Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 32326 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 32326 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 13/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14500/2023 R.G. proposto da:
COGNOME RAGIONE_SOCIALE DI MILANO, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOMECODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO), che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE GIUST. TRIB. II GRADO DELLA LOMBARDIA n. 1152/08/23 depositata il 28/03/2023.
Udita la relazione svolta nella PUBBLICA UDIENZA dell’11/06/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udita la requisitoria del P.G., in persona del sostituto procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso. Sentiti l’avv. NOME COGNOME per la ricorrente e l’avv. NOME COGNOME per la controricorrente
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza n. 1152/08/23 del 28/03/2023, la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia (di seguito CGT2) rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE Succursale di Milano (di seguito De Lage) avverso la sentenza n. 940/11/21 della Commissione tributaria provinciale di Milano (di seguito CTP), che aveva accolto parzialmente i separati ricorsi proposti dalla società contribuente nei confronti di due avvisi di accertamento per IVA relativa agli anni d’imposta 2014 e 2015.
1.1. Come emerge dalla sentenza impugnata, con gli avvisi di accertamento veniva contesta alla società contribuente, per quanto ancora interessa in questa sede, l’indebita detrazione dell’IVA afferente agli acquisti promiscui, operata nella ritenuta violazione dell’art. 19, quarto comma, e dell’art. 36, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
1.2. In particolare, la società ricorrente esercitava contestualmente due attività, tenute nettamente distinte: l’attività di concessione in locazione finanziaria ( leasing ), imponibile; l’attività creditizia, esente. Quanto ai costi promiscui, cioè riguardanti entrambi le attività, COGNOME aveva applicato, ai fini della detrazione dell’imposta, il criterio pro rata basato sul rapporto tra il volume di affari generato dall’attività di leasing ed il volume d’affari generato dall’attività di finanziamento. Tale criterio, nella prospettazione dell’Agenzia delle entrate (di seguito AE), determinava delle indebite distorsioni ai danni dell’Erario.
1.3. La CGT2 respingeva l’appello di COGNOME, evidenziando che: a) le norme concernenti l’attività promiscua dettavano solo dei principi generali di imputabilità; b) nel distinguere tra il volume d’affari dell’attività di leasing e dell’attività creditizia, l’Ufficio aveva correttamente operato, «in quanto, non potendo determinare in concreto la misura con cui beni e/o servizi risultano utilizzati per l’esercizio dell’attività separata, considerato le sole operazioni imponibili attinenti alla parte finanziaria delle operazioni di leasing in luogo del totale delle operazioni imponibili»; c) quanto all’onere probatorio, «spettava oggettivamente al contribuente dimostrare la legittima detrazione e la corretta imputazione misurata alla quota di utilizzo dei beni e di servizi nell’ambito delle diverse attività» e tale onere non era stato assolto; d) «l’appellante applicato una astratta ripartizione sul fatturato, attività diverse con costi diversi, e non in base all’incidenza “reale” del costo per ogni attività esercitata, con la conseguenza che tale criterio non ritenersi, allo stato, condivisibile e preferibile a quello utilizzato dall’Ufficio».
Avverso la sentenza di appello COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrati da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.
NOME resisteva con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso di COGNOME è affidato a cinque motivi, che si vanno brevemente a riassumere.
1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 173, § 1 e 2, lett. d), della direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 (direttiva IVA), nonché dell’art. 19, quinto comma, dell’art. 19 bis e dell’art. 36, quinto comma, del d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 633, per avere la CGT2 illegittimamente utilizzato un metodo di ripartizione dell’IVA detraibile sui costi promiscui, nel caso di impiego dei beni acquistati sia in attività imponibili e sia in attività esenti, alternativo e derogatorio del criterio generale del pro rata sul volume d’affari, senza una norma nazionale che ne autorizzi l’impiego.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 115, primo comma, cod. proc. civ., per avere la CGT2 ritenuto oggetto di prova da parte della società contribuente l’esatto ammontare dei costi promiscui, circostanza mai contestata dall’Amministrazione finanziaria.
1.3. Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per avere la CGT2 omesso di pronunciare sulla domanda di annullare la rettifica fiscale in quanto fondata su un metodo -alternativo al pro rata sul volume d’affari che non conduce ad un risultato più preciso.
