Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10195 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10195 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/04/2025
Oggetto: Tributi Iva 2015- detrazione -presupposti
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al numero 12562 del ruolo generale dell’anno 20 24, proposto
Da
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv.to NOME COGNOME (EMAIL, in forza di procura speciale allegata al ricorso, domiciliata presso la cancelleria della Corte di cassazione, in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
Contro
Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore;
-intimata – per la cassazione della sentenza della Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata n. 262/01/2023, depositata in data 22 novembre 2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME di Nocera;
RILEVATO CHE
1.RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , propone ricorso, affidato a sei motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata aveva rigettato l’appello proposto nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore , avverso la sentenza n. 141/01/2022 della Commissione Tributaria Provinciale di Potenza che aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla suddetta società , esercente l’attività di locazione immobiliare di beni propri, avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva contestato l’azzeramento della perdita dichiarata , ai fini delle imposte dirette, e recuperato, per il 2015, l’Iva non ammessa in detrazione pari a euro 34.734,00 (di cui euro 19.744,00, portata in detrazione nella dichiarazione ed euro 14.990,00 richiesti a rimborso), in relazione a fatture emesse dalla ditta RAGIONE_SOCIALE per la cessione di un immobile e a fatture emesse dalla medesima ditta per attrezzature collegate all’acquisto dell’immobile .
2 . E’ rimasta intimata l’Agenzia delle entrate;
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 111, comma 6, Cost. avendo la CGT di II grado
confermato, con una motivazione apparente, la legittimità dell’avviso di accertamento in questione, affermando contraddittoriamente che, da un lato, la società contribuente era titolare di partita Iva e che l’acquisto del bene immobile in questione era str umentale all’attività di impresa esercitata nel 2015 di locazione immobiliare di beni propri e, dall’altro, che non erano dovuti la detrazione Iva e il rimborso richiesto ; con ciò senza esplicitare le ragioni e l’iter logico- giuridico sotteso alla decisione.
1.1. Il primo motivo è infondato.
1.2.Come hanno sottolineato le Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 7.04.2014), l’anomalia motivazionale denunciabile in Cassazione è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’ esistenza della motivazione in sé, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; deve trattarsi, dunque, di un’anomalia che si esaurisce nella mancanza assoluta di motivazione s otto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili o nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile; – solo in tali casi la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, in quanto, benchè graficamente esistente, non rende percepibile il fondamento della decisione, perché reca argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. S.U. 3.11.2016, n. 22232). In particolare, «ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento» (Cass. n. 9105 del 2017; Cass. n. 25456 del 2018; n. 22949 del 2018; Cass., Sez. 1^, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass.,
Sez. 6^-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6^-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5^, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., sez. 6-5, 28829 del 2021).
1.3. Nella sentenza impugnata, la CGT – dopo avere ritenuto non condivisibile la pronuncia della CTP di inammissibilità del ricorso per invalidità della notifica dello stesso, essendo stata sanata dal raggiungimento dello scopo ai sensi dell’art. 156 c.p.c.- con una motivazione non affetta da una contraddittorietà irriducibile tra affermazioni inconciliabili e idonea a fare trasparire il percorso argomentativo seguito ha affermato che – per quanto costituissero circostanze incontestate la titolarità di partita Iva in capo alla società appellante e lo svolgimento, nell’anno di imposta 2015, di attività di locazione immobiliare di beni propri con conseguente strumentalità rispetto a tale attività dell’imm obile acquistato con atto notarile del 12.10.2015 dalla ditta COGNOME RAGIONE_SOCIALE -nel caso di specie, non risultava documentata la qualifica di imprenditore del cedente dell’immobile (COGNOME RAGIONE_SOCIALE) e il versamento da parte di quest’ultimo dell’Iva sull’atto di cessione (sottoposto a tassazione della sola imposta di registro, senza alcun riferimento ad un importo dovuto a titolo di Iva da parte della contribuente) ed erano emersi stretti rapporti tra la ditta-dante causa e la società contribuente (COGNOME NOME era padre dei tre soci di RAGIONE_SOCIALE, il domicilio fiscale di COGNOME Angelo era il medesimo della sede della RAGIONE_SOCIALE), tali da fare ritenere che la contribuente ‘ sapeva o comunque non poteva non sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si iscriveva in un contesto di evasione commessa dell’emittente della fattura ‘ , con conseguente illegittimità della detrazione dell’Iva in questione (in parte chiesta a rimborso). La motivazione è pertanto conforme al ‘minimo costituzionale’ di cui all’art. 111, sesto comma, Cost. (cfr. Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053, nonché, ex multis: Cass., 07/04/2021, n. 9288; Cass., 30/06/2020, n. 13248 Sez. 5, Ordinanza n. 15889 del 2024).
Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/73 per avere il giudice di appello confermato la legittimità dell’avviso in
questione senza considerare che la detrazione dell’Iva era stata effettuata dalla società – titolare di partita Ivain relazione all’acquisto di un immobile strumentale all’attività svolta da quest’ultima di locazione immobiliare di beni propri; pertanto, ad avviso della ricorrente, nella fattispecie, difettavano i presupposti di cui all’art. 39, comma 1, lett. d) cit. della ripresa effettuata.
2.1. Il motivo si profila in primo luogo inammissibile (in quanto non coglie la ratio decidendi ) e, comunque, nel merito infondato.
2.2. Va ribadito che il diritto alla detrazione è connesso alla effettività dell’operazione (requisito sostanziale) e non può essere subordinato ad adempimenti ed obblighi meramente formali. Infatti, la detrazione di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 non si ricollega alla formale corresponsione dell’imposta, che il soggetto passivo afferma a sua volta assolta o dovuta per l’acquisto di beni o servizi nell’esercizio dell’impresa, ma richiede che l’I.V.A. sia effettivamente dovuta, e cioè che tale imposta corrisponda ad operazioni effettivamente poste in essere ed ad essa soggette , in coerenza con quanto prescritto dagli 7 artt. 17 e 20 della sesta Direttiva del Consiglio CEE n. 77/388 e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia (sentenza 13 dicembre 1989, C342/87). Sul punto la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza C590/13 (RAGIONE_SOCIALE c/o Agenzia delle Entrate), emessa in tema di operazioni di acquisto intracomunitario soggette alla inversione contabile (cd. reverse charge), ha affrontato in modo generale il tema dei requisiti del diritto alla detrazione I.V.A. ed ha distinto tra requisiti sostanziali e requisiti formali, ribadendo che il principio di neutralità dell’I.V.A. esige che la detrazione dell’imposta a monte sia accordata se gli obblighi sostanziali sono soddisfatti, anche se taluni obblighi formali sono stati omessi dai soggetti passivi ( p. 38) e che può condurre ad una diversa soluzione solo la circostanza che la violazione di tali requisiti formali consegua l’effetto di impedire che sia fornita la prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali (p. 39). Conseguentemente, ciò che rende possibile la detrazione non è la realtà documentale della fattura, quanto l’effettività dell’operazione e il suo corretto assoggettamento all’imposta
esattamente dovuta . Infatti, mentre l’imposta a debito è comunque dovuta, come previsto dall’art. 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/1972, in forza del quale se l’I.V.A. è indicata in fattura essa deve comunque essere versata all’Erario, per l’I.V.A. a credito valgono i limiti e le regole indicati nell’art. 19 del d.P.R n. 633/1972, che stabilisce che l’imposta è detraibile se relativa ad operazione effettivamente svolta ed inerente all’attività d’impresa (ex multis, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 17701 del 2019).
