Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22797 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 22797 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 15786/2022 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che lo rappresenta e difende;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO STUDIO TRIBUTARIO DEIURE, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE, COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di COMM.TRIB.REG. MILANO n. 4488/2021 depositata il 17/12/2021.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
Sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Udito l’avv. dello Stato NOME COGNOME per la ricorrente.
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica della Guardia di finanza nei confronti della RAGIONE_SOCIALE venivano emessi avvisi di accertamento per diverse annualità recanti recupero di IVA indebitamente detratta nei confronti della RAGIONE_SOCIALE, attiva nel mercato telematico dell’energia elettrica, in relazione ad operazioni oggettivamente inesistenti.
Secondo l’assunto erariale, le due società insieme ad altre facenti parte del medesimo gruppo, avevano acquistato e venduto tra di loro, sul mercato telematico, ingenti quantità di energia realizzando un meccanismo circolare a saldo ‘zero’ (con riferimento sia ai quantitativi di energia negoziati sia con riferimento ai corrispettivi), privo quindi di quel carattere aleatorio e speculativo proprio di questo tipo di operazioni. Inoltre, la RAGIONE_SOCIALE aveva una sede sociale che costituiva mero recapito in comune con altre società, non disponeva di personale e strumenti, e nessuna delle operazioni era stata registrata presso la Borsa elettrica gestita dal GSE (Gestore del mercato elettrico).
L’avviso di accertamento relativo al 2013 veniva impugnato dalla RAGIONE_SOCIALE e la CTP di Milano con sentenza n. 4272/19 accoglieva il ricorso.
La CTR della Lombardia, con la sentenza in epigrafe, accoglieva l’appello osservando: la società aveva dimostrato che la sede legale non coincideva con la sede operativa, presso la quale erano regolarmente assunti quindici dipendenti di cui dodici impiegati nel settore del trading attraverso l’utilizzo delle strutture informatiche di cui disponeva la società; le società aventi sede presso la stessa sede legale in Milano della RAGIONE_SOCIALE facevano parte del gruppo riferibile a quest’ultima; l’affidamento degli incarichi professionali da parte della RAGIONE_SOCIALE e di altre società coinvolte al medesimo studio professionale si spiegava col fatto che questo è specializzato proprio nel settore elettrico; era stata acquisita la prova dell’avvenuta
registrazione delle transazioni che costituivano operazioni circolari o back to back del tutto lecite.
Avverso questa sentenza l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione fondato su tre motivi.
Ha resistito con controricorso la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione falsa applicazione degli artt. 2697, 2729 c.c., 19 comma 1 d.P.R. n. 633/1972, 63, 168, 203 e 273 della Direttiva 2006/112/CE.
1.1. In particolare, si lamenta la violazione delle regole che presiedono il ragionamento presuntivo, su cui si fonda l’accertamento delle operazioni oggettivamente inesistenti, essendo stato omesso l’esame, singolo e complessivo, degli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, mentre il giudice d’appello si era limitato ad esaminare, in termini essenzialmente astratti, solo alcune circostanze, « così ‘atomizzando’ la ricostruzione dei fatti ». Il fatto che nel mercato elettrico a termine si procede per compensazioni dei saldi attivi e passivi non esclude che le operazioni possano essere reali oppure fittizie, come dimostrato in via indiziaria attraverso le circostanze, pacifiche, dedotte dall’Ufficio che la CTR non aveva considerato: le transazioni tra la RAGIONE_SOCIALE e la Europe Energy negli anni 20092013 risultavano dalle tabelle prodotte che non erano mai state contestate dalla controparte, tali operazioni non si erano mai concluse con saldi attivi e passivi ma le transazioni reciproche erano sempre perfettamente corrispondenti come quantitativi di energia e come corrispettivi sicché il loro saldo era sistematicamente pari a zero; la controparte non aveva mai dimostrato di aver consegnato o ricevuto energia elettrica nei suoi rapporti con la RAGIONE_SOCIALE né di aver effettuato o ricevuto pagamenti nei rapporti con questa società. La CTR non aveva valutato gli elementi concreti offerti dall’Ufficio ma aveva svolto considerazioni astratte, evidenziando che la RAGIONE_SOCIALE non faceva parte del gruppo della RAGIONE_SOCIALE ovvero che nel mercato elettrico sono usuali le transazioni back to back .
