terze (RAGIONE_SOCIALE; rogito AVV_NOTAIO del 21 dicembre 2012), sicchè non essendo “parte” di detto contratto non poteva avvalersi della detrazione dell’IVA correlativa e perciò chiederne il rimborso, irrilevante ovvero abu/elusivo il rapporto a latere che la società contribuente allegava sussistere con la permutante (del terreno) RAGIONE_SOCIALE; rilevava inoltre l’ irrilevanza probatoria RAGIONE_SOCIALE scritture contabili della società contribuente.
Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione la società contribuente deducendo quattro motivi, poi illustrati con memorie.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va disposta la riunione dei due giudizi, stante la quasi integrale comunanza RAGIONE_SOCIALE questioni da esaminare, trattandosi, nella sostanza, della medesima materia del contendere ossia dello stesso credito IVA vantato dalla società contribuente, nelle due modalità procedimentali concrete del rimborso e della detrazione IVA.
Sempre in via preliminare deve rigettarsi l’eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto dell’interesse ad agire proposta dalla controricorrente.
Va infatti ribadito che «L’accertamento in ordine alla sussistenza dell’interesse ad agire – che deve essere rilevato d’ufficio in ogni stato e grado del processo – non può essere compiuto nel giudizio di legittimità qualora esso comporti, in base alla prospettazione del ricorrente, una valutazione degli elementi di fatto in precedenza non effettuata, perché non richiesta, dal giudice di merito, essendo la relativa questione ormai coperta dal giudicato implicito per non avere il giudice ravvisato alcun ostacolo processuale all’esame della domanda proposta» (Sez. 2, Sentenza n. 26632 del 13/12/2006, Rv. 594591 – 01).
Non risulta che l’eccezione de qua sia stata proposta nei gradi di merito, essendo ciò senz’altro possibile in quello di appello, poiché stando alla prospettazione dell’agenzia fiscale la dichiarazione integrativa per l’esercizio del diritto di detrazione del credito chiesto a rimborso in questo giudizio è stata presentata il 13 maggio 2015, appunto in pendenza di detto giudizio.
Ne consegue che, in adesione al citato principio di diritto, l’eccezione in esame deve affermarsi coperta dal giudicato interno (implicito).
Ciò posto, con il primo motivo di entrambi i ricorsi -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- la ricorrente denuncia la violazione/falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 ss. cod. civ., poiché la CTR ha qualificato il contratto tra le permutanti RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE come contratto a favore di terzo, attribuendole la qualità di terzo, quindi, escludendone la soggettività passiva IVA, affermato l’infondatezza della pretesa creditoria di rimborso ovvero detrazione azionate in nei giudizi.
Le censure sono inammissibili.
Va ribadito che:
-«Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione sia contestata la qualificazione attribuita dal giudice di merito al contratto intercorso tra le parti, le relative censure, per essere esaminabili, non possono risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, ma debbono essere proposte sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. o dell’insufficienza o contraddittorietà della motivazione, e, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, debbono essere accompagnate dalla trascrizione RAGIONE_SOCIALE clausole individuative dell’effettiva volontà RAGIONE_SOCIALE parti (la cui ricerca, che integra un accertamento di fatto, è preliminare alla qualificazione del contratto), al fine di consentire, in sede di legittimità, la verifica dell’erronea applicazione della disciplina normativa» (Cass. n. 13587 del 04/06/2010);
-«L’interpretazione del contratto, traducendosi in una operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in una indagine di fatto riservata al giudice di merito, censurabile in cassazione, oltre che per violazione RAGIONE_SOCIALE regole ermeneutiche, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per inadeguatezza della motivazione, ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., nella formulazione antecedente alla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, oppure – nel vigore della novellato testo di detta norma – nella ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti» (Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01).
Solo apparentemente infatti la denuncia involge l’applicazione RAGIONE_SOCIALE norme codicistiche sull’interpretazione dei contratti, chiedendo nella sostanza a questa Corte di revisionare la valutazione qualficatoria operata dal giudice tributario di appello in ordine alla fattispecie negoziale in esame.
Con il secondo motivo di entrambi i ricorsi -ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 115, 116, cod. proc. civ., poiché la CTR ha omesso di valutare la documentazione che ha dimesso in atti al fine della qualificazione del contratto oggetto del giudizio.
