Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33748 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33748 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 3518/2016 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA), in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE (C.F. P_IVA),
in persona del curatore pro tempore, rappresentata e difesa -giusto decreto del G.D. del Fallimento dall’Avv. Prof. NOME COGNOMEc.f. CODICE_FISCALE), dall’Avv. NOME COGNOMEC.F.
Oggetto: tributi – interessi attivi -sopravvenienze passive – perdite su crediti -competenza – IVA detrazione – cessionario applicazione di aliquota errata da parte del cedente
PVI CODICE_FISCALE) e dall’Avv. Prof. NOME COGNOMEC.F. CODICE_FISCALE in virtù di procura speciale a margine del ricorso, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, al INDIRIZZO
-controricorrente e ricorrente incidentale -avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 1159/01/15, depositata in data 2 luglio 2015 Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME nella pubblica udienza del 6 novembre 2024; udita la relazione del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso principale e del ricorso incidentale ; Generale dello Stato per il udito l’Avv. COGNOME dell’Avvocatura ricorrente;
FATTI DI CAUSA
1. La società contribuente RAGIONE_SOCIALE ha impugnato un avviso di accertamento, relativo al periodo di imposta 2008, con il quale venivano recuperate maggiori IRES e IVA, oltre sanzioni e accessori. L’avviso faceva seguito a PVC del 16 marzo 2011, con il quale venivano contestati alla società contribuente: 1) l ‘omessa dichiarazione di interessi attivi su somme concesse a mutuo nei confronti di società partecipate il cui saggio, in assenza di indicazione da parte della contribuente, veniva stabilito nella misura del 3%; 2) l’indebita deduzione di perdite su crediti, ritenute sopravvenienze passive indeducibili in quanto attenenti a quattro note di credito indebitamente contabilizzate al conto perdite su crediti in relazione a quattro fatture emesse del 2008 (aventi ad oggetto ricavi per adeguamento prezzi in conto fatture da emettere per esercizi precedenti) ; 3) l’ indebita detrazione IVA con aliquota ordinaria (20%) sulle fatture di acquisto dei fornitori anziché con quella ridotta (10%)
effettivamente spettante nel caso di specie, trattandosi di prestazioni relative alla gestione di rifiuti solidi urbani.
La CTP di Venezia ha accolto il ricorso.
La CTR del Veneto con la sentenza qui impugnata, ha rigettato l’appello dell’Ufficio. Ha ritenuto il giudice di appello, quanto all’omessa dichiarazione di interessi attivi, che è stata fornita la prova che i finanziamenti erogati alle società partecipate fossero infruttiferi, osservando che il contribuente possa offrire la prova contraria della natura onerosa dei mutui di cui all’art. 45, secondo comma, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) in qualsiasi modo. Quanto alle perdite su crediti, riqualificate come sopravvenienze passive, il giudice di appello ha rilevato che la perdita si era resa necessaria per essere stati i crediti contabilizzati negli esercizi precedenti, concorrendo alla determinazione del reddito di impresa, laddove la sopravvenienza si sarebbe dovuta contabilizzare per eventi imprevedibili; è, inoltre, stato ritenuto che nel periodo di imposta 2008 si fosse realizzata la certezza dell’impossibilità del realizzo del credito . Ha, infine, rigettato l’appello in punto IVA, in quanto il diniego della detrazione per una imposta effettivamente versata ai fornitori, avente a oggetto prestazioni in materia di trattamento e lavorazione dei rifiuti in misura maggiore del dovuto, avrebbe violato il principio di neutralità.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Ufficio , affidato a sette motivi. Si è costituito con controricorso il fallimento della società contribuente, dichiarato nelle more, il quale propone a sua volta ricorso incidentale condizionato affidato a un motivo.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. , dell’art. 7 d. lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, nonché dell’art. 36 d. lgs. n.