Con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 1 d.P.R. n. 633/1972 nonché degli att. 63, 168, 203, 373 Direttiva 2006/112/CE, in quanto la CTR aveva riconosciuto il diritto alla detrazione IVA in violazione di quanto previsto dalla sentenza della Corte di giustizia, 9 maggio 2019, causa C-712/17, con riferimento alle operazioni ccd.dd. ‘circolari’ oggettivamente fittizie, che richiede l’eliminazione di qualunque pericolo di perdita di gettito per l’Erario mediante rettifica delle operazioni attive inesistenti e conseguente neutralizzazione delle detrazioni operate utilizzando quelle fatture.
Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 1, d.P.R. n. 633/1972 e degli artt. 63, 168, 203 e 273 della Direttiva 2006/112/CE , laddove la CTR ha affermato che la ripresa a tassazione nei confronti della RAGIONE_SOCIALE non era legittima in quanto l’Ufficio non aveva effettuato analoga ripresa nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
Va esaminato prioritariamente il secondo motivo, che è fondato.
4.1. Va premesso che secondo l’art. 21 comma 7, d.P.R. n. 633/72 « se il cedente o prestatore emette una fattura per operazioni inesistenti, ovvero indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura ». Invero, tale disposizione esprime il c.d. ‘principio di cartolarità’, attualmente desumibile dall’art. 203 della Direttiva 112/2006/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006 (‘Direttiva IVA’), secondo cui « L’IVA è dovuta da chiunque indichi tale imposta in una fattura ». L’effetto di tali disposizioni è che l’indicazione in una fattura dell’imposta sul valore aggiunto, connessa ad una certa operazione, implica la sua debenza, anche se la fattura ‘descrive’ operazioni ‘inesistenti’, sia soggettivamente che oggettivamente (CGUE 18 giugno 2009, in causa C-566/07, Stadeco, punto 26 e giurisprudenza citata; CGUE 31 gennaio 2013, in causa C-643/11, Stroy trans, punti 29 e 42). All’obbligo di pagamento dell’imposta
risultante in fattura si affianca il diritto alla detrazione dell’imposta versata in rivalsa (art. 19 D.P.R. n. 633/1972; art. 168 Direttiva IVA) e la combinazione delle due disposizioni assicura la neutralità dell’imposta, con l’avvertenza, però, che « è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta » (CGUE, 8 maggio 2019, in causa C712/17, EN.SA., punto 27).
4.1.1. Questa differenza tra i presupposti dell’obbligazione del soggetto passivo (cartolarità del debito IVA) e quelli del diritto alla detrazione di quanto versato in rivalsa (effettività dell’operazione) può creare delle frizioni nell’attuazione del principio di neutralità, in particolare nei casi in cui non si rinviene un omesso versamento di imposta e però l’operazione risulti priva di sostanza economica tanto da poter essere considerata ‘inesistente’. È il caso delle cc.dd. operazioni ‘circolari’ in cui, a fronte dell’emissione di una fattura, corrisponde, da parte del destinatario, l’emissione, a sua volta, di una ‘opposta’ fattura per un pari importo, cosicché la somma algebrica dei relativi crediti e debiti IVA non fa scaturire alcun saldo a debito.
4.1.2. Tale fattispecie è prospettata nella presente vicenda che, con riguardo ad un’altra società coinvolta, è stata oggetto di esame dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea, la quale, con la sentenza 8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE in causa C-712/2017, ha precisato entro quali limiti, in ossequio ai principi di neutralità e di proporzionalità, può essere riconosciuto, nelle circostanze evidenziate dal giudice rimettente, il diritto alla detrazione dell’IVA.