Le censure sono inammissibili.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nell’affermare che:
-«In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, RAGIONE_SOCIALE prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione» (Cass., n. 27000 del 27/12/2016, Rv. 642299 – 01);
-«In tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di
motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (Sez. 3 – , Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 02);
-«Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni RAGIONE_SOCIALE parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto» (Cass., n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01).
L’articolazione del mezzo de quo si pone chiaramente al di fuori del perimetro segnato da tali arresti giurisprudenziali e configura pertanto una critica non consentita alla sentenza impugnata.
Con il terzo motivo di entrambi i ricorsi -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione del principio unionale di neutralità dell’IVA, quale dettato dall’art. 168 della Direttiva 2006/112/CEE e del correlato principio di prevalenza della sostanza sulla forma, poiché la RAGIONE_SOCIALE, previa detta qualificazione del contratto RAGIONE_SOCIALE, le ha negato il rimborso ovvero la detrazione dell’IVA assolta in rivalsa relativamente al contratto stesso, in quanto “terza profittante” e quindi estranea alla genetica giuridica della fattispecie negoziale.
Le censure sono infondate.
In relazione al secondo parametro normativo la società contribuente introduce palesemente questioni di fatto (in ordine
alla sua posizione negoziale) che dipendono dalla qualificazione giuridica della convenzione RAGIONE_SOCIALE che, come detto in relazione ai primi due motivi, non sono ri-proponibili in questo giudizio.
La “sostanza” in rapporto alla “forma” contrattuale è stata infatti congruamente apprezzata dal giudice tributario di appello, con una valutazione meritale che non è appunto ulteriormente sindacabile in questa sede.
Ciò posto, è dunque chiaro che i “soggetti passivi” IVA dell’operazione in questione (permuta di suolo edificabile contro edificio costruito sullo stesso) sono -esclusivamente- i contraenti del rogito AVV_NOTAIO del 21 dicembre 2012 e che in relazione all’operazione medesima RAGIONE_SOCIALE non può essere considerata tale, nella sua accertata qualità di “terzo beneficiario”.
Ne deriva l’indubbia correttezza giuridica della sentenza impugnata sia sul piano della normativa interna sia di quella unionale, quest’ultima non utilmente evocata in relazione ad un’operazione che per la ricorrente non è assoggettabile ad IVA, sicchè in particolare non può esserne invocato il principio di neutralità dell’imposta.
In particolare l’insistita circostanza che la società contribuente sia stata l’effettiva acquirente del terreno permutato tra RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE, come detto dal giudice tributario di appello e come è del tutto corretto in diritto affermare, non può avere rilievo, non emergendo per tale solo fatto un’operazione imponibile ai fini dell’IVA, tanto più se l’elemento che in tal senso viene indicato come decisivo è il finanziamento di RAGIONE_SOCIALE da parte di RAGIONE_SOCIALE. Sotto tale profilo infatti si evidenzia la sussistenza di un’operazione meramente finanziaria/patrimoniale che in quanto tale non è né cessione di un bene né prestazione di un servizio.
E per la medesima ragione non può trovare applicazione nel caso di specie il novum normativo costituito dall’art. 6, comma 6, d.lgs.
471/1997, come modificato dall’art. 1, comma 935, legge 205/2017, essendo stato chiarito che «In tema di IVA, l’imposta erroneamente corrisposta in relazione ad un’operazione non imponibile non puo` essere portata in detrazione dal cessionario, nemmeno a seguito della modifica apportata dall’art. 1, comma 935, della I. n. 205 del 2017 all’art. 6, comma 6, del d.lgs. n. 471 del 1997. Invero, indipendentemente dalla sua efficacia retroattiva prevista dall’art. 6, comma 3 bis, del d.l. n. 34 del 2019, la menzionata disposizione si applica unicamente alla diversa ipotesi in cui, a seguito di un’operazione imponibile, l’IVA sia stata erroneamente corrisposta sulla base di un’aliquota maggiore rispetto a quella effettivamente dovuta. (Sez. 5 – , Sentenza n. 24289 del 03/11/2020, Rv. 659489 – 01; conf. Sez. 5 – , Ordinanza n. 18207 del 24/06/2021, Rv. 661788 – 01).