546/1992, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che i finanziamenti erogati nel 2008 a beneficio delle società controllate non generassero interessi. Osserva parte ricorrente che la contestazione si riferiva a tre diversi finanziamenti, due erogati a società partecipate e uno a società consorziata, laddove la sentenza si sarebbe pronunciata solo sul finanziamento erogato a quest’ultima , incorrendo in omessa pronuncia. Parallelamente, in relazione alle due società partecipate la motivazione sarebbe priva di motivazione anche grafica.
Con il secondo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. , nonché degli artt. 115, 45 e 46 TUIR in relazione alle medesime statuizioni. Deduce parte ricorrente che fosse stata accertata in giudizio la dazione di somme a mutuo nei confronti delle partecipate, con conseguente presunzione di onerosità, laddove la sentenza impugnata ha ritenuto che le somme fossero state erogate per titoli diversi dal mutuo.
Con il terzo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazine degli artt. 1815, 2697, 2727 e 2729 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che, quanto alla consorziata RAGIONE_SOCIALE, l’erogazione finanziaria non sia avvenuta a titolo di mutuo. Osserva parte ricorrente di avere fornito diversi elementi indiziari che rivelavano che i finanziamenti erogati alla consorziata fossero avvenuti a titolo di mutuo, attesa la consegna della provvista e il tenore delle scritturazioni contabili della società contribuente quale « altri crediti – finanz. », con conseguente natura della traditio di contratto di mutuo con obbligo di restituzione.
Con il quarto motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 45 e 109 TUIR, nonché degli artt. 2729 -2729
cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che la società contribuente abbia fornito la prova contraria della natura non onerosa del finanziamento. Osserva parte ricorrente che la presunzione di onerosità del mutuo si riferisce alla maturazione degli interessi e non anche alla loro effettiva percezione, prova che può essere superata ove vi sia una clausola negoziale lo escluda. Diversamente, la prova offerta da parte contribuente si incentrerebbe sulla prova dell’omessa percezione e su un verbale di assemblea del debitore, che non proverebbero la pattuizione in tal senso con il creditore erogante.
5. Con il quinto motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 101 e 109 , nonché dell’art. 2697 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha escluso che le note di credito emesse nei confronti di alcuni Comuni potessero qualificarsi come sopravvenienze passive, anziché -come propugnato dalla contribuente -come perdite su crediti. Osserva parte ricorrente che nei periodi di imposta 2004 -2007 la contribuente aveva indicato crediti poi oggetto di emissione di fatture nel successivo esercizio 2008, prontamente stornate con note di credito stante la contestazione da parte dei debitori (Comuni fruitori dei servizi erogati dalla contribuente). Deduce parte ricorrente che le perdite su crediti possono configurarsi solo in caso di inesigibilità materiale del credito, non anche nel caso in cui il credito originario -come nella specie -fosse stato ritenuto parzialmente indebito per effetto delle contestazioni dei clienti. Diversamente -osserva parte ricorrente -nell’esercizio nel quale si è manifestat si verterebbe in tema di sopravvenienze attive derivanti da errori contabili del contribuente, per i quali manca il requisito della certezza, le quali sono deducibili solo o il ricavo. Trattandosi di note di credito relative a crediti insorti in precedenti periodi di imposta (2004
-2007), la sentenza impugnata avrebbe dovuto accertare se tali ricavi fossero originariamente certi.
Con il sesto motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 109 TUIR nonché dell’art. 2697 cod. civ., in relazione alla medesima statuizione di cui al superiore motivo. Osserva parte ricorrente che il giudice di appello non avrebbe accertato che la società contribuente potesse rendersi conto, con l’ordinaria diligenza, che solo nel 2008 i crediti originariamente sorti non si sarebbero potuti incassare nella loro integralità.
