Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 754 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 754 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/01/2024
ORDINANZA
ha pronunciato la seguente sul ricorso n. 7460/2017 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME (RAGIONE_SOCIALE, giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione.
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della SARDEGNA, n. 276/2015, depositata in data 12 settembre 2016, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21 novembre 2023 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria provinciale di Cagliari, con sentenza n. 178/1/11, pronunciata in data 8 giugno 2010, aveva rigettato il ricorso presentato dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti dei due avvisi di accertamento, con i quali, l’Ufficio aveva rettificato le dichiarazioni mod. Unico/2005 per l’anno di imposta 2004 e mod. Unico/2006 per l’anno d’imposta 2005, disconoscendo parzialmente il credito IVA maturato nell’anno d’imposta 2004 nella misura di euro 59.801,00 e nell’anno d’imposta 2005 nella misura di euro 99.592,00.
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto dalla società contribuente, rilevando che:
-) quanto constatato dall’Agenzia in occasione dei 4 accessi eseguiti presso lo stabilimento della società (accessi intercorsi in data 21 giugno 2004, 21 maggio 2008, 21 luglio 2008 e 21 maggio 2009 nel corso dei quali si era potuto verificare che i macchinari non erano in funzione e i pochi dipendenti della società erano sostanzialmente inoperosi, come dimostrato, anche, dai bassi consumi di energia elettrica rilevati), non era stato in alcun modo contraddetto dalla documentazione prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE (documentazione varia, priva di data certa, da cui non era dato in alcun modo ricavare che gli stabilimenti della società fossero effettivamente entrati in funzione ma da cui poteva, in ipotesi, ricavarsi, puramente e semplicemente, che la società RAGIONE_SOCIALE aveva commercializzato prodotti di terze società ovvero aveva prodotto limitatissimi quantitativi di campionature di prodotti);
-) la società appellante, dunque, non aveva dimostrato che le detrazioni dell’IVA relative alle spese discendenti dall’acquisto (comprensivo di posa in opera) di un impianto di produzione di prodotti fitoterapici in polvere di dermocosmesi, mai entrato in funzione, fossero inerenti all’attività di impresa, con conseguente insussistenza del presupposto (ammortizzabilità dei beni acquistati ai sensi dell’art. 30, comma 3, lett. c) del d.p.r. n. 633 del 1972) in relazione al quale la società appellante aveva richiesto il rimborso dell’IVA;
-) gli esiti degli accessi eseguiti dall’Agenzia delle Entrate in un arco temporale di quasi cinque anni (il primo in data 21 giugno 2004 e l’ultimo in data 21 maggio 2009), contraddicevano, in modo insanabile, l’affermazione, proveniente dalla società appellante, secondo cui la produzione di cosmetici e di integratori alimentari aveva avuto inizio nell’anno 2007, né era stata data la prova del fatto che il mancato avvio della produzione industriale era ascrivibile a forza maggiore ovvero a fatti e circostanze imprevedibili ovvero estranee alla volontà imprenditoriale;
-) non sussisteva la violazione dell’art. 10 della legge n. 212 del 2000, perché l’Amministrazione si era limitata a sostenere, in accordo con le evidenze fattuali sopra richiamate, che la società RAGIONE_SOCIALE non aveva mai avviato la produzione;
-) non si ravvisava nemmeno alcuna violazione della disposizione contenuta all’art. 12 della legge n. 212 del 2000, in quanto gli accertamenti erano stati inviati alla notifica in data 31 luglio 2009 e notificati in data 3 agosto 2009, nel rispetto del termine di sessanta giorni, rispetto alla data di chiusura delle operazioni eseguite in data 21 maggio 2009, all’esito delle quali era stato redatto un processo verbale, sottoscritto dalla parte, nel quale erano state compendiate tutte le risultanze delle operazioni di controllo svolte nei confronti
del contribuente e le motivazioni poste a fondamento dell’azione svolta.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1. Il primo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 e all’art. 24 della legge n. 4 del 1929, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata era illegittima nella parte in cui la Commissione tributaria regionale aveva respinto il motivo di appello relativo alla violazione e/o falsa applicazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000, in quanto la società aveva dedotto che, pur essendo vero che l’ultimo accesso effettuato dalla Agenzia delle Entrate risaliva al 21 maggio 2009, restava il fatto che al termine delle operazioni di verifica non era stato consegnato nessun processo verbale di chiusura delle operazioni. Del resto, l’obbligo di redazione di un apposito processo verbale di chiusura delle operazioni era stato sancito e ribadito da numerose pronunce di legittimità, né si doveva confondere il contenuto e la funzione del processo verbale di chiusura delle operazioni (per il tramite del quale i verbalizzanti compendiavano le risultanze delle complessive operazioni di verifica, ciò che non risultava essere stato fatto, né accertato nel caso di specie), con la funzione ed il contenuto dei processi verbali giornalieri o di verifica (che si limitavano a documentare le attività svolte all’esito di ciascun episodio di accesso, così come era meramente avvenuto in occasione del verbale del 21 maggio 2009.