4.1.3. In particolare, il giudice unionale ha evidenziato la peculiarità della fattispecie posta alla sua attenzione ed ha ragionato in ordine alla corretta applicazione, al caso di specie, sia della previsione di cui all’art. 168 che di quella di cui all’art. 203 della Direttiva IVA in materia, rispettivamente, di indetraibilità dell’IVA in caso di operazioni inesistenti e di sussistenza dell’obbligo di assolvere al pagamento dell’imposta per chiunque indichi l’IVA in fattura. In questo ambito la Corte (punto 28) ha posto in evidenza che, nella situazione particolare di cui al procedimento principale, le prescrizioni stabilite agli articoli
168 e 203 della Direttiva IVA si imponevano congiuntamente al medesimo operatore. Infatti, gli stessi quantitativi di energia elettrica erano rivenduti fittiziamente allo stesso prezzo tra le società del medesimo gruppo in maniera circolare, di modo che tali società li vendevano e riacquistavano al medesimo prezzo. Ogni operatore era così allo stesso tempo soggetto emittente di una fattura indicante un importo IVA e destinatario di un’altra fattura, relativa all’acquisto dello stesso quantitativo di energia elettrica allo stesso prezzo e indicante lo stesso importo IVA. In quanto soggetto emittente di una fattura e ai sensi della norma prevista dall’articolo 203 della Direttiva IVA, la società era dunque debitrice verso l’Erario dell’importo dell’IVA in essa indicato. Invece, tenuto conto del carattere fittizio delle operazioni in questione, non era consentito a tale società, conformemente alla prescrizione risultante dall’articolo 168 di tale direttiva, detrarre l’imposta del medesimo importo indicato sulla fattura di cui essa era destinataria a titolo del riacquisto dell’energia elettrica.
4.1.4. Pronunciando, quindi, sulla domanda pregiudiziale prospettata dal giudice del rinvio, diretta a verificare se l’applicazione congiunta di tali prescrizioni, risultanti dalla Direttiva IVA e recepite dal diritto nazionale, violi il principio di neutralità dell’IVA, la Corte ha ribadito, in primo luogo, che il diritto alla detrazione dell’IVA postula che le attività economiche per le quali il diritto viene esercitato siano di per sé soggette all’IVA, sicché il rischio di perdita di gettito fiscale non è, in linea di principio, eliminato completamente fintantoché il destinatario di una fattura che indica un’IVA non dovuta possa utilizzarla al fine di ottenere la detrazione di tale imposta (punto 31, che richiama la sentenza del 31 gennaio 2013, in causa C-642/11, Stroy trans, punto 31). Con riferimento, poi, al principio di proporzionalità, la Corte (punto 33) ha precisato che, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il carattere fittizio delle operazioni ostacola la detraibilità dell’imposta, il diritto alla detrazione dell’IVA è garantito dalla possibilità, che spetta agli Stati membri prevedere, di rettificare ogni imposta indebitamente fatturata, purché l’emittente della fattura dimostri la propria buona
fede o abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdita di gettito fiscale (sentenza del 31 gennaio 2013, in causa C642/11, Stroy trans, , punto 43).
4.1.5. In relazione a tali ultimi due requisiti (buona fede o eliminazione del rischio di perdita di gettito fiscale), poiché dalle spiegazioni fornite alla Corte di giustizia dal giudice del rinvio emergeva che la società aveva consapevolmente emesso fatture non corrispondenti ad alcuna operazione reale, la Corte ha precisato che in tali circostanze la società non poteva avvalersi della sua buona fede. D’altro lato, considerato che, secondo la prospettazione del giudice del rinvio, le vendite fittizie di energia elettrica tra le società interessate non avevano dato origine ad alcuna perdita di gettito fiscale, in quanto le società coinvolte avevano regolarmente assolto l’IVA gravante sulle loro vendite di energia elettrica e, avendo poi riacquistato gli stessi quantitativi di energia elettrica al medesimo prezzo, avevano detratto un importo iva identico a quello che avevano assolto, la possibilità di riconoscere il diritto alla detrazione, nel caso in esame, era strettamente correlata alla necessità di verificare se il diritto nazionale consentisse di rettificare il debito d’imposta risultante da tale obbligo qualora l’emittente di detta fattura, che non era in buona fede, avesse, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale (punto 35).