Con il settimo motivo del ricorso principale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 18, 19, 21, 26 d.P.R. n. 633/1972, nella parte in cui la sentenza impugnata ha rigettato la ripresa per indebita detrazione IVA ad aliquota ordinaria sulle fatture di fornitori relative a prestazioni di rifiuti. Osserva parte ricorrente che l’IVA detraibile è quella effettivamente dovuta, indipendentemente da quanto indicato in fattura , tanto che l’emittente che versasse l’IVA indebitamente percepita in rivalsa, la verserebbe fuori conto e la relativa obbligazione andrebbe isolata dalla massa di operazioni effettuate e risulterebbe estranea al meccanismo di compensazione a valle; sarebbe stato, pertanto, onere della contribuente -diversamente da quanto sostenuto nella sentenza impugnata -a farsi parte diligente per ottenere la restituzione dell’IVA versata in rivalsa in eccesso.
Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato si invoca lo ius superveniens in tema di sanzioni per effetto del d. lgs. 24 settembre 2015, n. 158 a novella del d. lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.
Vanno preliminarmente rigettate le eccezioni preliminari articolate dal controricorrente. Con la prima eccezione, il fallimento sostiene l’inammissibilità del ricorso per essere questo stato notificato
al difensore della società, dichiarata fallita durante il procedimento di appello, difensore che aveva anche rinunciato al mandato. Premesso che il difensore conserva l’ultrattività del mandato sino alla nomina di nuovo difensore, va ribadito in questo caso il principio secondo cui, qualora sia intervenuta la dichiarazione di fallimento della parte processuale, nelle more tra la pubblicazione della sentenza di primo grado e la proposizione dell’appello (come anche nel caso in cui la dichiarazione sia intervenuta successivamente), la notifica dell’atto di appello effettuata presso il procuratore domiciliatario del debitore che sia stato assoggettato a procedura concorsuale liquidatoria anziché nei confronti del curatore del fallimento, non è inesistente ma nulla. Deve, difatti, ravvisarsi un collegamento tra la figura del curatore e la persona del fallito e, di conseguenza, in caso di omessa costituzione del fallimento, deve disporsene la rinnovazione (Cass., Sez. V, 19 settembre 2024, n. 25236; Cass., Sez. V, 7 dicembre 2023, n. 34371; Cass., Sez. V, 21 giugno 2016, n. 12785, cit.; Cass., Sez. VI, 11 aprile 2014, n. 8624; Cass., Sez. VI, 7 giugno 2012, n. 9281; Cass., Sez. V, 9 aprile 2008, n. 9214; Cass., Sez. II, 29 marzo 2006, n. 7252), dovendo la notifica essere effettuata « presso il domicilio dell’organo pubblico cui spetta la rappresentanza della stessa » (Cass., Sez. V, 23 marzo 2007, n. 7161); disciplina, quella della nullità della notificazione, applicabile anche al processo tributario (Cass., Sez. V, 10 gennaio 2013, n. 384; Cass., Sez. VI, 6 dicembre 2022, n. 35884). Trattandosi di nullità della notificazione del ricorso, la stessa deve ritenersi sanata dalla costituzione in giudizio del fallimento, benché originariamente intimato per tramite del difensore della società contribuente.
10. Parimenti infondata è l’eccezione di inammissibilità del ricorso per essere lo stesso confezionato in modo da comprendere le parti della motivazione della sentenza impugnata e le relative censure.
11. Il primo motivo è infondato (così assorbendosi la preliminare eccezione di inammissibilità del motivo), non trattandosi nel caso di specie di omessa pronuncia (ovvero di carenza di motivazione ancorché grafica) in relazione ai finanziamenti di due società partecipate, bensì di pronuncia espressa. La motivazione della sentenza impugnata ha investito nel quantum il complesso dei finanziamenti erogati dalla società controllante (come osservato dallo stesso Pubblico Ministero durante la discussione orale), costituendo il riferimento alla richiesta di finanziamento alla società RAGIONE_SOCIALE -come osserva parte controricorrente -una motivazione di rinforzo, che andava a corroborare il quadro probatorio complessivo.
