Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 17536 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 17536 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22497/2021 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 634/2021 depositata il 03/02/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con avviso di accertamento n. TK3066101530/2013 l’Agenzia delle Entrate -Direzione Provinciale I di Roma recuperava a tassazione una maggior imposta Iva pari ad euro 357.498,00, ritenuta indebitamente detratta in quanto afferente a fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti emesse dalla società verificata RAGIONE_SOCIALE nei confronti delle società utilizzatrici.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla CTP Roma, la quale con la sentenza n. 8591/05/2015 accoglieva il ricorso e, conseguentemente, annullava integralmente l’atto impositivo.
Avverso tale pronuncia, l’Ufficio proponeva appello dinanzi alla CTR del Lazio, che con sentenza n. 634/17/2021, depositata in data 03/02/2021, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
L’Ufficio propone ora ricorso per cassazione affidato a due motivi.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 del D.P.R. n. 633/1972 in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3) c.p.c., per aver la CTR annullato l’atto impositivo ritenendo non soddisfatto l’onere della prova a carico dell’Agenzia in ordine all’interposizione fittizia di RAGIONE_SOCIALE, del tutto trascurando il fatto, di per sé sufficiente a fondare la pretesa impositiva, che la contribuente nulla abbia dedotto sull’omessa contabilizzazione delle fatture contestate e sul mancato assolvimento dell’imposta a debito.
Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 del D.P.R. 633/1972, 2727 e 2729, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c, per aver la CTR deciso in modo non conforme rispetto ai principi espressi dalla giurisprudenza nomofilattica in tema di operazioni oggettivamente inesistenti.
I due motivi, suscettibili di trattazione unitaria per intima connessione, si palesano fondati e vanno accolti.
Mette in conto premettere che il principio di neutralità dell’Iva esige che la detrazione dell’Iva a monte sia accordata « se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti » (Corte di Giustizia, sentenza 8 maggio 2008, nei procedimenti riuniti C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, punto 63; v. anche sentenza 17 luglio 2014, in C-272/13, Equoland), postulando, pertanto, che gli acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’Iva attinente a tali acquisti e che i beni o i servizi di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili (v. anche Corte di Giustizia, sentenza 11 dicembre 2014, in C-590/13, RAGIONE_SOCIALE, punto 43). Anche di recente, poi, la Corte di Giustizia è tornata a ribadire che, « qualora i requisiti sostanziali siano soddisfatti … esistono due sole fattispecie nelle quali l’inosservanza di un requisito formale può comportare la perdita del diritto all’esenzione dall’Iva », ossia « se tale violazione ha come effetto d’impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali » e se il «soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale » (Corte di Giustizia, sentenza 17 ottobre 2019, in C-653/18, Unite’ sp. z o.o.). Le affermazioni della Corte di Giustizia sono state fatte proprie dalla Corte di Cassazione, la quale, ripetutamente, ha precisato che per il principio di neutralità dell’Iva la detrazione dell’imposta a monte va accordata, nonostante l’inadempimento di taluni obblighi formali, se sono soddisfatti tutti gli obblighi sostanziali, di cui le violazioni formali non impediscano la prova certa (v. Cass. n. 7576 del 2015; v. anche, in tema di acquisti intracomunitari, Cass. n. 16367 del 2020).
La Corte di Giustizia con la sentenza 28 luglio 2016, in C-332/15, con specifico riguardo al caso di un soggetto che, non presentata la dichiarazione Iva, era stato altresì inosservante dell’obbligo di
registrazione delle fatture, ha chiarito il perimetro di incidenza dell’inosservanza degli obblighi formali ai fini del riconoscimento o meno del diritto di detrazione dell’Iva. In particolare, il giudice unionale, dopo aver ricordato che « secondo una giurisprudenza costante, il principio fondamentale della neutralità dell’IVA esige che la detrazione dell’IVA pagata a monte venga riconosciuta se sono soddisfatti i requisiti sostanziali, quand’anche taluni requisiti formali siano stati disattesi dal soggetto passivo », salva l’ipotesi in cui « l’inosservanza di tali requisiti formali abbia l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del soddisfacimento dei requisiti sostanziali » (par. 44 e 46), ha precisato che i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, come quelli previsti nel capo 1 del titolo X della direttiva IVA, intitolato « Origine e portata del diritto a detrazione », mentre i requisiti formali del suddetto diritto disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, come nel caso degli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione, la cui inosservanza può sì essere sanzionata ma non può rimettere in discussione il diritto alla detrazione (par. 47-49.). La Corte, tuttavia, ha anche evidenziato che un ulteriore limite al riconoscimento del diritto di detrazione in caso di violazioni formali discende dall’aver la parte deliberatamente omesso l’effettuazione degli obblighi formali in vista di un intento fraudolento e di evasione in quanto « l’omessa presentazione della dichiarazione IVA, così come la mancata tenuta di una contabilità, che permetterebbero l’applicazione dell’IVA e il suo controllo da parte dell’amministrazione finanziaria, nonché l’omessa registrazione delle fatture emesse e pagate, sono idonee ad impedire l’esatta riscossione dell’imposta e sono dunque atte a compromettere il buon funzionamento del sistema comune dell’IVA. Pertanto, il diritto dell’Unione non impedisce agli Stati membri di considerare
simili violazioni alla stregua di un’evasione fiscale e di negare, in tal caso, il beneficio del diritto a detrazione » (par. 56). Da ciò, dunque, il principio secondo il quale « Gli articoli 168, 178, 179, 193, 206, 242, 244, 250, 252 e 273 della direttiva 2006/112 devono essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale, come quella controversa nel procedimento principale, la quale permetta all’amministrazione finanziaria di negare a un soggetto passivo il diritto alla detrazione dell’imposta sul valore aggiunto, nel caso in cui sia accertato che tale soggetto ha violato in maniera fraudolenta -circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare – la maggior parte degli obblighi formali che esso era tenuto ad assolvere per poter beneficiare del suddetto diritto ».