1.4. Con il quarto motivo si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ e dell’art. 7, comma 5 bis , del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, per non avere la CGT2 rilevato il mancato rispetto dell’onere della prova, incombente sull’Agenzia delle entrate, in ordine alla maggior precisione ed affidabilità del metodo alternativo scelto nell’accertamento rispetto al criterio di ripartizione fondato sul volume d’affari.
1.5. Con il quinto motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 168 e 173, § 2, lettera c), della direttiva IVA, nonché dell’art. 36, quinto
comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la CGT2 utilizzato un metodo di ripartizione dell’IVA detraibile sui costi promiscui, fondato sul rapporto fra interessi attivi nelle due attività separate, senza che risulti alcun nesso logico tra il parametro scelto e la parte dei beni/servizi imputabile all’esercizio di ciascuna delle due attività.
I motivi possono essere unitariamente esaminati per ragione di connessione.
2.1. L’art. 168 della direttiva IVA sancisce il diritto dei soggetti passivi d’imposta alla detrazione, diritto esercitabile alle condizioni previste dalla norma. L’art. 173, § 1, poi, prevede che «Per quanto riguarda i beni ed i servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione di cui agli articoli 168, 169 e 170, sia per operazioni che non danno tale diritto, la detrazione è ammessa soltanto per il prorata dell’IVA relativo alla prima categoria di operazioni».
2.1.1. Il pro rata è determinato, su base annuale e per il complesso delle operazioni effettuate dal soggetto passivo, ai sensi degli artt. 174 e 175 della direttiva IVA e «risulta da una frazione che presenta i seguenti importi: a) al numeratore, l’importo totale del volume d’affari annuo, al netto dell’IVA, relativo alle operazioni che danno diritto a detrazione a norma degli articoli 168 e 169; b) al denominatore, l’importo totale del volume d’affari annuo, al netto dell’IVA, relativo alle operazioni che figurano al numeratore e a quelle che non danno diritto a detrazione» (art. 174, § 1).
2.1.2. Secondo quanto previsto dall’art. 173, § 2, della direttiva IVA «Gli Stati membri possono adottare le misure seguenti: a) autorizzare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attività, se vengono tenute contabilità distinte per ciascun settore; b) obbligare il soggetto passivo a determinare un prorata per ogni settore della propria attività ed a tenere contabilità
distinte per ciascuno di questi settori; c) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione in base all’utilizzazione della totalità o di una parte dei beni e servizi; d) autorizzare od obbligare il soggetto passivo ad operare la detrazione secondo la norma di cui al paragrafo 1, primo comma, relativamente a tutti i beni e servizi utilizzati per tutte le operazioni ivi contemplate; e) prevedere che non si tenga conto dell’IVA che non può essere detratta dal soggetto passivo quando essa sia insignificante».
2.2. Il sistema della detrazione dell’IVA è stato recepito nel nostro ordinamento dagli artt. 19 e 19 bis del d.P.R. n. 633 del 1972. Con specifico riferimento al pro rata, l’art. 19, quinto comma, stabilisce che: «Ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19bis. (…)».
2.2.1. Secondo l’art. 19 bis , poi, «la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19, comma 5, è determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo» (primo comma), mentre il secondo comma indica le operazioni delle quali non si tiene conto ai fini del computo del pro rata.
2.2.2. Infine, con riferimento ai soggetti esercenti più attività, l’art. 36 del d.P.R. n. 633 del 1972 stabilisce che «l’imposta si applica unitariamente e cumulativamente per tutte le attività, con riferimento al volume di affari complessivo» (primo comma) ovvero, quando l’imposta è applicata separatamente, la detrazione «è ammessa per l’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, nei
limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa» (quinto comma).
2.2.3. Per ragioni di completezza occorre aggiungere che l’art. 7, comma 1, lett. d), n. 1, della l. 9 agosto 2023, n. 111, che ha conferito al Governo la delega per la riforma fiscale, ha indicato, tra i principi e criteri direttivi per la revisione dell’IVA, quello di rivedere la disciplina della detrazione per «consentire ai soggetti passivi di rendere la detrazione più aderente all’effettivo utilizzo dei beni e dei servizi impiegati ai fini delle operazioni soggette all’imposta, prevedendo, in particolare, la facoltà di applicare il criterio pro rata di detraibilità ai soli beni e servizi utilizzati da un soggetto passivo sia per operazioni che danno diritto a detrazione sia per operazioni che non danno tale diritto».