12. Per economia processuale si esamina il quarto motivo in via preliminare rispetto ai precedenti due motivi, con cui il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che la società contribuente avrebbe fornito la prova contraria della natura gratuita della concessione dei finanziamenti. Il motivo si rivela duplicemente inammissibile. In primo luogo -come osservato dal controricorrente -il motivo di censura induce una diversa lettura del materiale probatorio che ha condotto il giudice di appello a ritenere fornita la prova che i finanziamenti sono stati erogati a titolo gratuito. In secondo luogo, il motivo non investe pienamente la ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo cui la prova contraria circa la natura gratuita dei finanziamenti alle società controllate e, in generale, per le dazioni di capitale ex art. 45, comma 2, TUIR, ai contribuenti sarebbe possibile fornire la prova contraria in forma libera. Il ricorrente censura la statuizione del giudice di appello per il fatto che gli elementi addotti dalla contribuente riguarderebbero la prova della mancata percezione delle somme, ma non la prova della mancata maturazione di interessi, argomento questo estraneo alla motivazione della sentenza impugnata.
Per l’effetto, deve rilevarsi che sul punto (ripresa n. 1) la sentenza impugnata è dotata di doppia motivazione, l’una fondata sulla mancata prova da parte dell’Ufficio dell’esistenza di finanziamenti a titolo oneroso, l’altra sull’assolvimento della prova contraria da parte contribuente della natura gratuita delle dazioni di capitale. Essendosi consolidata la seconda ratio decidendi , il ricorrente non ha interesse all’esame del secondo e terzo motivo, che vanno dichiarat i inammissibili per difetto di interesse.
Il quinto e il sesto motivo, i quali possono essere esaminati congiuntamente, attesi i profili coinvolti, sono infondati. L’amministrazione ricorrente contesta l’indeducibilità per difetto di competenza di quattro note di credito emesse nel 2008, relative a quattro fatture emesse nel medesimo periodo di imposta, benché relative a crediti originariamente contabilizzati nei precedenti esercizi, sia per erronea contabilizzazione tra le perdite su crediti anziché tra le sopravvenienze passive, sia per incertezza del momento in cui si sarebbe determinata la perdita. Inammissibile, in quanto estranea alla motivazione della sentenza impugnata è, invece, la censura secondo cui gli originari crediti sarebbero privi di certezza, per cui le spese sarebbero indeducibili tout court (come rileva correttamente il controricorrente), posto che la questione attiene, in questo caso, alla corretta individuazione del periodo di competenza della sopravvenienza.
In disparte il tentativo di parte ricorrente di rimettere in discussione l’accertamento in fatto compiuto dal giudice di appello, secondo cui nel 2008 si erano verificare le condizioni di certezza dell’impossibilità di realizzo dei crediti iscritti negli esercizi precedenti al conto fatture da emettere e poi fatturati nel corso dello stesso esercizio (2008), va richiamato il principio affermato da questa Corte secondo cui « premessa la distinzione generale tra perdite di natura
realizzativa (o perdite di realizzo) e perdite di natura valutativa (o perdite da svalutazione), pur riconducendosi solo le prime al venir meno della titolarità giuridica del credito, laddove per le seconde ne sussiste ancora una astratta esigibilità, ciò non esclude che anche le perdite da svalutazione, quando analiticamente considerati i crediti, possano annoverarsi tra quelle deducibili, qualora elementi certi e precisi, riferibili alla singola posizione, ne dimostrino l’irrecuperabilità » (Cass., Sez. V, 29 novembre 2021, n. 37174).