1.1 Il motivo è infondato.
1.2 In proposito, questa Suprema Corte ha precisato che l’attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un processo verbale di constatazione, essendo sufficiente un verbale attestante le operazioni compiute (Cass., 22 giugno 2018, n. 16546) e che, in tema di violazione di norme finanziarie, il processo verbale di constatazione, redatto dagli organi accertatori in occasione di verifiche presso il contribuente e previsto dall’art. 24 della legge n. 4 del 1929, non deve necessariamente contenere le contestazioni, potendo avere una molteplicità di contenuti, valutativi o meramente ricognitivi di fatti o di dichiarazioni, che, per la libera valutazione dell’amministrazione finanziaria prima e dell’autorità giudiziaria poi, possono comunque dare luogo alla emissione di avvisi di accertamento (Cass., 29 dicembre 2017, n. 31120).
1.3 Questa Corte ha anche affermato che « Il termine dilatorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo » (Cass. 2 luglio 2014, n. 15010).
1.4 Più specificamente, è stato affermato che « l’impiego di una locuzione generica come “verbale di chiusura delle operazioni” contenuta nel comma 7, della norma in esame, difatti, comprende tutte le possibili tipologie di verbali che concludano le operazioni di accesso, verifica o ispezione nei locali, indipendentemente dal loro contenuto, e ciò consegue dall’impiego nel comma 7 dell’art. 12 dello Statuto dei diritti del contribuente, pure a fronte di più tipologie di verbali, di una locuzione meramente descrittiva, che ascrive rilievo, di per sé, alla circostanza che il verbale concluda la fase istruttoria di accesso, verifica o ispezione nei locali. Una tale scelta è d’altronde
coerente con l’evoluzione del sistema tributario verso moduli partecipativi, in cui le situazioni soggettive dell’erario possono esaurirsi nell’esercizio imparziale di un potere ad imperatività mitigata, che si arresta all’acquisizione delle informazioni utilizzabili ed al mero controllo dell’osservanza degli obblighi strumentali dei contribuenti » (Cass., 2 luglio 2014, n. 15010, in motivazione).
1.5 E’ stato pure evidenziato che le garanzie statutarie operano già in fase di accesso, concludendosi anche tale attività con la sottoscrizione e consegna del processo verbale di chiusura delle operazioni svolte, e ciò alla stregua delle prescrizioni dell’art. 52, comma 6 decreto IVA, ovvero dell’art. 33 del decreto sull’accertamento e che siffatte, garanzie si applicano anche agli atti di accesso istantanei finalizzati all’acquisizione di documentazione, sia perché è necessario, anche in caso di accesso breve, redigere un verbale di chiusura delle operazioni, sia perché, anche in caso di « accesso breve » , si verifica quella peculiarità che, quale controbilancia mento, le garanzie di cui all’ art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, peculiarità consistente nella autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca di elementi valutati a lui sfavorevoli” (Cass., 8 maggio 2019, n. 12094; Cass., 4 maggio 2021, n. 11589).
