Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2585 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2585 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3248/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, PARZIALE COGNOME (CODICE_FISCALE;
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. NAPOLI n. 5617/2017 depositata il 20/06/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La RAGIONE_SOCIALE ha impugnato il provvedimento di diniego di rimborso del credito IVA per l’anno 2011 e la
Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Napoli ha accolto il ricorso.
L’Agenzia delle entrate ha proposto appello, insistendo sul fatto che la società era stata inattiva ab initio e si trattava di ‘società senza impresa’, in quanto priva di beni strumentali all’esercizio dell’impresa e di dipendenti.
La Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Campania, con la sentenza in epigrafe, ha rigettato il gravame, osservando che la detrazione spetta anche in assenza di operazioni attive nel periodo di imposta, in particolare quando si tratta di spese propedeutiche all’inizio dell’attività ; in questo caso l’IVA si riferiva all’acquisto dell’immobile (una villa settecentesca), per la quale era stata presentata dichiarazione di inizio dell’attività di restauro, bloccata dalla Soprintendenza, cosicché il mancato compimento di operazioni attive non era dipeso dalla volontà dell’imprenditore al quale non poteva negarsi il diritto alla detrazione.
Contro questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che si è affidata a due motivi.
Ha resistito con controricorso la contribuente che ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 36 d.lgs. n. 546/1992, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 cost., per mancanza ovvero mera apparenza della motivazione in particolare laddove si è affermato che « la decisione impugnata va censurata sia perché ha negato l’esercizio della detrazione in assenza di operazioni attive, operazioni che il contribuente non poteva compiere per effetto del provvedimento della Sovrintendenza e sia perché tale diritto non poteva essere escluso in quanto la detrazione richiesta riguardava come precedentemente evidenziato, spese propedeutiche alla fase
preparatoria dell’attività che il contribuente intendeva svolgere ». Secondo l’appellante tale motivazione è obiettivamente incomprensibile, illogica e non coerente in quanto il riconoscimento della erroneità della sentenza impugnata avrebbe dovuto condurre all’annullamento della stessa e all’accoglimento dell’appello.
Il motivo è infondato.
1.1. Va premesso che il controllo sulla sentenza di merito impugnata, resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza -di ‘mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata (Cass. n. 23940 del 2018; Cass. sez. un. 8053 del 2014), a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (v., ultimamente, anche Cass. n. 7090 del 2022).
1.2. In questo caso la sentenza non è né incomprensibile né illogica, risultando evidente dalla lettura dell’intero provvedimento che l’espressione « decisione impugnata », di cui al passaggio motivazionale oggetto di censura, si riferisce non alla sentenza di primo grado ma al provvedimento di diniego del rimborso del credito IVA.
1.3. La CTR, in dispositivo, « rigetta l’appello » e in motivazione argomenta diffusamente, in maniera coerente e pertinente, le ragioni di conferma della decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso della contribuente contro il provvedimento di diniego di rimborso. Si legge, infatti, nei passaggi argomentativi che precedono il passo contestato: « Nel caso in esame la Commissione Regionale ravvisa, nelle circostanze concrete esaminate, il presupposto di inerenza dell’operazione ai fini IVA
(acquisto immobile, dichiarazione di inizio attività per il restauro della villa, blocco delle opere di ristrutturazione da parte della Sopraintendenza, completamento delle opere primarie; invio al Comune di Benevento di una manifestazione di interesse finalizzata alla applicazione dell’art. 7 co. 2 L.R. n. 19/09 sul terreno di proprietà e relativa presentazione P.U.A., nomina del tecnico da parte del Comune); le spese effettuate costituiscono delle condizioni necessarie perché l’attività tipica possa concretamente iniziare e quindi si tratta di attività meramente preparatorie, poste in essere in una fase in cui non vi è ancora produzione di ricavi. La posizione della giurisprudenza prevalente della S.C., dalla quale questa Commissione non intende discostarsi, trae fondamento dai principi espressi, in più occasioni, dalla Corte di Giustizia tanto nella sesta direttiva CEE tanto nella vigente direttiva n. 2006/112/CE (detraibilità dell’iva versata per acquisiti di beni e servizi utilizzati per effettuare operazioni soggette ad imposta). L’art. 168, par. 1 lett. a) Direttiva n. 2006/112/CE, corrispondente all’art. 17, par. 2 lett. a) dell’abrogata Sesta Direttiva, stabilisce, infatti, che: ‘nella misura in cui i beni e servizi sono impiegati ai fini delle sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall’importo dell’imposta di cui è debitore….l’IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo’ ».
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 30 della legge 724/1994 in combinato disposto con gli artt. 4 e 19 del d.P.R. 633/1972, perché la CTR non aveva applicato la normativa relativa alle società non operative ma si era limitata a verificare che le spese erano propedeutiche alla fase preparatoria dell’attività di impresa e che si trattava di spese inerenti; invece, la detrazione
doveva essere negata in quanto si trattava di società non operativa o ‘di comodo’.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto nuovo, come eccepito dalla controricorrente, non risultando che la ricorrenza dei presupposti di non operatività della società ex art. 30 l. n. 724/1994 sia stata dedotta nel giudizio di merito. Invero, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche, in virtù del principio di autosufficienza, indicare in quale specifico atto del grado precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 18018 del 2024; Cass. n. 20694 del 2018). Inoltre, i l giudizio di cassazione ha, per sua natura, la funzione di controllare la difformità della decisione del giudice di merito dalle norme e dai principi di diritto, sicché sono precluse non soltanto le domande nuove, ma anche nuove questioni di diritto, qualora queste postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito che, come tali, sono esorbitanti dal giudizio di legittimità (Cass. n. 15196 del 2018; Cass. n. 19350 del 2005).
2.2. Oltre a ciò la questione risulta infondata alla luce della recente pronuncia della Corte di giustizia (sentenza 7 marzo 2024, RAGIONE_SOCIALE, in causa C -341/22), con cui si è stabilito, proprio con riferimento all’art. 30 l. n. 724/1994, che « l’articolo 167 della direttiva 2006/112 nonché i principi di neutralità dell’IVA e di proporzionalità ostano a una normativa nazionale in forza della quale il soggetto passivo è privato del diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte, a causa
dell’importo, considerato insufficiente, delle operazioni rilevanti ai fini dell’IVA effettuate da tale soggetto passivo a valle », che deve quindi essere disapplicata laddove pone una presunzione che si fonda « su un criterio, quello di una soglia di ricavi, che è estraneo a quelli richiesti ai fini della dimostrazione di un’evasione o di un abuso » poiché prescinde da una valutazione « della realtà effettiva delle operazioni rilevanti ai fini IVA » ed è ancorata solo al parametro della « valutazione del volume » degli affari (par. 39), sicché essa « eccede quanto necessario per conseguire l’obiettivo di prevenire le evasioni e gli abusi » (par. 42).
Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore del/la controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed altri accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.