16. Che si tratti di sopravvenienza passiva (registrata tra i componenti straordinari di reddito, ovvero tra gli oneri diversi di gestione), ovvero di perdita su crediti (con imputazione specifica al conto perdite su crediti), ciò che comporta la deducibilità nell’esercizio di competenza in cui sono emesse le note di credito è la certezza del momento in cui la perdita di reddito si sia verificata, perdita che nel caso di specie attiene specificamente al mancato realizzo dei crediti originariamente contabilizzati nei bilanci degli esercizi precedenti, ma oggetto di fatturazione nel corso del medesimo esercizio. Pertanto, anche per le sopravvenienze passive « l’anno di competenza per operare la deduzione stessa deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perché in quel momento si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità» (Cass., Sez. V, 12 novembre 2021, n. 33706). La sentenza impugnata, nella parte in cui ha dedotto che le perdite su crediti, a qualificarsi secondo l’Ufficio come sopravvenienze passive quand’anche iscritte e imputate specificamente al conto perdite su crediti -sono state correttamente contabilizzate nell’esercizio 2008 perché « nell’anno 2008 si è anche realizzata la certezza della impossibilità di realizzare il credito », ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi.
17. Il settimo motivo è fondato nei termini che seguono, così rigettandosi l’eccezione di inammissibilità articolata dal controricorrente, avendo il ricorrente censurato correttamente la statuizione del giudice di appello. Secondo il diritto dell’Unione, l’esercizio della detrazione IVA è limitato all’imposta dovuta e non si estende all ‘ IVA dovuta per il solo fatto di essere indicata nella fattura (CGUE, 21 febbraio 2018, Kreuzmayr, C-628/16, punto 43; CGUE, 31 gennaio 2013, LVK, C-643/11, punto 34; CGUE, 15 marzo 2007, RAGIONE_SOCIALE, C -35/05, punto 23; CGUE, 13 dicembre 1989, Genius, C -342/87, punti 13 e 19).
18. Parimenti, la giurisprudenza di questa Corte ritiene che in caso di operazione assoggettata a errata aliquota IVA, eccedente rispetto a quella applicabile, non è ammessa la detrazione dell’imposta pagata e fatturata atteso che, ai sensi dell’art. 19, d.P.R. n. 633/1972, in conformità a l diritto dell’Unione , l’esercizio del relativo diritto presuppone l’effettiva realizzazione di un’operazione assoggettabile a tale imposta nella misura dovuta; diversamente, per la misura non dovuta, sono privi di fondamento sia il pagamento dell’imposta da parte del cedente, con conseguente diritto al rimborso, sia la rivalsa eventualmente effettuata dal cedente nei confronti del cessionario, con conseguente diritto alla relativa restituzione per la parte erroneamente versata, nonché disconoscimento della detrazione indebitamente operata dal cessionario (Cass., Sez. V, 30 maggio 2023, n. 15266; Cass., Sez. V, 19 aprile 2023, n. 10531; Cass., Sez. V, 8 novembre 2022, n. 32900; Cass., Sez. VI, 10 febbraio 2022, n. 4301; Cass., Sez. V, 23 dicembre 2020, n. 29351; Cass., 24 maggio 2019, n. 14179; (Cass., Sez. V, 15 maggio 2015, n. 9942; Cass., Sez. V, 2 luglio 2014, n. 15178).
19. Ne consegue che l’erronea indicazione nelle fatture di acquisto di IVA con aliquota non dovuta non consente al cessionario di portare
in detrazione l’importo ivi indicato per il solo fatto che l’importo sia stato esposto in fattura, dovendosi invece applicare l’aliquota effettivamente dovuta per le relative prestazioni di beni o servizi acquistate dal cessionario, restando per la differenza il cessionario creditore nei confronti del cedente per l’imposta indebitamente assolta in rivalsa. La sentenza impugnata non ha fatto corretta applicazione del suddetto principio e va cassata per nuovo esame in punto detrazione effettivamente spettante.
20. All’accoglimento del settimo motivo del ricorso principale segue l’accoglimento del ricorso incidentale, dovendo il giudice del rinvio fare applicazione dello ius superveniens in tema di sanzioni. Al giudice del rinvio è rimessa anche la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il settimo motivo del ricorso principale e il ricorso incidentale; rigetta gli ulteriori motivi del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Veneto, in diversa composizione, anche per la regolazione e la liquidazione delle spese processuali del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 6 novembre 2024