2.2.4. La delega, peraltro, non è stata ancora attuata dal Governo e tale disposizione non sarebbe comunque applicabile alla presente controversia.
2.3. Riassumendo per quanto interessa in questa sede, la legge italiana, applicabile ratione temporis , ha sposato il criterio del pro rata di detraibilità esercitando le opzioni di cui agli artt. 173, § 2, lett. a) e d), della direttiva IVA e, cioè, prevedendo che: i) l’imposta si applichi unitariamente e cumulativamente per tutte le attività, con riferimento al volume di affari complessivo (cfr. Cass. n. 7654 del 24/03/2017); ii) nel caso di attività separate, per l’imposta relativa ai beni e ai servizi utilizzati promiscuamente, la detrazione sia ammessa nei limiti della parte imputabile all’esercizio dell’attività stessa.
2.4. Nel caso di specie, è pacifico in punto di fatto, che COGNOME svolga, con contabilità separata, sia attività imponibile, sia attività esente e che, pertanto, il pro rata di detraibilità va determinato unicamente in relazione ai costi promiscui. Ciò di cui si discute è
essenzialmente il criterio con il quale il pro rata debba essere determinato.
2.5. In via generale, la Corte di giustizia della UE ritiene che, nel caso di più attività esercitate dallo stesso soggetto passivo il pro rata di detrazione è determinato facendo riferimento al volume d’affari (CGUE in causa C-153/17, cit., punto 49), anche se gli Stati membri sono autorizzati dalla direttiva IVA ad utilizzare un diverso criterio, alla condizione che tale metodo garantisca una determinazione del pro rata di detrazione dell’IVA versata a monte più precisa di quella risultante dall’applicazione del metodo fondato sul volume d’affari (CGUE 8 novembre 2012, in causa C -511/10, BLC Baumarkt , punto 24).
2.5.1. Invero, il metodo prescelto per il calcolo del pro rata deve riflettere oggettivamente la parte reale delle spese causate dall’acquisto di beni e di servizi a uso misto che può essere imputata a operazioni che danno diritto a detrazione (CGUE 10 luglio 2014, in causa C-183/13, Banco Mais , punti 30 e 31) senza che, peraltro, detto metodo debba necessariamente essere il più preciso possibile (CGUE in causa C-153/17, cit., punto 53).
2.6. La giurisprudenza della S.C. ha, in proposito, affermato che « In tema di IVA, nel caso di più attività svolte nell’ambito della stessa impresa, per una sola delle quali l’imposta assolta sia detraibile, l’imputazione dei costi promiscui, riferibili cioè a tutte le attività, deve essere effettuata in base alla misura della concreta utilizzazione dei beni e servizi da cui derivano detti costi, nell’ambito delle distinte attività, atteso quanto previsto dall’art. 36, commi 3 e 5, del d.P.R. n. 633 del 1972; il relativo onere di provare l’imputazione dei costi grava sul contribuente e non può essere assolto invocando criteri di astratta ripartizione proporzionale » (Cass. n. 22305 del 05/08/2021; Cass. n. 6255 del 20/04/2012).
2.7. Così delineato il quadro normativo e giurisprudenziale, deve evidenziarsi, in primo luogo, che sia la direttiva IVA che la legge italiana indicano come criterio ordinario di computo del pro rata quello concernente il volume d’affari annuo dell’attività imponibile ed il volume d’affari annuo dell’attività esente (art. 174, § 1, della direttiva IVA: il primo è al numeratore, la somma di entrambi va posta al denominatore). Un diverso metodo di determinazione del pro rata, diversamente da quanto sostenuto da COGNOME, è consentito, ma deve trattarsi di un metodo idoneo a garantire una determinazione del pro rata di detrazione dell’IVA versata a monte più preciso di quello risultante dall’applicazione del metodo fondato sul volume d’affari, come affermato a più riprese dalla Corte di giustizia, senza che, peraltro, possano essere invocati criteri di astratta ripartizione proporzionale (cfr. la giurisprudenza di questa Corte da ultimo citata).