4.1.6. La Corte ha così concluso che « In una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui vendite fittizie di energia elettrica effettuate in modo circolare tra gli stessi operatori e per gli stessi importi non hanno causato perdite di gettito fiscale, la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto, letta alla luce dei principi di neutralità e di proporzionalità, deve essere interpretata nel senso che essa non osta a una normativa nazionale che esclude la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) relativa a operazioni fittizie, imponendo al contempo ai soggetti che indicano l’IVA in una fattura di assolvere tale imposta, anche per un’operazione inesistente, purché il diritto nazionale consenta di rettificare il debito d’imposta
risultante da tale obbligo qualora l’emittente della fattura, che non era in buona fede, abbia, in tempo utile, eliminato completamente il rischio di perdite di gettito fiscale, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare ».
4.2. Quindi, il giudice d’appello, che ha giudicato comunque infondata la ripresa a tassazione dell’IVA detratta dalla RAGIONE_SOCIALE, con riguardo alle operazioni passive ‘circolari’ effettuate con la RAGIONE_SOCIALE, perché « tutte le società contraenti hanno provveduto al versamento delle imposte dovute », non ha fatto buon governo di questi principi essendo necessario, nell’ambito delle cc.dd. ‘operazioni circolari’, che « l’eventuale successiva emissione di fatture per operazioni inesistenti sia stata anestetizzata mediante il meccanismo di cui all’art. 26, cit. », perché « solo in tale evenienza può dirsi che, venuto meno il rischio di perdita per l’erario, in quanto colui che ha ricevuto la fattura per operazioni oggettivamente inesistenti non possa procedere alla relativa detrazione », sussiste quindi la possibilità di procedere alla detrazione dell’IVA corrisposta a sua volta dal soggetto cedente (cfr., Cass. n. 29278 del 2023, non massimata).
4.3. A questa stregua, il quadro normativo complessivo, concernente il regime fiscale connesso alla emissione di fattura per operazione in tutto od in parte inesistente, può essere compendiato nello schema seguente: « a) il destinatario della fattura non è legittimato a portare in detrazione l’IVA indebitamente fatturata, laddove non sussista, o non venga ripristinato con procedura di variazione o ancora non sia possibile ripristinare la corrispondenza tra rappresentazione cartolare e reale operazione economica (..); b) l’emittente della fattura è tenuto, quale soggetto passivo, a versare l’IVA liquidata in fattura (in base al “principio di cartolarità” di cui all’art. 21, par. 1, lett. e) della 6^ direttiva CEE e dell’art. 203 della direttiva CE n. 112/2006, recepito nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7), nel caso in cui non abbia tempestivamente provveduto ad avvalersi della specifica disciplina predisposta dallo Stato membro (nella specie dettata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26) per emendare gli errori concernenti la emissione o la indicazione dei dati riportati nella fattura: il ripristino
della corrispondenza tra realtà economica e rappresentazione cartolare della stessa riconduce a regolarità il funzionamento del sistema IVA, consentendo l’applicazione della esatta imposta dovuta (ed il rimborso di quella eventualmente versata in eccedenza dal soggetto passivo) ed il corretto esercizio del diritto a detrazione, da parte del destinatario della fattura emendata da errori; c) la inottemperanza dell’emittente agli adempimenti richiesti dalla predetta normativa statale per provvedere alla correzione od all’annullamento della fattura erroneamente emessa, non può tuttavia ritenersi ostativa al riconoscimento del rimborso dell’iva indebita versata in eccedenza, né può ritenersi condizione integrativa della pretesa fatta valere dalla Amministrazione finanziaria del pagamento della imposta erroneamente liquidata nella fattura, laddove, con accertamento in fatto riservato al Giudice di merito, risulti che sia stato in tempo utile definitivamente eliminato qualsiasi rischio di perdita del gettito fiscale, perdita che si verifica allorché il destinatario della fattura erroneamente emessa o nella quale è stata indebitamente liquidata l’imposta abbia esercitato in base a tale documento il