1.6 Anche da ultimo, questa Corte ha affermato che « In materia di garanzie del soggetto sottoposto a verifiche fiscali, il processo verbale, redatto ai sensi dell’art. 24 della L. n. 4 del 1929, deve attestare le operazioni compiute dall’Amministrazione, sicché, nel caso di accesso mirato all’acquisizione di documentazione fiscale, è sufficiente l’indicazione, in esso, dei documenti prelevati, ferma restando la decorrenza del termine dilatorio di cui all’art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 dal rilascio di copia del predetto verbale, senza che sia necessaria l’adozione di un ulteriore verbale di contestazione delle violazioni successivamente riscontrate » (Cass., 12 dicembre 2022, n.
36131) e che « Ai fini dell’emanazione dell’avviso di accertamento da parte dell’Ufficio, il termine dilatorio di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, decorre da tutte le possibili tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dal loro contenuto e denominazione formale, essendo finalizzato a garantire il contraddittorio anche a seguito di un verbale meramente istruttorio e descrittivo » (Cass., 27 ottobre 2022, n. 31748).
1.7 Ed è quello che è accaduto nel caso in esame, dove la società ricorrente lamenta che al termine delle operazioni di verifica non era stato consegnato alcun processo verbale di chiusura delle operazioni, mentre la Commissione tributaria regionale ha affermato, conformemente ai principi suesposti, che all’e sito della chiusura delle operazione eseguite in data 21 maggio 2009, era stato redatto un processo verbale, sottoscritto dalla parte, nel quale erano state compendiate tutte le risultanze delle operazioni di controllo svolte nei confronti del contribuente e le motivazioni poste a fondamento dell’azione svolta e che non sussisteva alcuna violazione della disposizione contenuta all’art. 12 della legge n. 212 del 2000, in quanto gli accertamenti erano stati inviati alla notifica in data 31 luglio 2009 e notificati in data 3 agosto 2009, nel rispetto, dunque, del termine dilatorio di sessanta giorni.
1.8 Come questa Corte ha già precisato ≪ L’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni di cui all’art. 12 70 comma della L. 27 luglio n. 212, salvo casi di particolare e motivata urgenza, per l’emanazione dell’avviso di accertamento, decorrente dal rilascio al contribuente nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un’ispezione o una verifica ei locali destinati all’esercizio dell’attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni, postula la notifica dell’atto al destinatario o, in ogni caso, l’avvenuta conoscenza legale dell’atto da
parte del destinatario medesimo, prima dello spirare di detto termine ≫ (Cass., 9 luglio 2014, n. 15648).
Il secondo mezzo deduce la violazione e/o falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 19 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972, all’art. 9, par. 1, comma 2, Direttiva CE 2006/12, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. L’inerenza non era legata alla realizzazione di un risultato positivo cui l’attività tendeva, ma all’attività stessa e ciò comportava l’irrilevanza del risultato dell’operazione per cui il costo era stato sostenuto (o meglio, dell’operazione che aveva generato il costo). Ed infatti risultava pacifico ed incontestato che l’oggetto sociale della società RAGIONE_SOCIALE era costituito da: a) la produzione di integratori biologici, sostanze omeopatiche, farmaceutiche e parafarmaceutiche per uso sistematico e topico; b) l’importazione, l’esportazione e il commercio di dermocosmetici, dietetici, articoli medicali e sanitari, materie prime per l’industria farmaceutica e cosmetologia, prodotti per l’igiene e affini. Gli acquisti che avevano generato le detrazioni/rimborsi IVA oggetto di accertamento erano relativi a beni e macchinari per l’allestimento di un complesso industriale per la produzione di integratori alimentari e cosmetici; detto stabilimento industriale era stato, effettivamente, allestito ed attrezzato, tanto che la verifica fiscale da cui avevano tratto origine gli avvisi di accertamento si era svolta presso i locali di detto stabilimento. Le predette circostanze risultavano, altresì, dalla sentenza impugnata, nella quale i giudici di secondo grado si erano limitati a disconoscere l’avvenuto avvio della produzione industriale da parte della contribuente, ma avevano confermato, a pag. 4, 7° cpv, l’esistenza di macchinari per la produzione di integratori alimentari e prodotti cosmetici presso lo stabilimento industriale allestito dalla società.