2.3. Come affermato costantemente dalla Corte di Giustizia e ribadito, da ultimo, nella sentenza 15 settembre 2022, nella causa C-227/21, « 25. Il diritto dei soggetti passivi di detrarre dall’IVA di cui sono debitori l’IVA dovuta o versata a monte per i beni acquistati e per i servizi loro prestati costituisce un principio fondamentale del sistema comune dell’IVA istituito dalla normativa dell’Uni one. Il sistema delle detrazioni di cui all’articolo 168 della direttiva IVA è inteso ad esonerare interamente l’imprenditore dall’IVA dovuta o assolta nell’ambito di tutte le sue attività economiche. Il sistema comune dell’IVA garantisce pertanto la neutralità dell’imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati di dette attività, purché queste s iano, in linea di principio, di per sé soggette all’IVA (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Senatex, C-518/14, EU:C:2016:691, punti 26 e 27 e giurisprudenza ivi citata). Come ripetutamente sottolineato dalla Corte, il diritto a detrazione previsto dagli articoli 167 e seguenti della direttiva IVA costituisce parte integrante del meccanismo dell’IVA e, in linea di principio, non può essere soggetto a limitazioni (sentenza del 16 ottobre 2019, RAGIONE_SOCIALE, C-189/18, EU:C:2019:861, punto 33 e giurisprudenza ivi citata). 26. A tal riguardo, la Corte ha già dichiarato che è irrilevante, ai fini del diritto del soggetto passivo di detrarre l’IVA pagata a monte, stabilire se il fornitore dei beni abbia versato o meno l’IVA dovuta su operazioni di vendita all’erario (sentenza del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, EU:C:2015:719, punto 45 e giurisprudenza ivi citata). Subordinare il diritto a detrazione dell’IVA all’effettivo previo pagamento della stessa IVA da parte del fornit ore di beni comporterebbe che il soggetto passivo sarebbe soggetto ad un’imposizione
economica cui non è tenuto e che il sistema delle detrazioni mira appunto ad evitare (v., in tal senso, sentenza del 29 marzo 2012, Véleclair, C-414/10, EU:C:2012:183, punto 30). 27. Allo stesso tempo, la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e la Corte ha costantemente dichiarato che i singoli non possono avvalersi abusivamente o fraudolentemente delle norme dell’Unione. Pertanto, è compito delle autorità e dei giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione ove sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che lo stesso diritto è invocato fraudolentemente o abusivamente (sentenza del 10 luglio 2019, Kuršu zeme, C -273/18, EU:C:2019:588, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). 28.Tuttavia, poiché il diniego del diritto a detrazione è un’eccezione all’applicazione del principio fondamentale che tale diritto costituisce, incombe alle autorità tributarie dimostrare adeguatamente gli elementi oggettivi che consentono di concludere che il soggetto passivo ha commesso una frode o un abuso di diritto, o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in una frode. Spetta poi ai giudici nazionali verificare se le amministrazioni finanziarie interessate abbiano dimostrato l’esistenza di detti elementi oggettivi (v., in tal senso, sentenza dell’11 novembre 2021, Ferimet, C -281/20, EU:C:2021:910, punto 50 e giurisprudenza ivi citata )».
2.4.Nella sentenza impugnata, la CGT di II grado – facendo buon governo dei suddetti principi – ha ritenuto che per quanto l’acquisto dell’immobile in questione potesse essere (in astratto) strumentale allo svolgimento dell’attività di impresa esercitata, nel 2015, dalla società contribuente (titolare di partita Iva) di locazione immobiliare di beni propri – nella specie, non sussistevano i presupposti per la detraibilità dell’Iva indicata nelle fatture relative alla vendita dell’immobile e delle correlate attrezzature in quanto come contestato nell’avviso di accertamento, allegato al ricorso – 1) erano assenti i requisiti di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633/72 per mancata documentazione del relativo credito d’imposta esposto in dichiarazione, essendo emerso, dall’analisi dell’atto notarile di compravendita, che il dante causa COGNOME NOME aveva agito in qualità
di privato e non di impre nditore, tanto che l’atto veniva sottoposto al pagamento della sola imposta di registro, senza alcun versamento dell’Iva da parte del cedente e senza alcun accenno nell’atto medesimo ad un importo dovuto , a titolo di Iva, da parte della RAGIONE_SOCIALE; 2) avuto riguardo alla emersa ‘certa commistione’ tra la ditta – dante causa e la società contribuente (COGNOME NOME era padre dei tre soci di RAGIONE_SOCIALE, il domicilio fiscale di COGNOME NOME era il medesimo della sede della RAGIONE_SOCIALE la contribuente ‘ sapeva o comunque non poteva non sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si iscriveva in un contesto di evasione commessa dell’emittente della fattura ‘ ; pertanto, nella specie, per quanto fosse non contestata la strumentalità dell’acquisto del bene immobile in questione rispetto all’attività di impresa esercitata di locazione immobiliare di beni propri, ‘ ciò nonostante’ il recupero dell’imposta era da considerarsi legittimo in mancanza di certezza della spesa -portata in detrazione ai fini Iva (nell’atto notarile di cessione dell’immobile, sottoposto alla tassazione della sola imposta di registro, non vi era alcun riferimento ad un importo dovuto a titolo di Iva da parte di RAGIONE_SOCIALE) e sussistendo elementi indiziari (una ‘certa commistione’ tra la ditta dante causa e la società contribuente stante gli emersi stretti rapporti esistenti tra le stesse)- stimati gravi, precisi e concordanti- dai quali potere desumere la conoscenza e/o conoscibilità da parte della società contribuente della evasione d’imposta commessa dalla ditta fatturante.
