Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 2583 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 2583 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1679/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE , domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende;
-controricorrente avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. BARI n. 2385/2017 depositata il 13/07/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha impugnato l’atto di diniego di rimborso di credito IVA per il 2010 motivato dalla non operatività della
società negli anni 2006, 2007 e 2008 e dalla mancanza di operazioni attive.
La Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Bari ha rigettato il ricorso mentre la Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Puglia, con la sentenza in epigrafe, ha accolto l’appello della contribuente.
La CTR ha ritenuto che l ‘inattività della società non era dovuta a fatti e circostanze imputabili all’imprenditore ma era da ricondurre a fatti straordinari ed imprevedibili (mancato rilascio di concessione edilizia, restituzione di contributi pubblici), con conseguente inapplicabilità della normativa antielusiva (v. art. 30 comma 4 l. n. 724/1994) e diritto della contribuente al rimborso del credito IVA.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate che si è affidata a due motivi.
Ha resistito con controricorso la società.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n.3 c.p.c., violazione dell’art. 30 della l. n. 724/1994 nonché dell’art. 30 comma 4 del d.P.R. n. 633/1972 perché il credito IVA si riferiva ad acquisto di beni ammortizzabili da parte della società, che peraltro non aveva mai posto in essere operazioni attive e, alla fine, era cessata cosicché, non solo si trattava di società non operativa, ma mancava il requisito dell’inerenza in relazione a quegli acquisti, come contestato con l’atto di diniego, e ricorreva la prova che quei beni non sarebbero mai stati utilizzati per l’esercizio di attività d’impresa.
Il motivo è infondato.
1.1. Questa Corte ha più volte precisato che, se, da un lato, in ordine agli acquisti di beni ed in generale alle operazioni passive occorre accertare, ai fini della detraibilità dell’imposta, che ricorra l’effettiva inerenza all’esercizio dell’impresa, cioè il loro
compimento in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, d’altro lato, non è richiesto, tuttavia, « il concreto esercizio dell’impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche nel caso di assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività meramente preparatorie” poiché è inerente all’esercizio dell’impresa anche l’acquisto di beni e servizi destinati alla costituzione delle condizioni necessarie perché l’attività tipica possa cominciare, rientrando nel concetto di strumentalità altresì le attività meramente preparatorie » (Cass. n. 7344 del 2011; Cass. n. 1578 del 2015; Cass. n. 18475 del 2016; Cass. n. 23994 del 2018); in particolare, in tema di IVA, ai fini della detraibilità dell’imposta assolta sugli acquisti di beni e sulle operazioni passive, occorre accertarne l’effettiva inerenza rispetto alle finalità imprenditoriali, senza che sia tuttavia richiesto il concreto svolgimento dell’attività di impresa, potendo la detrazione dell’imposta spettare anche in assenza di operazioni attive, con riguardo alle attività di carattere preparatorio, purché il bene o il servizio acquisito, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario all’organizzazione dell’impresa ovvero funzionale all’iniziativa economica programmata in vista della successiva attuazione e il mancato utilizzo sia determinato da cause indipendenti dalla volontà del contribuente, sia pure assunte in un’accezione ampia (Cass. n. 15570 del 2023; Cass. n. 26689 del 2022; Cass. n. 7440 del 2021).
1.2. Il suddetto orientamento giurisprudenziale è coerente col diritto unionale, come interpretato dalla Corte di giustizia; difatti, ha stabilito quella Corte, che chi ha l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un’attività economica e sostiene a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo sicché, in tale evenienza, deve essere riconosciuto il diritto di detrarre immediatamente l’IVA dovuta o pagata sulle spese d’investimento
sostenute in vista delle operazioni che si intendono effettuare e che danno diritto alla detrazione, senza dover aspettare l’inizio dell’esercizio effettivo della sua impresa e che « chi ha l’intenzione, confermata da elementi obiettivi, di iniziare in modo autonomo un’attività economica” ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2006/112 ed effettua a tal fine le prime spese di investimento deve essere considerato come soggetto passivo » (Corte di Giustizia, 28 febbraio 1996, in C110/94, Inzo; Corte di Giustizia, 15 gennaio 1998, in C-37/95, Ghent Coal; Corte di Giustizia, 8 giugno 2000, in C-400/98, NOME COGNOME; recentemente Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, in C263/15, Lajver), ferma restando la verifica che il bene o servizio acquistato, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario alla organizzazione della impresa ovvero funzionale all’iniziativa economica “programmata” in vista della successiva attuazione (Cass. n. 25986 del 2014; Cass. n. 10173 del 2021); invero, è l’acquisto di beni o servizi da parte di un soggetto passivo che agisce come tale a determinare l’applicazione del sistema dell’IVA e, quindi, della detrazione, mentre l’impiego dei beni o dei servizi, reale o anche previsto, determina soltanto l’entità della detrazione iniziale, nonché quella delle eventuali rettifiche (Corte giust. 28 febbraio 2018, causa C672/16, RAGIONE_SOCIALE), altrimenti si determinerebbe una violazione del principio di neutralità dell’imposta che comporterebbe disparità ingiustificate tra imprese con lo stesso profilo e che esercitano la medesima attività. Occorre, quindi, in definitiva, ai fini dell’esercizio del diritto di detrazione: anzitutto, che il bene o servizio acquisito, anche se non immediatamente inserito nel ciclo produttivo, sia necessario all’organizzazione dell’impresa o funzionale all’iniziativa economica “programmata” in vista della successiva attuazione (in linea, Cass. n. 5559 del 2019 e Cass. n. 3396 del 2020); poi, che il mancato utilizzo del bene sia determinato da cause indipendenti dalla
volontà del soggetto acquirente, sia pure assunte in un’accezione ampia (Corte giust. in causa C110/94, cit.; Corte giust. 12 novembre 2020, causa C-734/19, Soc. RAGIONE_SOCIALE Timisoara).
1.3. Nella specie, la contestazione dell’inerenza si fonda esclusivamente sul mancato utilizzo degli acquisti cui si riferisce la detrazione per l’ esercizio dell ‘impresa , che non poteva più essere svolta, ma la CTR ha accertato che l’in attività della società era da imputare a fatti straordinari e imprevedibili, indipendenti dalla volontà del contribuente, fatti che, quindi, in ossequio ai principi sopra evidenziati, non precludono il diritto alla detrazione dell’IVA relativa agli acquisti propedeutici e funzionali all’attività economica programmata.
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., omesso esame di fatti controversi e decisivi, in quanto la CTR non aveva esaminato tutte le circostanze dedotte dall’Ufficio in ordine alla non operatività della società: nel 2006 era stata la stessa società a dichiararsi ‘non operativa’ , nel 2007 e nel 2008 la società aveva superato il test di operatività solo a seguito dell’indicazione di proventi straordinari che l’art. 30 comma 1 l. n. 724 del 1994 esclude espressamente dal calcolo di operatività.
2.1. Il motivo è inammissibile in quanto non coglie la ratio decidendi della sentenza perché la CTR non ha escluso la ricorrenza dei presupposti legali della non operatività ma ha ritenuto che, nonostante ciò, fossero presenti situazioni oggettive che giustificavano il mancato superamento del test di operatività, ai sensi dell’art. 30 comma 4 bis della stessa legge, e la disapplicazione della normativa citata.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, vanno regolate secondo soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed ulteriori accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 23/10/2024.