Né del resto la mera emissione di una fattura “diretta” da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE (n. 22/2012 del 21 dicembre 2012, coevamente al rogito notarile citato) non comporta affatto, di per sé, l’insorgenza del credito IVA de quo .
Infatti, più in generale, va ribadito che «In tema di IVA, ove sia erroneamente emessa fattura per operazioni non imponibili, il contribuente ha diritto al rimborso dell’imposta versata qualora provveda alla rettifica della fattura ai sensi dell’art. 26 del d.P.R. n. 633 del 1972, ovvero qualora sia accertato il definitivo venir meno del rischio di perdita di gettito erariale derivante dall’utilizzo o dalla possibilità di utilizzo della fattura da parte del destinatario della fattura ai fini dell’esercizio del diritto alla detrazione dell’imposta dovuta o assolta in via di rivalsa» (tra le molte, Sez. 5 – , Ordinanza n. 20843 del 30/09/2020, Rv. 659064 – 01; per la giurisprudenza unionale, cfr. cfr. Corte Giust., 8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE ; Corte Giust., 31 gennaio 2013, Stroy trans ; Corte Giust., 18 giugno 2009, Stadeco) .
Nel caso di specie tale consolidato principio di diritto implica che, non essendo imponibile l’operazione de qua , la mancata rettifica ex art. 26, dPR 633/1972 da parte dell’emittente ed addirittura le richieste di rimborso/detrazione proposte dalla destinataria società contribuente, implicano -esattamente- il “rischio di perdita” del gettito erariale posto quale limite non valicabile del principio di neutralità e specificamente del principio di “cartolarità” di cui agli artt. 6, quarto comma, 18, dPR 633/1972.
In buona sostanza, la fattispecie concreta in giudizio, quoad effectum , nel totale difetto del presupposto dell’ “imponibilità”, può senz’altro assimilarsi ad un’operazione oggettivamente inesistente, con pacifica indetraibilità/non rimborsabilità dell’IVA passiva.
Nel caso di specie non si tratta affatto di un contratto nullo/simulato, bensì, affatto diversamente, di un rapporto giuridicamente inesistente e perciò la pronuncia della Corte UE citata nell’ultima memoria depositata (C-114/22 del 25 maggio 2023) non ha alcuna pertinenza al caso stesso, riguardando la prima fattispecie, non quella in esame.
Le considerazioni che precedono rendono dunque all’evidenza del tutto irrilevanti le considerazioni particolarmente riprese nelle memorie dell ricorrente in ordine a, presunte, violazioni della normativa unionale in materia di IVA e correlativamente elidono la possibilità di un rinvio pregiudiziale interpretativo alla Corte di giustizia dell’ UE.
Con il quarto motivo del solo secondo ricorso -ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.la ricorrente si duole della violazione/falsa applicazione degli artt. 2697, 2709, 2710, 2727, 2729, cod. civ., poiché la CTR ha affermato l’insufficienza/irrilevanza probatoria dei documenti contabili versati nel giudizio avente ad oggetto la detrazione dell’imposta.
La censura è inammissibile per più ragioni.
Anzitutto bisogna ribadire che:
-«In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura é possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» ( ex multis Cass., n. 26110 del 2015);
-«Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e RAGIONE_SOCIALE prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Cass. n. 9097 del 07/04/2017);
-«La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione RAGIONE_SOCIALE acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poichè in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui
all’art. 360, n. 5, c.p.c.» (Cass., n. 17313 del 19/08/2020, Rv. 658541 – 01);
-«In tema di valutazione RAGIONE_SOCIALE prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione RAGIONE_SOCIALE predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012» (Sez. 3 – , Sentenza n. 23940 del 12/10/2017, Rv. 645828 – 02);
-«Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni RAGIONE_SOCIALE parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto» (Cass., n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157 – 01).
E’ del tutto chiaro che, per come, stringatamente, articolato, il mezzo si pone al di fuori del perimetro del giudizio di legittimità tracciato da detti consolidati arresti giurisprudenziali, secondo il parametro prescelto ( error in judicando in jure ), attingendo il libero
e discrezionale apprezzamento RAGIONE_SOCIALE prove riservato al giudice di merito, non sindacabile da questa Corte.
In conclusione i ricorsi vanno rigettati.
Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte rigetta i ricorsi; condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 15.000 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Cosi deciso in Roma 15 maggio 2024
Il presidente
Il consigliere est.