3.Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la violazione dell’art. 116 c.p.c. – difetto di motivazioneviolazione dell’onere della prova per non avere la CGT esplicitato gli elementi oggettivi e specifici in base ai quali era giunta ad ‘accertare’ un ‘certa commistione’ tra la ditta RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE dalla quale aveva tratto la conseguenza della conoscenza e/o conoscibilità da parte di quest’ultima dell’iscrizione dell’operazione in un contesto di evasione d’imposta commessa dal dante causa; in particolare, ad avviso della ricorrente, non era dato desumere dalla sola stretta parentela intercorrente tra la ditta NOME COGNOME e la società contribuente la consapevolezza da parte di quest’ultima della conoscenza e/o
conoscibilità dell’evasione da parte dell’emittente le fatture con conseguente mancato assolvimento dell’onere della prova a carico dell’Amministrazione – la quale aveva contestato l’attinenza della fatturazione ad operazioni soggettivamente inesistenti – circa la conoscenza/ conoscibilità da parte della contribuente dell’iscrizione della operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione in un’evasione d’imposta commessa dal fornitore o da altro operatore intervenuto nella catena delle cessioni.
3.1.Il motivo è inammissibile per le ragioni di seguito indicate.
3.2.In primo luogo, il mezzo contiene un’indistinta unificazione e sovrapposizione delle ragioni di ricorso per cassazione riconducibili al vizio di violazione di legge (con riguardo al criterio distributivo dell’onere della prova) e al vizio di difetto di motivazione. Occorre ribadire, infatti, l’orientamento secondo il quale nel ricorso per cassazione, i motivi di impugnazione che prospettino una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme asseritamente violate sono inammissibili in quanto, da un lato, costituiscono una negazione della regola della chiarezza e, dall’altro, richiedono un intervento della Corte volto ad enucleare dalla mescolanza dei motivi le parti concernenti le separate censure (Cass. n. 18021 del 14.09.2016 Sez. 5, Ordinanza n. 20690 del 2023).
3.3.Quanto alla dedotta doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. la stessa è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa – secondo il suo “prudente apprezzamento “, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei
rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020).
3.4. Quanto alla denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., il vizio specifico denunciabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., così come riformulato dall’art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. nella L. 7 agosto 2012, n. 134, richiede che il fatto asseritamente omesso sia un fatto storico, con la conseguenza che, a tali fini, non costituiscono fatti le deduzioni difensive e gli elementi istruttori (cfr. Cass., ord., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass. sez. 5, n. 18710 del 2022); sotto altro aspetto, si osserva che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo, per le ragioni suindicate ad un vizio inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. (cfr. Cass. 10 giugno 2016, n. 11892; Sez. 5, Ordinanza n. 24584 del 2023).
3.5.Nella specie, il motivo di ricorso – oltre a fare riferimento impropriamente ad una contestazione afferente ad operazioni soggettivamente inesistenti (che non emerge dalla sentenza impugnata né tantomeno da ll’avviso allegato al ricorso) – in realtà tende inammissibilmente ad una nuova interpretazione di questioni di merito, avendo la CGT di II grado ritenuto indetraibile l’Iva sulle fatture emesse dalla ditta NOME COGNOME in quanto, oltre all’assenza dei requisiti di cui all’art. 19 cit., l’Amminis trazione aveva assolto -in base ad un apprezzamento in fatto non sindacabile in sede di legittimitàall’onere di provare – sulla base di elementi indiziari – stimati gravi, precisi e concordanti -quali i riscontrati stretti rapporti e una ‘ certa commistione ‘ tra la ditta -dante causa e l’acquirente -contribuente (COGNOME NOME era padre dei tre soci di RAGIONE_SOCIALE, il domicilio fiscale di COGNOME NOME era il medesimo della sede della RAGIONE_SOCIALE (che la contribuente ‘ sapeva o comunque non poteva non sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si iscriveva in un contesto di evasione commessa dell’emittente della fattura ‘ ).
Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 111,
comma 6, Cost. violazione dell’art. 10, comma 1, e 12, comma 7, della legge 212/2000 – difetto di contraddittorio endoprocedimentale, per avere la CGT di II grado omesso la decisione sul (secondo) motivo di appello relativo alla violazione del contraddittorio endoprocedimentale non avendo l’Ufficio garantito il medesimo – sebbene obbligatorio con riguardo al tributo armonizzato qual era l’Iva -e, in particolare, non avendo redatto un verbale a seguito dell’invio (in data 18.3.2021) da parte della contribuente della ulteriore documentazione richiesta e non avendo rispettato il termine di sessanta giorni dalla predetta data (18.3.2021) prima della notifica in data 19.3.2021 dell’avviso di accertamento in questione. La CGT di II grado avrebbe, dunque, confermato un avviso di accertamento nullo per difetto del contraddittorio preventivo.
