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Detrazione IVA: quando è negata per frode del fornitore

La Cassazione ha stabilito che la detrazione IVA non spetta al cessionario se sapeva, o avrebbe dovuto sapere, della frode fiscale del fornitore. Nel caso specifico, la coincidenza della figura del legale rappresentante tra la società acquirente e quella venditrice è stata ritenuta un elemento decisivo per dimostrare la consapevolezza della frode, ribaltando la decisione di merito.

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Pubblicato il 7 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA: la consapevolezza della frode del fornitore annulla il diritto

Il diritto alla detrazione IVA rappresenta un pilastro fondamentale del sistema fiscale europeo, garantendo la neutralità dell’imposta per le imprese. Tuttavia, questo diritto non è assoluto e incontra limiti precisi, specialmente quando l’operazione commerciale si inserisce in un contesto di evasione fiscale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato con forza il principio secondo cui la consapevolezza, o la conoscibilità, della frode commessa dal fornitore preclude al cliente la possibilità di detrarsi l’imposta. Il caso esaminato offre spunti cruciali sull’onere di diligenza richiesto agli operatori economici e sul valore probatorio dei legami soggettivi tra le parti.

I Fatti del Caso

L’Amministrazione Finanziaria notificava a una società un avviso di accertamento per recuperare IVA, IRES e IRAP relative all’anno d’imposta 2015. La contestazione principale verteva sull’indebita detrazione dell’IVA assolta su acquisti da un fornitore che aveva omesso il versamento della stessa imposta all’erario. I giudici di secondo grado avevano dato ragione alla società contribuente, ritenendo che l’Amministrazione non avesse fornito prove sufficienti di un preordinato schema evasivo. A sostegno della loro tesi, i giudici di merito avevano valorizzato elementi quali la lunga durata del rapporto commerciale tra le parti e le difficoltà finanziarie del fornitore.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha ribaltato la decisione di merito, accogliendo il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria. I giudici di legittimità hanno cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado per un nuovo esame. La Corte ha ritenuto fondate le censure relative alla violazione delle norme sulla prova presuntiva e sulla detrazione IVA, oltre a un vizio di omessa pronuncia su un capo specifico dell’appello.

Analisi della Detrazione IVA e Consapevolezza della Frode

Il cuore della pronuncia risiede nell’applicazione dei principi, consolidati a livello europeo, che regolano la detrazione IVA. La giurisprudenza unionale e nazionale è costante nell’affermare che il diritto a detrazione deve essere negato qualora sia provato che il soggetto passivo sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che con il proprio acquisto partecipava a un’operazione implicante un’evasione dell’IVA.

Il Ruolo Decisivo dei Legami Societari

L’elemento che si è rivelato fatale per la tesi della società contribuente è stato un fatto che i giudici di merito avevano trascurato: il legale rappresentante della società acquirente era anche socio e legale rappresentante della società fornitrice. Per la Cassazione, questa coincidenza soggettiva è un elemento gravissimo e preciso, di per sé idoneo a fondare la presunzione di conoscenza della condotta evasiva del fornitore. È infatti inverosimile che l’amministratore di entrambe le entità non fosse a conoscenza delle difficoltà finanziarie del fornitore e del conseguente, e certo, omesso versamento dell’IVA che egli stesso aveva addebitato in fattura.

L’Errata Valutazione della Prova Presuntiva

La Corte ha censurato il ragionamento dei giudici di secondo grado per aver violato le regole della prova presuntiva (art. 2729 c.c.). Essi avevano fondato la loro decisione su elementi generici (la durata decennale dei rapporti) e non pertinenti (le difficoltà finanziarie del cedente, che anzi avrebbero dovuto allertare l’acquirente), ignorando l’indizio schiacciante della coincidenza soggettiva. La Cassazione ha ricordato che la prova per presunzioni richiede un’analisi complessiva degli indizi, che devono essere gravi, precisi e concordanti, e non una valutazione atomistica e illogica.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Corte Suprema si fondano sulla necessità di dare concreta applicazione ai principi di lotta alla frode, all’evasione e all’abuso, che sono obiettivi riconosciuti dalle direttive IVA. La regola generale che esonera il cessionario dal verificare che il cedente versi l’imposta trova un limite invalicabile nel principio di buona fede e nella diligenza professionale. Quando, come nel caso di specie, esistono legami personali o societari che consentono una conoscenza diretta e certa della situazione del fornitore, l’acquirente non può invocare la propria estraneità. L’atteggiamento soggettivo del cessionario, connotato dalla piena certezza (o doverosa conoscibilità) del mancato versamento dell’IVA da parte del cedente, rompe il principio di neutralità dell’imposta e integra la partecipazione, consapevole, a un’operazione evasiva. Il fatto che l’IVA sia stata dichiarata dal fornitore non è sufficiente a scagionare il cessionario, poiché tale circostanza, unita all’omesso versamento, configura proprio l’ipotesi di reato tributario e un indebito finanziamento ai danni dell’erario.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame costituisce un importante monito per tutti gli operatori economici. La scelta dei partner commerciali deve essere sempre guidata da un criterio di massima diligenza. La presenza di legami societari o personali con i fornitori, lungi dall’essere un elemento neutro, impone un livello di attenzione ancora più elevato. La sentenza chiarisce che il diritto alla detrazione IVA non è un automatismo, ma è subordinato alla correttezza complessiva dell’operazione e alla buona fede del contribuente, la quale non può mai coincidere con una negligenza consapevole. Le imprese sono quindi chiamate a valutare attentamente gli indici di anomalia nelle transazioni, poiché ignorarli può costare la perdita di un diritto fondamentale e l’esposizione a pesanti sanzioni.

Quando può essere negato a un’impresa il diritto alla detrazione IVA?
Il diritto alla detrazione IVA può essere negato quando l’impresa sapeva, o avrebbe dovuto sapere usando l’ordinaria diligenza, che l’operazione di acquisto faceva parte di una frode o evasione dell’IVA commessa dal proprio fornitore.

Quale elemento è stato considerato decisivo per provare la consapevolezza della frode in questo caso?
L’elemento decisivo è stata la coincidenza della persona fisica che ricopriva il ruolo di legale rappresentante e socio sia nella società acquirente (cessionaria) sia in quella fornitrice (cedente). Per la Corte, questo legame rende inverosimile la mancanza di conoscenza della condotta evasiva.

I problemi finanziari del fornitore giustificano il suo mancato pagamento dell’IVA e la detrazione da parte del cliente?
No. Al contrario, secondo la Corte, la conclamata difficoltà finanziaria del fornitore, specialmente se nota al cliente (in questo caso, per via della coincidenza soggettiva), è un ulteriore indizio che avrebbe dovuto far presumere il mancato versamento dell’imposta, imponendo al cliente un dovere di maggiore cautela.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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