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Detrazione IVA: onere della prova in frodi carosello

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 29468/2025, interviene sul tema della detrazione IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti. Il caso riguardava un’impresa di commercio auto a cui l’Amministrazione Finanziaria contestava la partecipazione a una frode carosello. La Corte ha stabilito che, di fronte a solidi indizi di frode presentati dall’ente impositore, spetta al contribuente dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza. La semplice regolarità formale dei documenti non è sufficiente. La sentenza del giudice d’appello è stata cassata con rinvio per una nuova valutazione dei fatti.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e Frodi Carosello: la Cassazione definisce l’Onere della Prova

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente in materia di detrazione IVA contestata nell’ambito di operazioni soggettivamente inesistenti, comunemente note come ‘frodi carosello’. Questa decisione sottolinea l’importanza della diligenza dell’imprenditore e chiarisce che la sola apparenza formale non basta a salvarsi da contestazioni di frode.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a un’impresa individuale operante nel settore della compravendita di autovetture usate. L’Amministrazione Finanziaria contestava l’indebita detrazione dell’IVA relativa a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. In particolare, secondo l’accusa, l’impresa avrebbe acquistato veicoli da una società risultata essere una ‘cartiera’, ovvero una società fittizia interposta in uno schema fraudolento per evadere l’IVA.

Il contenzioso vedeva inizialmente il contribuente vittorioso sia in primo che in secondo grado. Tuttavia, i giudici d’appello, pur respingendo il ricorso del Fisco, non avevano adeguatamente motivato le ragioni per cui ritenevano non provata la natura di ‘cartiera’ della società fornitrice, nonostante gli numerosi indizi forniti dall’Amministrazione Finanziaria. Quest’ultima ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’errata applicazione delle norme sull’onere probatorio.

La Detrazione IVA e l’Onere della Prova

La questione centrale ruota attorno a un principio fondamentale del diritto tributario: chi deve provare cosa? La Corte di Cassazione ha ribadito l’orientamento consolidato, anche a livello europeo.

In caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni semplici (purché gravi, precise e concordanti), non solo l’esistenza dello schema fraudolento, ma anche che il cessionario (l’acquirente) era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza.

Gli elementi indiziari portati dal Fisco nel caso specifico erano significativi: la società fornitrice era priva di una reale struttura organizzativa, il suo legale rappresentante aveva ammesso la totale assenza di documentazione contabile e il meccanismo di pagamento era anomalo (pagamento diretto in contanti in Germania all’originario venditore e successiva restituzione in contanti dell’IVA al cliente finale dopo l’incasso dell’assegno).

La Responsabilità e la Diligenza del Contribuente

Una volta che l’Amministrazione Finanziaria ha fornito un quadro probatorio sufficiente, la palla passa al contribuente. A questo punto, spetta a quest’ultimo dimostrare la propria buona fede e di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore economico accorto.

La Corte ha specificato che, per assolvere a questo onere, non è sufficiente appellarsi alla regolarità formale delle fatture o alla tracciabilità dei pagamenti. Questi elementi, infatti, sono facilmente falsificabili e fanno parte integrante dello schema fraudolento. Il contribuente deve invece provare di essersi trovato in una situazione di ‘oggettiva inconoscibilità’ della frode, dimostrando di aver adottato tutte le cautele necessarie per verificare l’affidabilità del proprio partner commerciale.

le motivazioni

La Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Amministrazione Finanziaria, cassando la sentenza d’appello. La motivazione principale risiede nell’errore commesso dai giudici di merito, i quali non hanno correttamente valutato il quadro indiziario fornito dal Fisco. La Corte Regionale, pur ricostruendo i principi di diritto, non ha poi spiegato concretamente perché gli elementi presentati non fossero sufficienti a provare che la società fornitrice fosse una mera cartiera. In sostanza, ha omesso di valutare il merito delle prove che indicavano la natura fittizia del fornitore e, di conseguenza, ha erroneamente ritenuto non provata la consapevolezza del contribuente.

La Cassazione ha quindi affermato che, di fronte a indizi oggettivi tali da mettere in allarme un qualsiasi imprenditore mediamente esperto, l’onere di provare la propria incolpevolezza si trasferisce sul contribuente. La sentenza impugnata è stata annullata perché non ha preso in considerazione questi elementi e non ha applicato correttamente il principio della ripartizione dell’onere probatorio.

le conclusioni

La decisione in commento rappresenta un monito importante per tutti gli operatori economici. Il diritto alla detrazione IVA non è assoluto, ma è condizionato alla buona fede e alla diligenza del contribuente. Per evitare di essere coinvolti in frodi fiscali, è fondamentale adottare un approccio proattivo nella verifica dei propri partner commerciali. La semplice apparenza non basta: di fronte a circostanze anomale o a fornitori privi di una solida e verificabile struttura aziendale, è necessario approfondire i controlli per non rischiare di perdere il diritto alla detrazione e subire pesanti sanzioni. Il caso è stato rinviato a un’altra sezione della Corte di giustizia tributaria regionale per un nuovo esame che dovrà attenersi ai principi di diritto stabiliti dalla Cassazione.

Quando l’Amministrazione Finanziaria contesta una frode IVA, chi deve provare cosa?
L’Amministrazione Finanziaria ha l’onere di dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e anche tramite presunzioni, che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta e che il destinatario della fattura sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito in buona fede e con la massima diligenza.

Cosa deve fare un’impresa per difendersi dall’accusa di aver partecipato a una frode IVA?
L’impresa deve provare di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolta. Deve dimostrare di essersi trovata in una situazione di oggettiva impossibilità di conoscere le operazioni fraudolente a monte, nonostante l’impiego della dovuta diligenza richiesta dalle circostanze specifiche dell’operazione.

La regolarità formale delle fatture e dei pagamenti è sufficiente a garantire la detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, la regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a dimostrare la buona fede, poiché si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili e che spesso fanno parte dello schema fraudolento stesso. Non assumono rilievo neanche la mancanza di benefici diretti dalla rivendita della merce.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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