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Detrazione IVA: quando la conoscenza della frode la nega

Una società si è vista negare il diritto alla detrazione IVA sui canoni di leasing di un immobile. L’Amministrazione Finanziaria sosteneva che l’operazione fosse parte di una frode fiscale architettata da terzi. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 33992/2024, ha cassato la decisione dei giudici di merito, stabilendo un principio fondamentale: per perdere il diritto alla detrazione IVA, non è necessaria una partecipazione attiva alla frode, né un vantaggio fiscale diretto. È sufficiente che l’imprenditore, usando la normale diligenza professionale, sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione si inseriva in un contesto fraudolento. La Corte ha sottolineato come i giudici inferiori non abbiano correttamente valutato tutti gli indizi presentati, come i legami tra le compagini societarie coinvolte.

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Pubblicato il 11 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e Frode Fiscale: non serve partecipare, basta sapere

Il diritto alla detrazione IVA è un pilastro del sistema fiscale europeo, ma non è incondizionato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 33992/2024) ha ribadito un principio cruciale: un’impresa può perdere questo diritto se, pur non partecipando attivamente a una frode, era o avrebbe dovuto essere a conoscenza del disegno criminoso. Questa decisione sottolinea l’importanza della diligenza professionale nella scelta dei partner commerciali e nell’analisi delle operazioni economiche.

I Fatti del Caso: Una Complessa Operazione Immobiliare

Al centro della controversia vi è una società che da anni svolgeva la propria attività in un capannone industriale. Questo immobile era oggetto di un contratto di locazione con una società immobiliare. La vicenda si complica quando quest’ultima viene coinvolta in una serie di operazioni societarie e finanziarie intricate, riconducibili a un gruppo noto per la creazione di veicoli societari utilizzati in operazioni fittizie.

In un breve lasso di tempo, si verificano diversi passaggi:
1. Le quote della società immobiliare vengono cedute a fiduciarie.
2. L’immobile viene riscattato anticipatamente da una società di leasing.
3. Il giorno successivo, lo stesso immobile viene ceduto a un’altra società di leasing.
4. Infine, quest’ultima concede il capannone in locazione finanziaria alla società contribuente, che di fatto non aveva mai smesso di occuparlo.

L’Amministrazione Finanziaria ha contestato alla società contribuente la detrazione IVA sui canoni del nuovo contratto di leasing, sostenendo che l’intera catena di operazioni fosse simulata e finalizzata a una frode fiscale orchestrata da terzi.

Il Percorso Giudiziario e l’onere della prova sulla detrazione IVA

Nei primi due gradi di giudizio, i giudici tributari avevano dato ragione alla società contribuente. La loro motivazione si basava sull’assunto che la società fosse rimasta estranea alla presunta frode, non avesse avuto un ruolo attivo e non avesse ottenuto un vantaggio fiscale diretto, avendo semplicemente continuato a pagare i canoni e a detrarre la relativa IVA, come faceva in precedenza.

Tuttavia, l’Amministrazione Finanziaria ha impugnato la decisione davanti alla Corte di Cassazione, sostenendo che i giudici di merito avessero applicato un criterio sbagliato. Secondo il Fisco, il punto non era la partecipazione attiva, ma la ‘conoscibilità’ della frode da parte di un operatore economico diligente.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, cassando con rinvio la sentenza impugnata. Il ragionamento dei giudici si fonda sui consolidati principi della giurisprudenza europea e nazionale in materia di detrazione IVA.

Il punto centrale è che il diritto alla detrazione non può essere riconosciuto se il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, che l’operazione si inseriva in un’evasione commessa dal fornitore o da un altro operatore a monte della catena. La Corte ha chiarito che non sono necessari né il ‘coinvolgimento attivo’ né il conseguimento di un ‘vantaggio fiscale’ diretto da parte dell’acquirente.

La Cassazione ha duramente criticato la sentenza di secondo grado per due motivi principali:
1. Errato inquadramento giuridico: I giudici di merito si sono concentrati sulla figura dell’abuso del diritto, mentre la contestazione del Fisco verteva sulla frode fiscale, che è un concetto diverso e più grave.
2. Mancata valutazione degli indizi: La Corte territoriale ha ignorato o valutato in modo frammentario gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione. Tra questi, spiccava la sostanziale sovrapponibilità delle compagini sociali tra la società immobiliare originaria e la società contribuente, nonché il ruolo di alcuni soggetti chiave, protagonisti di tutte le fasi dell’operazione. Secondo la Cassazione, questi elementi andavano analizzati nel loro complesso per verificare se potessero costituire una prova presuntiva del fatto che la contribuente fosse a conoscenza, o potesse conoscere, la natura fraudolenta dell’operazione.

Le Conclusioni: Implicazioni per le Imprese

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutte le imprese. La lotta alle frodi fiscali, in particolare quelle carosello, richiede un elevato livello di attenzione e diligenza. Non è sufficiente agire in modo formalmente corretto; è necessario assicurarsi che le operazioni commerciali, soprattutto quelle complesse o anomale, non nascondano intenti evasivi da parte di altri soggetti della catena.

Le imprese devono quindi adottare adeguate misure di controllo e due diligence sui propri partner commerciali. La consapevolezza, anche solo potenziale, di partecipare a un’operazione fraudolenta può comportare conseguenze fiscali molto pesanti, prima fra tutte la perdita del diritto alla detrazione IVA, con il conseguente recupero dell’imposta e l’applicazione di sanzioni.

È necessario partecipare attivamente a una frode fiscale per perdere il diritto alla detrazione IVA?
No, secondo la Corte di Cassazione non è richiesta una partecipazione attiva. È sufficiente che l’imprenditore sapesse, o avrebbe dovuto sapere usando la normale diligenza professionale, che l’operazione era collegata a una frode commessa da un altro soggetto nella catena commerciale.

Come può l’Amministrazione Finanziaria dimostrare la conoscenza della frode da parte del contribuente?
L’Amministrazione può utilizzare prove presuntive, basate su indizi gravi, precisi e concordanti. Nel caso specifico, elementi come i legami societari tra le parti coinvolte e il ruolo ambiguo di certi intermediari avrebbero dovuto essere valutati complessivamente dal giudice per accertare la consapevolezza del contribuente.

Quale diligenza deve usare un’impresa per non essere coinvolta inconsapevolmente in una frode IVA?
L’impresa deve impiegare la ‘specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico’. Ciò significa che deve valutare attentamente le concrete modalità dell’operazione, le condizioni di tempo e di luogo e la natura dei partner commerciali, specialmente in presenza di circostanze anomale o complesse.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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