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Detrazione IVA preparatoria: quando è ammessa?

Una società ha sostenuto costi per un impianto produttivo mai entrato in funzione, vedendosi negare la detrazione IVA preparatoria. La Cassazione ha respinto il ricorso, sottolineando che il contribuente non ha provato né la finalità imprenditoriale concreta né che il mancato avvio fosse dovuto a cause di forza maggiore. L’ordinanza chiarisce anche che un verbale di accesso può costituire chiusura delle operazioni ai fini del termine dilatorio di 60 giorni.

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Pubblicato il 18 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA preparatoria: il diritto nasce dalla prova, non dall’intenzione

Il diritto alla detrazione IVA preparatoria, ovvero quella relativa ai costi sostenuti prima dell’effettivo avvio di un’attività economica, è un tema cruciale per le nuove imprese. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini di questo diritto, sottolineando come non basti la mera intenzione di avviare un’impresa, ma sia necessaria una prova concreta della finalità e della funzionalità degli acquisti all’iniziativa economica programmata. L’analisi del caso offre spunti fondamentali sia sul piano sostanziale che procedurale.

I Fatti del Caso: L’Investimento Senza Avvio

Una società operante nel settore della dermocosmesi aveva effettuato ingenti investimenti per l’acquisto e la messa in opera di un impianto destinato alla produzione di prodotti fitoterapici. Tuttavia, l’attività produttiva industriale non è mai effettivamente iniziata. A seguito di diverse ispezioni da parte dell’Amministrazione finanziaria, svoltesi nell’arco di cinque anni, era emerso che i macchinari erano inattivi, i dipendenti sostanzialmente inoperosi e i consumi energetici molto bassi. L’Ufficio ha quindi disconosciuto il diritto della società al rimborso del credito IVA maturato su tali acquisti, rettificando le dichiarazioni fiscali per due annualità.

La società ha impugnato gli avvisi di accertamento, sostenendo che i costi erano inerenti all’attività d’impresa, seppur in fase preparatoria. La Commissione tributaria regionale, però, ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello del contribuente.

La Questione Procedurale: Il Verbale di Chiusura

Prima di entrare nel merito, la società ricorrente aveva sollevato una questione procedurale: la violazione dell’art. 12 dello Statuto del Contribuente. A suo dire, al termine dell’ultima verifica non era stato consegnato un apposito “processo verbale di chiusura delle operazioni”, documento dal quale dovrebbe decorrere il termine dilatorio di 60 giorni prima che l’Ufficio possa emettere l’avviso di accertamento.

La Corte di Cassazione ha respinto questo motivo, chiarendo un principio consolidato. Il termine dilatorio decorre da qualsiasi tipo di verbale che concluda le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dalla sua denominazione formale. Anche un verbale che attesta le operazioni compiute in un singolo accesso, se questo è l’ultimo, è sufficiente a far scattare il termine. Lo scopo della norma è garantire il contraddittorio, e tale scopo è raggiunto con la consegna di un documento che riepiloghi le risultanze del controllo, come avvenuto nel caso di specie.

La Detrazione IVA Preparatoria e il Principio di Inerenza

Il cuore della controversia riguarda il diritto alla detrazione IVA preparatoria. La società sosteneva che l’acquisto dei macchinari e l’allestimento dello stabilimento erano inequivocabilmente finalizzati all’oggetto sociale e che, pertanto, l’IVA assolta fosse detraibile. La Corte ha affrontato la questione richiamando i principi consolidati della giurisprudenza nazionale ed europea.

La detrazione dell’imposta è ammessa anche per le attività di carattere preparatorio, pure in assenza di operazioni attive. Tuttavia, questo diritto non è incondizionato. È onere del contribuente dimostrare due elementi fondamentali:

1. L’inerenza effettiva: il bene o servizio acquistato deve essere necessario all’organizzazione dell’impresa e funzionale all’iniziativa economica programmata. Non basta una semplice coerenza con l’oggetto sociale statutario.
2. La causa del mancato avvio: il mancato utilizzo del bene deve essere determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente, come circostanze imprevedibili o di forza maggiore.

Nel caso in esame, la Corte ha ritenuto che la società non avesse assolto a questo onere probatorio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

I giudici di legittimità hanno confermato la valutazione della Commissione tributaria regionale. Le prove offerte dalla società sono state giudicate insufficienti. La documentazione prodotta era priva di data certa e non dimostrava che gli stabilimenti fossero effettivamente entrati in funzione. Anzi, suggeriva che la società si fosse limitata a commercializzare prodotti di terzi o a produrre quantitativi minimi di campionature, attività non sufficienti a giustificare l’inerenza di un intero impianto industriale.

La Corte ha evidenziato che l’Amministrazione finanziaria, attraverso quattro accessi in cinque anni, aveva raccolto prove oggettive (macchinari fermi, bassi consumi energetici) che contraddicevano la tesi della società. A fronte di ciò, il contribuente non è stato in grado di provare né la connessione concreta tra l’acquisto e la progettata attività imprenditoriale, né che il mancato avvio della produzione fosse ascrivibile a fattori esterni e imprevedibili, estranei alla propria volontà imprenditoriale.

La prospettazione della società, che faceva leva unicamente sull’oggetto sociale e sulla produzione di campioni, è stata ritenuta non in linea con i principi richiesti per il riconoscimento del diritto alla detrazione.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale in materia di IVA: il diritto alla detrazione per atti preparatori non è automatico. L’imprenditore che investe in vista di un’attività futura si assume il rischio d’impresa, che include anche le conseguenze fiscali del mancato avvio. Per poter detrarre l’IVA su tali costi, è indispensabile fornire una prova rigorosa del nesso funzionale tra l’acquisto e l’attività programmata, e dimostrare che l’eventuale fallimento del progetto non sia dipeso da una propria scelta o inerzia, ma da eventi oggettivi e non controllabili. In assenza di tale prova, il costo rimane a carico dell’impresa e l’IVA non è recuperabile.

È necessario un ‘processo verbale di chiusura delle operazioni’ specifico per far scattare il termine di 60 giorni prima dell’accertamento?
No. Secondo la Corte, qualsiasi verbale che concluda le operazioni di accesso, verifica o ispezione è idoneo a far decorrere il termine dilatorio di 60 giorni, indipendentemente dalla sua denominazione formale, purché riassuma le operazioni svolte.

La detrazione IVA è ammessa per i costi di un’attività mai avviata?
Sì, in linea di principio la detrazione IVA è ammessa anche per i costi relativi ad attività preparatorie, anche se non seguite da operazioni attive. Tuttavia, non è un diritto incondizionato.

Cosa deve dimostrare il contribuente per ottenere la detrazione IVA sui costi preparatori di un’attività non avviata?
Il contribuente deve fornire una prova rigorosa di due elementi: 1) che gli acquisti erano effettivamente e concretamente funzionali all’iniziativa economica programmata; 2) che il mancato avvio dell’attività è stato causato da fattori indipendenti dalla sua volontà, come cause di forza maggiore o circostanze imprevedibili.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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