4.1.Il motivo si espone, in primo luogo, ad un profilo di inammissibilità per difetto di specificità.
Come è stato osservato da questa Corte, ‘ In tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, riferito alla specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi su cui il ricorso si fonda ai sensi dell’articolo 366, n. 6, c.p.c., anche interpretato alla luce dei principi contenuti nella sentenza della Corte EDU, sez. I, 28 ottobre 2021, r.g. n. 55064/11, non può ritenersi rispettato qualora il motivo di ricorso faccia rinvio agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte senza riassumerne il contenuto al fine di soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione, fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione ‘ (Cass. 1.03.2022, n. 6769; Cass. n. 24007 del 2022); modulando il principio di specificità ed autosufficienza del ricorso per cassazione ex art. 366, comma 1, nn. 3 e 6, cod. proc. civ. (alla cui stregua il giudice di legittimità deve essere messo nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa) in conformità alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo e, dunque, secondo criteri di sinteticità e chiarezza, occorre pur sempre che all’interno del ricorso siano richiamati, sia pure in termini essenziali e per la parte d’interesse,
gli atti ed i documenti sottesi alle censure svolte (Cass, Sez. 3, 14.3.2022, n. 81:17, Rv. 664252-01), non essendo sufficiente a soddisfare il requisito ineludibile dell’autonomia del ricorso per cassazione (fondato sulla idoneità del contenuto delle censure a consentire la decisione), il rinvio – in assenza di (trascrizione integrale o parziale ovvero, quantomeno, di tale) sintesi contenutistica – agli atti allegati e contenuti nel fascicolo di parte (Cass., Sez. 1, 1.3.2022, n. 6769, Rv. 664103-01; Cass. n. 26007 del 2022). Nella specie, la società contribuente non ha assolto all’onere di riassumere o trascrivere, fornendo «un sintetico ma completo resoconto del suo contenuto», il motivo di appello relativo all’assunta violazione del contraddittorio endop rocedimentale in ordine al quale lamenta l’omessa motivazione e, comunque, anche la violazione di legge.
4.2.Nel merito, il motivo- sotto entrambe le sub censure denunciate di motivazione apparente e di violazione di legge- è infondato.
Invero, anche ad ammettere una motivazione apparente circa il motivo di appello sul difetto di contraddittorio proposto dal contribuente, va ricordato che il ricorso per cassazione che denunci il vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p. c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p. c..(Sez. L – , Ordinanza n. 6145 del 01/03/2019; nello stesso senso, Sez. 5, Sentenza n. 40049 del 2021).
Occorre premettere, in primo luogo, che, nella vicenda in esame, l’Amministrazione finanziaria non ha compiuto una verifica fiscale presso i locali della società contribuente, essendo l’avviso di accertamento- come si evince dallo stesso ricorso, v. pag. 10 – riconducibile ad una ipotesi di accertamento cd.