diritto alla detrazione (o al rimborso), o comunque possa attualmente esercitare tale diritto; d) deve riconoscersi la definitiva eliminazione del rischio in questione quando risulti accertato che la fattura o il documento ad essa considerato equipollente non sia stata “emessa” ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 1, ovvero quando la fattura erroneamente “emessa” sia stata tempestivamente ritirata dal destinatario senza che questi ne abbia fatto uso fiscale (annotandola nel registro acquisti od in altre scritture contabili destinate ad evidenziare il diritto alla detrazione) o ancora quando l’Amministrazione finanziaria (anche a seguito di segnalazione dello stesso emittente, ovvero nell’esercizio dei poteri di verifica di ufficio) abbia contestato e definitivamente disconosciuto con provvedimento divenuto definitivo o riconosciuto legittimo con accertamento passato in giudicato il diritto alla detrazione vantato dal destinatario della predetta fattura» (Cass. n. 29278 del 2023; v. anche Cass. n. 10939 del 2015; Cass. n. 7080 del 2020).
4.4. Va precisato che la possibilità di procedere alla definitiva eliminazione del rischio in questione trova il suo riferimento nella previsione di cui all’art. 26, commi 1 e 3, d.P.R. n. 633/1972, non nella previsione di cui all’art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633/1972, che ha unicamente riguardo alle ipotesi in cui un’operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione venga meno in tutto o in parte in relazione a vicende che comportino la mancanza di effetti dell’atto negoziale che aveva determinato il sorgere dell’obbligazione di cessione del bene o di prestazione di un servizio o l’inadempimento del debitore a causa di procedure concorsuali o esecutive individuali rimaste infruttuose ovvero qualora si verifichino altre ipotesi specificamente indicate (Cass. n. 29278 del 2023).
Passando all’esame del primo motivo, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla controricorrente secondo cui, da un lato, il motivo si risolverebbe in una nuova e diversa valutazione delle risultanze istruttorie e, dall’altro, gli elementi indiziari evidenziati che la CTR non avrebbe valutato, o avrebbe valutato erroneamente, sarebbero irrilevanti o addirittura nuovi, falsi o insussistenti.
5.1. Le eccezioni sono infondate. Posto che « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass. n. 32505 del 2023) va rilevato che a) la censura ha ad oggetto violazioni di legge in cui sarebbe incorsa la CTR nello svolgimento del ragionamento presuntivo, b) non è il giudizio di
legittimità la sede per procedere ad accertamenti in fatto, dovendosi, appunto, svolgere un controllo « sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica» della valutazione svolta dal giudice di merito che conduce, in questo caso, al rilievo di una non corretta applicazione da parte del giudice d’appello delle regole che sorreggono il ragionamento presuntivo.
5.2. Il motivo, quindi, è ammissibile ed è pure fondato.
5.3. Va considerato che, nel caso cui l’amministrazione finanziaria contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, secondo consolidato orientamento la stessa ha l’onere di provare che l’operazione commerciale documentata dalla fattura non è stata in realtà mai posta in essere, indicando gli elementi presuntivi o indiziari sui quali fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, strumenti che vengono di solito adoperati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia e che, al fine di individuare, poi, quali elementi presuntivi possono essere forniti dall’amministrazione finanziaria per assolvere al proprio onere di prova in caso di operazioni ritenute oggettivamente inesistenti, gli stessi devono condurre a ritenere, mediante procedimento inferenziale, che l’operazione non sia mai stata posta in essere e, sotto tale profilo, costituisce valido elemento indiziario la circostanza che il soggetto che ha emesso la fattura era privo di idonea struttura organizzativa (locali, mezzi, personale, utenze), posto che è ragionevole inferire che dalla suddetta mancanza degli elementi essenziali per potere operare quale operatore commerciale possa farsi discendere la considerazione conclusiva della mancata realizzazione dell’operazione indicata in fattura (Cass. civ., n. 9851 del 2018).