2.7.1. Tale affermazione di principio implica che l’applicazione di un criterio differente da quello ordinario del volume d’affari deve essere oggetto di prova specifica da parte del soggetto che ne invoca l’applicazione; che è normalmente il contribuente, ma potrebbe essere anche l’Amministrazione finanziaria, come avvenuto nel caso di specie. In altri termini, grava sulla parte che intende sostenere l’applicazione di un metodo di calcolo del pro rata diverso rispetto a quello del volume d’affari la prova che detto metodo sia più idoneo a rappresentare, in concreto, il rapporto esistente tra le attività imponibili ed esenti della società contribuente, con conseguente migliore imputazione dei costi promiscui.
2.7.2. Va, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: « il criterio ordinario per la determinazione del pro rata di detraibilità dell’IVA concernente i costi promiscui, imputabili sia ad attività imponibili che ad attività esenti, è quello che prende in considerazione il volume d’affari annuo di dette
attività, gravando sulla parte che contesta l’applicazione del criterio ordinario l’onere di fornire la prova che l’applicazione di un metodo differente determini un risultato più preciso e, quindi, più idoneo a rappresentare, in concreto, il rapporto esistente tra attività imponibili ed attività esenti ».
2.8. Alla luce del superiore principio di diritto, sono fondati il primo motivo di ricorso proposto da COGNOME, sia pure parzialmente, nonché il secondo e il quarto motivo, mentre restano assorbiti il terzo e il quinto motivo.
2.9. In primo luogo, deve evidenziarsi l’erroneità dell’affermazione della CGT2 nella parte in cui sostiene che la ricorrente non abbia provato che i costi promiscui non riguardino beni non ammortizzabili utilizzati promiscuamente, così come previsto dall’art. 36, quinto comma, del d.P.R. n. 633 del 1972.
2.9.1. Invero, come correttamente evidenziato dalla ricorrente, con censura ampiamente autosufficiente, la circostanza della mancata ricomprensione dei costi promiscui portati in detrazione nell’ambito del pro rata non è mai stata oggetto di rilievo da parte di AE, la quale ha unicamente contestato il criterio di ripartizione dei costi promiscui utilizzato dalla società contribuente, evidenziando l’opportunità di utilizzare un metodo diverso rispetto a quello del volume d’affari.
2.10. Sotto quest’ultimo profilo, diversamente da quanto sostenuto da COGNOME (con conseguente parziale infondatezza del primo motivo), le disposizioni di legge esaminate non impongono il criterio legale del volume d’affari ai fini della determinazione del pro rata, ma si limitano ad indicare tale criterio come quello ordinario, sicché è ben possibile adottare un criterio diverso al fine di raggiungere un risultato più preciso in termini di detrazione.
2.11. Tuttavia, è erronea l’affermazione della CGT2 nella parte in cui ha confermato la ripresa di AE affermando testualmente che
«l’appellante ha applicato una astratta ripartizione sul fatturato, attività diverse con costi diversi, e non in base all’incidenza “reale” del costo per ogni attività esercitata, con la conseguenza che tale criterio non può ritenersi, allo stato, condivisibile e preferibile a quello utilizzato dall’Ufficio».
2.11.1. Invero, il criterio adottato dalla società contribuente è quello previsto in via ordinaria dalla legge, sicché non grava su COGNOME la prova che detto criterio sia preferibile a quello utilizzato dall’Ufficio, ma è quest’ultimo che, essendosi discostato dal criterio ordinario, avrebbe dovuto dimostrare che il metodo proposto sia più preciso di quello normativamente indicato.
2.11.2. Sotto questo profilo, la CGT2 e la CTP, le cui motivazioni sono integralmente richiamate, non chiariscono affatto le ragioni per le quali il metodo dell’interesse attivo contabilizzato, prescelto dall’Ufficio, costituisca un parametro idoneo a determinare in maniera oggettiva la quota di utilizzo dei beni e servizi che hanno originato i costi sostenuti nell’esercizio dell’attività.