Il terzo mezzo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti con riferimento
alla produzione ed immissione in commercio di integratori e prodotti di dermocosmesi, in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. e specificamente della circostanza riconosciuta dalla stessa Agenzia delle Entrate negli atti di causa e, ancor prima negli avvisi di accertamento opposti , dell’avvio della produzione di lotti di prodotti campione, che riscontravano che lo stabilimento ed i macchinari acquistati erano stati utilizzati dalla società, con la conseguenza che il costo sopportato per l’acquisto dei macchinari e dello stabilimento poteva essere detratto/rimborsato alla contribuente ai sensi dell’art. 19 e 30 del d.P.R. n. 633 del 1972.
3.1 I motivi, che vanno trattati unitariamente, perché connessi sono inammissibili, perché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio mirano, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
3.2 Ed invero, con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
3.3 Nella vicenda in esame, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato che l’Agenzia delle Entrate, nel corso dei quattro accessi eseguiti presso lo stabilimento della società, a partire dal 2004 fino al 2009, aveva verificato che i macchinari non erano in funzione e i pochi dipendenti della società erano sostanzialmente inoperosi, come dimostrato, anche, dai bassi consumi di energia elettrica rilevati e che, a fronte di quanto accertato, la documentazione prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE non era idonea ad assolvere l’onere probatorio avente ad oggetto le spese di acquisto dell’ impianto di produzione di prodotti fitoterapici in polvere di dermocosmesi, poiché la documentazione era priva di data certa e dalla stessa non era possibile ricavare che gli stabilimenti della società fossero effettivamente entrati in funzione, ma piuttosto che la società aveva commercializzato prodotti di terze società e aveva prodotto limitatissimi quantitativi di campionature di prodotti. Inoltre, i giudici di secondo grado hanno precisato che mancava la prova sia della connessione dell’acquisto con l’espletamento della progettata attività imprenditoriale, sia del fatto che il mancato avvio della produzione industriale fosse ascrivibile a forza maggiore, ovvero a fatti e circostanza imprevedibili, ovvero estranee alla volontà imprenditoriale (cfr. pagine 5 e 6 della sentenza impugnata).
3.4 Ciò conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato « ai fini della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e sulle operazioni passive, occorre accertarne l’effettiva inerenza rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che sia tuttavia richiesto il concreto svolgimento dell’attività di impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche in assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività di carattere preparatorio» e che «il bene o il servizio acquisito, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, deve essere necessario all’organizzazione dell’impresa ovvero funzionale all’iniziativa economica programmata in vista della
successiva attuazione; il mancato utilizzo, inoltre, deve essere determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente, sia pure assunte in un’accezione ampia, come ha fatto la Corte di giustizia, a proposito della decisione di un soggetto passivo di non dare concreto inizio all’attività economica per effetto dei risultati di uno studio di fattibilità commissionato a terzi, Corte giust. in causa C-110/94, cit.; nella medesima direzione, da ultimo, Corte giust. 12 novembre 2020, causa C-734/19, Soc. RAGIONE_SOCIALE Timisoara » (Cass., 9 settembre 2022, n. 26689; Cass., 17 marzo 2021, n. 7440; Cass., 21 settembre 2016, n. 18475), ovvero « la detrazione dell’imposta può spettare anche in assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché, però, finalizzate alla costituzione delle condizioni d’inizio effettivo dell’attività tipica » (Cass., 3 ottobre 2018, n. 23994 ed anche Cass., Sez. U., 11 maggio 2018, n. 11533).
3.5 La prospettazione della società ricorrente, dunque, che fa leva sull’oggetto statutario e sulla produzione di limitati quantitativi di campionature di prodotti, non è in linea con questi principi.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 21 novembre 2023.