5.4. Inoltre, una volta che l’Amministrazione finanziaria dimostri, anche mediante presunzioni semplici, l’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o
della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., n. 28628 del 2021, in motivazione, citata; Cass., n. 17619 del 2018).
5.5. In questo caso il giudice del gravame doveva valutare gli elementi presuntivi sulla base dei quali l’Amministrazione finanziaria aveva prospettato che le operazioni di acquisto dell’energia elettrica da parte della società contribuente erano oggettivamente inesistenti, perché, come risulta in particolare dal contenuto del ricorso (v. pag. 2), la RAGIONE_SOCIALE aveva, negli anni dal 2009 al 2013 …organizzato una rete di società, facenti capo ai medesimi soggetti, che acquistavano e vendevano reciprocamente ingenti quantità di energia elettrica sul mercato telematico, realizzando un meccanismo circolare in forza del quale la quantità di energia comprata era sempre pari a quella venduta, e i corrispettivi pagati da ciascuna società per gli acquisiti erano pari ai corrispettivi incassati per le rivendite alle altre società della rete ».
5.6. La decisione del giudice del gravame, invece, prescinde dall’esame della valenza presuntiva del complesso degli elementi indiziari prospettati dall’amministrazione finanziaria e focalizza l’attenzione sul piano astratto delle modalità con la quale si opera nel mercato dell’energia elettrica , trascurando di considerare le modalità concrete con le quali le stesse erano state realizzate, secondo la prospettazione dell’amministrazione finanziaria, finalizzata ad evidenziare l’inesistenza oggettiva delle medesime.
5.7. Così, la considerazione delle operazioni tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE come back to back non rappresenta un accertamento appagante rispetto all’assunto dell’Ufficio, fondato sulla ‘circolarità’ del complesso delle operazioni -costituente grave indizio della fittizietà di quelle operazioni – per cui le « attività di acquisto e di vendita si concludevano sempre con una perfetta parità di costi e
ricavi da ciascuna delle diverse società coinvolte e tra le quantità di energia elettrica acquistata e venduta, in un contesto di preordinazione da parte della società RAGIONE_SOCIALE, rendendo quindi priva di logica economica il complesso delle attività negoziali realizzate » (Cass. n. 29276 del 2023). In altri termini, il fatto che si sia trattato di operazioni back to back di per sé non esclude il connotato della circolarità né conferma l’effettività delle operazioni.
5.8. In questo modo la CTR ha violato non soltanto le regole che governano il ragionamento presuntivo, con deviazione dal modello “atomistico-analitico”, fondato sul rigoroso esame di ciascun singolo fatto indiziante e sulla successiva valutazione congiunta, complessiva e globale, degli stessi, da compiersi alla luce dei principi di coerenza logica, compatibilità inferenziale e concordanza (Cass. n. 18327 del 2023; Cass. n. 19045 del 2022), ma gli stessi principi sopra riportati in tema di operazioni oggettivamente inesistenti.
Il terzo motivo è inammissibile in quanto si tratta di mere argomentazioni, formulate in termini ipotetici sulla scorta della mancata contestazione da parte dell’Ufficio della memoria di controparte in cui si deduceva che l’Agenzia non aveva contestato alla RAGIONE_SOCIALE le operazioni inesistenti effettuate con la RAGIONE_SOCIALE; da ciò si osserva che l’Agenzia non aveva fugato le « perplessità in ordine alla ipotizzata contraddizione incidente sull’operato delle diverse articolazioni territoriali della A.F .»; tali osservazioni non hanno rilievo decisivo e non costituiscono ratio decidendi .
Conclusivamente, accolti il primo e il secondo motivo, dichiarato inammissibile il terzo, la causa deve essere rinviata al giudice del merito.
p.q.m.
accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il terzo; cassa di conseguenza la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia che, in diversa composizione, provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Roma, 13 maggio 2025