2.11.3. L’affermazione per la quale detto criterio «consente di determinare con ragionevole grado di precisione la quota parte di beni e servizi imputabile alle due attività esercitate, in quanto la remunerazione costituisce un idoneo indice di utilizzazione delle risorse da parte delle singole attività ed, inoltre, non dà luogo alle distorsioni evidenziate dall’adozione del criterio basato sul volume d’affari, derivanti dalla peculiarità delle attività di leasing e finanziamento svolte contestualmente», nei termini in cui viene formulata, è poco più di una petizione di principio.
2.11.4. In particolare, secondo l’Ufficio l’imputazione dei costi promiscui dovrebbe essere effettuata con il criterio del pro rata, ma determinando il volume d’affari dell’attività di leasing avuto riguardo ai soli interessi finanziari e non al canone di leasing interamente
considerato, comprensivo anche dei costi concernenti l’acquisto dei beni o della remunerazione per il godimento dello stesso. In altri termini, il volume d’affari dell’attività di locazione finanziaria non sarebbe dato dalla sommatoria dei canoni di leasing percepiti, ma dalla sola parte del canone costituita dagli interessi, in modo tale da rendere tale grandezza omogenea a quella relativa all’attività creditizia, la cui remunerazione è costituita unicamente dagli interessi.
2.11.5. Peraltro, la CGT2 non spiega le ragioni per le quali detto criterio di determinazione del pro rata ai fini del calcolo della detrazione dei costi promiscui sia più preciso rispetto a quello del volume d’affari, posto che per l’attività di leasing non è in alcun modo paragonabile a quella esclusivamente finanziaria: non solo quando venga in rilievo il leasing traslativo, laddove i canoni hanno la funzione di scontare anche una quota del prezzo di previsione del successivo acquisto; ma anche quando si faccia riferimento al leasing di godimento, laddove il canone pattuito -anche se la sua funzione causale è prevalentemente finanziaria, dovendo garantire, per la società di leasing , il rientro del capitale maggiorato degli interessi finanziari e degli utili di rischio di impresa -ha comunque natura di corrispettivo per l’uso del bene, essendo ragguagliato al valore di utilizzazione di quest’ultimo per la durata della vita tecnico-economica dello stesso (cfr. Cass. n. 5970 del 14/03/2014, in motivazione, con ulteriori richiami giurisprudenziali).
2.11.6. Volere, pertanto, scindere nei canoni di leasing una parte finanziaria ed una parte non finanziaria e imputare i costi promiscui unicamente con riferimento alla parte finanziaria è un’operazione che -se non spiegata con dovizia di argomenti in ordine alla maggiore precisione del criterio adoperato rispetto a quello del complessivo volume d’affari (cosa certamente omessa dalla CGT2) è del tutto
arbitraria, perché inidonea a cogliere la diversa natura delle due attività svolte dalla De Lage e, in particolare, di quella di leasing , che non ha solo natura finanziaria, come sembrerebbe ritenere l’Ufficio (sull’arbitrarietà di scindere un’operazione economica unitaria, si veda CGUE 18/10/2018, in causa C-153/17, RAGIONE_SOCIALE , punto 30).
2.11.7. Né a diversa soluzione conduce il richiamo a CGUE 10 luglio 2014, in causa C-183/13, Banco Mais : come correttamente evidenziato anche dalla ricorrente, la sentenza parte dal presupposto che, nella fattispecie, il giudice rimettente abbia ritenuto, in base al diritto portoghese, la scindibilità dei canoni di leasing in una parte finanziaria e in una parte remunerativa dell’uso del bene; presupposto che viene assunto con particolare cautela, preoccupandosi la Corte di spiegare che la soluzione non involge il diritto unionale, ma il diritto interno (punti 20-30). E la peculiarità della decisione presa nella superiore controversia è evidenziata anche da CGUE in causa C-153/17, cit., punti 54-57.
3. In conclusione, vanno accolti il primo, parzialmente, il secondo e il quarto motivo di ricorso, assorbiti il terzo ed il quinto; la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo nei limiti di cui in motivazione, il secondo ed il quarto motivo di ricorso, assorbiti il terzo ed il quinto motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della
Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente procedimento.
Così deciso in Roma, il 11/06/2024.