L’inosservanza degli obblighi formali può, pertanto, determinare la perdita del diritto di detrazione dell’Iva quando: 1) la violazione ha l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali; 2) l’inosservanza degli obblighi formali sia finalizzata ad una evasione dell’imposta (v. Cass. n. 143 del 2022 in motivazione).
Orbene, la CTR, nel caso che occupa, ha testualmente evidenziato che ‘ non vi sono prove, o comunque indizi convincenti, idonei a convalidare la posizione di ‘interposta’ da parte di RAGIONE_SOCIALE a fronte della documentazione contrattuale fornita da quest’ultima, nonostante gli inadempimenti contabili e fiscali (mancata fatturazione), che, pur rilevanti, non possono indurre a ritenere fittizia l’attività di intermediazione ‘.
Nella specie, viene in rilievo nella sentenza d’appello un dato duplice trasversalmente trascurato dalla CTR. Innanzitutto, le fatture sono state emesse, ma non sono state contabilizzate; inoltre, l’Iva, ancorché andasse versata, non è stata corrisposta.
In definitiva, al netto del profilo concernente la fittizietà o meno delle operazioni, quel che rileva è che, da un lato, il giudice
d’appello ha tralasciato di valutare se l’inosservanza dei requisiti formali di contabilizzazione delle fatture abbia pregiudicato la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali; dall’altro lato, il giudice ha obliterato di valorizzare il profilo saliente della mancata corresponsione dell’Iva dovuta in relazione alle operazioni oggetto di causa. La sentenza, in tal guisa, ha fatto, in parte qua , erronea applicazione dei principi sopra diffusamente esposti.
Al dato ora messo in risalto si affianca -con particolare riguardo alla seconda censura -un altro profilo di erroneità della sentenza, dal momento che la CTR ricava la prova delle operazioni dalla documentazione prodotta dalla società, ignorando integralmente gli elementi presuntivi posti a fondamento dell’avviso di accertamento. L’Ufficio ha, in effetti, dedotto, in costanza di processo, plurimi elementi di matrice indiziaria, del tutto obliterati dalla CTR nel proprio sindacato di merito ed estromessi dal perimetro, pur necessario, di una valutazione analitica e complessiva. In particolare, l’Agenzia aveva evidenziato che: Arca non aveva mezzi; non disponeva di strumenti per effettuare i lavori esplicitati nelle fatture oggetto di verifica; aveva in carico solo 14 dipendenti; i pochi dipendenti erano tutti panificatori o commessi; Arca non aveva mai esibito alcuno specifico documento idoneo a dimostrare l’effettiva realizzazione delle opere di ristrutturazione indicate nelle fatture; Arca aveva, di contro, prodotto fatture prive di riferimenti a documenti di consegna di materiale utilizzabile nei cantieri; RAGIONE_SOCIALE aveva indicato nelle fatture emesse nel corso del 2008 una sede diversa da quella legale; RAGIONE_SOCIALE aveva trascurato di indicare nella fattura 1 dicembre 2008 n. 16/A la circostanza della messa in liquidazione volontaria della società; RAGIONE_SOCIALE non aveva depositato alcun bilancio; RAGIONE_SOCIALE non aveva esibito alcuna contabilità; la società anzidetta non aveva registrato le fatture, né aveva in alcun modo comprovato il pagamento delle stesse; Arca aveva indicato nella comunicazione annuale Iva relativa al 2008 un’Iva per un importo
divaricato rispetto alla misura di quella emergente dalla dichiarazione Iva e dal relativo volume d’affari.
La decisione impugnata, in alcuno dei passaggi motivazionali, mostra di aver correttamente vagliato la pregnanza degli elementi presuntivi addotti dall’Agenzia. Inoltre, ha abdicato interamente all’esame di tali elementi nel loro insieme, non atomisticamente, l’uno per mezzo degli altri, ancorché ognuno di essi, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria, può rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento. Va, al riguardo, ricordato il principio che « In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 cod. civ., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi » (Cass. n. 9054 del 2022; n. 14151 del 2022, sul giudizio inferenziale). Nello specifico, tali criteri avrebbero dovuto improntare la disamina degli elementi di prova indiziaria volti ad accreditare o ad escludere la ricorrenza dell’inesistenza oggettiva delle operazioni e a trarne i relativi corollari, per cui il ragionamento presuntivo svolto dal giudice di appello risulta viziato.
Il ricorso va, in ultima analisi, accolto. La sentenza d’appello dev’essere cassata e la causa rinviata alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, che provvederà ad un nuovo esame della causa e alla liquidazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata; rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 15/05/2025.