«a tavolino» rispetto al quale è legittimo, anche ai fini del contraddittorio (in particolare per le imposte dirette), che il primo atto portato alla conoscenza del contribuente sia lo stesso avviso (Cass., sez. U, 9/12/2015, n. 24823). Già da tale fatto deriva l’insussistenza di un obbligo generalizzato di redazione del processo verbale di constatazione, conclusione che questa Corte, del resto, ha ripetutamente ribadito, sottolineando che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione (Cass., sez. 5, 27/04/2018, n. 16546; Cass., sez. 5, 8/05/2019, n. 12094). Va ribadito che: «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica nei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso “ante tempus”, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell’atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l’emissione anticipata, bensì nell’effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall’osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all’epoca di tale emissione, deve essere provata dall’ufficio.» (Cass. Sez. Un., Sentenza 29 luglio 2013 n. 18184). Inoltre, le Sezioni unite della Corte hanno anche precisato che «In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che
avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito.» (Cass. Sez. Un. 9 dicembre 2015, n. 24823). Non vi sono ragioni per discostarsi nel caso di specie da tale autorevole insegnamento, mai superato (Cass. Sez. 5 – , Sentenza n. 701 del 15/01/2019, Rv. 652456 01; conforme, ad es. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22644 del 11/09/2019, Rv. 655048 -01, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 37234 del 20/12/2022). In particolare, in tema di accertamento tributario, la redazione del verbale di verifica e di quello conclusivo delle operazioni è richiesta dall’art. 52, comma 6, del d.P.R. n. 633 del 1972 (applicabile non solo in materia di IVA ma anche di imposte dirette, in virtù del richiamo operato dall’art. 33, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973) esclusivamente nelle ipotesi di accesso finalizzato all’acquisizione di documentazione, e non anche in quello di accertamenti documentali cd. a tavolino, espletati autonomamente dall’Amministrazione finanziaria nei propri uffici (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 8246 del 04/04/2018). Nel caso di specie, la ripresa non consegue ad accesso, ispezione o verifica, trattandosi di controlli meramente documentali, ossia condotti sulla base della dichiarazione e della documentazione esibita su invito dell’Amministrazione. Pertanto, nella specie non trovava applicazione l’art. 12, comma 7, dello Statuto del contribuente non essendo l’Amministrazione tenuta a redigere il p.v.c. e a concedere il termine dilatorio di 60 giorni prima dell’emissione dell’avviso di accertamento nel caso di accertamento a tavolino, non avendo la ricorrente dedotto quanto all’Iva -neanche in sede giudiziale, come era suo onere, quali sarebbero state le ragioni che, in concreto, avrebbe potuto far valere se fosse stato instaurato dall’Ufficio il contraddittorio preventivo nei suoi confronti (c.d. prova di resistenza; Cass., Sez. U., n. 24823/2015). Peraltro, nella sentenza impugnata, la CGT dà atto dell’avvenuto sostanziale espletamento del contraddittorio endoprocedimentale (facendo riferimento alla ‘ mancata presentazione dell’appellante al procedimento di accertamento per adesione e alla confutazione analitica della
documentazione prodotta il giorno dopo ‘ ). L’integrazione della motivazione nei sensi sopra indicati, implica anche l’infondatezza della dedotta (sub) censura di violazione di legge.
5.Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 111, comma 6, Cost. per avere la CGT ‘in relazione al motivo 3 ) dell’atto di appello, omesso ogni pronuncia’.
5.1.Il motivo è inammissibile per difetto di specificità non avendo la società contribuente assolto all’onere di riassumere o trascrivere in ricorso , indicandone compiutamente il contenuto, il motivo di appello in relazione al quale lamenta l’omessa motivazione e/o pronuncia.
Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 3,7,12 e 17 del d.lgs. n. 472/1997 per avere la CGT di II grado confermato l’avviso in questione anche relativamente alle sanzioni sebbene le stesse non fossero irrogabili ex art. 6 del d.lgs. n. 472/97 e fossero state calcolate erroneamente dall’Ufficio sul totale dell’Iva esposta in dichiarazione e non già sull’importo portato in detrazione pari a euro 19.744,00.
6.1.Il motivo si espone al medesimo profilo di inammissibilità- già evidenziato con i mezzi quinto e sesto – per difetto di specificità, non avendo la contribuente operato una sintesi contenutistica o trascritto in ricorso il contenuto del relativo motivo di appello.
6.2.In ogni caso, il motivo è infondato.
6.3.La CGT di II grado -nel respingere l’appello della contribuente – ha confermato l’avviso in questione incluse le sanzioni che erano state correttamente calcolatecome si evince dall’avviso allegato al ricorso , pagg. 24 sul totale dell’Iva esposta in dichiarazione per l’anno 2015 (euro 34.734,00, di cui euro 19.744,00, portati in detrazione nella dichiarazione ed euro 14.990,00 richiesti a rimborso) ritenuta non ammissibile in detrazione, essendo stata
contestata, con riferimento all’intero importo (sia quello richiesto a rimborso che quello portato a credito in dichiarazione) l’assenza dei requisiti di cui all’art. 19 del d.P.R. n. 633/72 e la conoscenza e/o conoscibilità da parte della società contribu ente della evasione d’imposta commessa dalla ditta fatturante .
7.In conclusione, il ricorso va rigettato.
8. Nulla sulle spese del giudizio di legittimità essendo rimasta intimata l’Agenzia e non avendo svolto attività difensiva;
P.Q. M.
La Corte rigetta il ricorso;
Dà atto, ai sensi dell’art.13 comma 1 quater D.P.R. n.115/2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2025