Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9919 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9919 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23225/2023 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO. (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
GENOVESE NOME, elettivamente domiciliata in POTENZA INDIRIZZO COGNOMEINDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende (EMAIL
-controricorrente- avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO BASILICATA n. 122/2023 depositata il 25/05/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Giustizia di secondo grado della Basilicata ( hinc: CGT2), con la sentenza n. 122/2023 depositata in data 25/05/2023, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 493/2022, con la quale la Corte di giustizia di primo grado di Potenza aveva accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di accertamento con il quale veniva recuperata a tassazione l’imposta di Euro 124.415,00.
La CGT2 ha ritenuto infondato l’appello. In particolare, ha escluso che nel caso di specie ricorresse un’ipotesi di frode, dal momento che RAGIONE_SOCIALE (i cui soci erano rispettivamente coniuge e cognato della contribuente) aveva rappresentato nella dichiarazione presentata la realtà delle operazioni intercorse. L’amministrazione finanziaria, al contrario, aveva ritenuto che si fosse verificata una vera e propria frode, senza indicare, tuttavia, le modalità attraverso le quali quest’ultima sarebbe st ata perpetrata.
2.1. Il giudice di secondo grado ha, quindi, distinto tra elusione (intesa come comportamento passivo non preordinato, dove si evita di pagare le imposte dichiarate e dovute per mancanza di fondi necessari all’assolvimento del debito) e frode (intesa come vero e proprio raggiro che si manifesta con la creazione dolosa di una situazione non corrispondente a quella reale, mediante la mistificazione della realtà commerciale attuata attraverso la presentazione di una dichiarazione dove i redditi percepiti non sono indicati o sono indicati in misura inferiore oppure sono indicate spese false o sono emesse fatture o ricevute per operazioni inesistenti, per consentire ai terzi l’evasione sui redditi IVA).
2.3. Di conseguenza, ad avviso della CGT2, per la dimostrazione della frode non è sufficiente provare, anche in via indiziaria, che il ricevente delle fatture fosse a conoscenza della temporanea
illiquidità dell’emittente, ma è necessario provare il comportamento attivo e preordinato del soggetto che la compie e la piena conoscenza, da parte del destinatario delle fatture, delle finalità dell’operazione compiuta, non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione.
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con due motivi.
La sig.ra NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata censurata la « Nullità della sentenza per grave carenza e mera apparenza della motivazione -Violazione dell’art. 111, comma 6, Cost., dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c., art. 118 Disp. att. c.p.c., artt. 1, comma 2, 36, comma 2, nn. 2 e 4, del D.lgs. n. 546/1992, nonch é dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c. »
1.1. La ricorrente ha denunciato che la sentenza è intrinsecamente contraddittoria e ha adottato motivazioni non corrispondenti con il petitum delle censure articolate dalla parte appellante, in violazione dell’art. 112 c.p.c. Dalla lettura della sentenza impugnata è stato ritenuto che l’ufficio avesse contestato la frode fiscale, in realtà mai contestata, dal momento che l’amministrazione finanziaria aveva disconosciuto il diritto alla detrazione. Rileva che il diritto a quest’ultima deve essere negato al cessionario (sig.ra COGNOME NOMECOGNOME che sapeva o che avrebbe dovuto sapere, utilizzando l’ordinaria diligenza, che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla detrazione si iscriveva in un’evasione commessa dall’emittente della fattura correlata a tale operazione (o da uno dei suoi subfornitori).
1.2. L’Agenzia delle Entrate afferma, poi, di aver ribadito nell’atto d’appello (pag. 6 -7) non solo il fatto notorio avente ad oggetto il rapporto familiare molto stretto intercorrente tra la contribuente e i soci della società RAGIONE_SOCIALE emittente fatture (per cui questi ultimi erano, rispettivamente, cognato e marito della sig.ra COGNOME), ma anche la sistematicità dell’evasione d’imposta generata ‘a monte’.
1.3. Il motivo di ricorso è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte: « Ricorre il vizio di motivazione apparente della sentenza, denunziabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche, congetture.(Nella specie, in applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto affetta da tale vizio la sentenza impugnata che aveva dichiarato inammissibile l’appello perché tardivo, senza indicare la documentazione esaminata e la valenza probatoria della stessa ai fini della decisione assunta). » (Cass., 23/05/2019, n. 13977).
La motivazione apparente deve essere distinta dalla motivazione sintetica, dal momento che nel primo caso, a differenza del secondo, resta totalmente oscuro e impenetrabile l’iter argomentativo che ha condotto il giudice a un determinato risultato decisorio. Non basta neppure che la decisione e le argomentazioni poste a suo fondamento non siano condivise dalla parte soccombente, essendo necessario e sufficiente che il giudice indichi le ragioni e gli elementi ritenuti dirimenti -sul piano probatorio e in esito a una valutazione comparativa delle prove portate dalle parti -ai fini della decisione.
1.4. La circostanza che la motivazione della sentenza impugnata abbia qualificato la contestazione dell’amministrazione finanziaria nei confronti del contribuente come un’ipotesi di frode (anziché di evasione) non prospetta alcun vizio di omessa motivazione o di violazione dell’art. 112 c.p.c., trattandosi di una qualificazione compiuta dal giudice di merito -peraltro anche sulla scorta di un riferimento alla preordinazione del flusso di fatturazione alla costituzione in capo alla sig.ra COGNOME di un credito IVA, secondo quanto riportato nell’estratto dell’avviso di accertamento contenuto a pag. 15 del ricorso in cassazione – in ordine alla condotta contestata al contribuente, che può venire in rilievo sotto il profilo della violazione di legge (v. infra, sub 2), ma non del vizio di motivazione.
Con il secondo motivo di ricorso è stata contestata la « Violazione o falsa applicazione dell’art. 19 e dell’art. 54 DPR n. 633 del 1972, in combinato disposto con gli artt. 2727, 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) c.p.c. »
2.1. La ricorrente denuncia, con tale motivo, che la sentenza impugnata sia contraria alla normativa in materia di detrazione dell’IVA, così come pacificamente interpretata, sia dalla giurisprudenza nazionale che da quella europea. In particolare, se nell’ambito di un rapporto commerciale è presente un soggetto (cliente) che detrae IVA fatturata da un altro soggetto (fornitore) non versata all’erario da quest’ultimo in un caso, come quello di specie, in cui risulta che il cliente ‘sapeva’, ‘non poteva non sapere’, ‘avrebbe dovuto sapere’ dell’evasione prodotta ‘a monte’ – è assolutamente legittimo negare il diritto alla detrazione.
Tale condotta, infatti, genera un ‘salto di imposta’ non contemplato dalla disciplina dell’ IVA, fondata sul principio di neutralità. La parte ricorrente richiama, a tal fine, le sentenze CGUE del 12/01/2006,
cause riunite C354/03, C355/03 e C484/03, del giorno 11/05/2006, causa C384/04 e del giorno 21/06/2012 (cause riunite C-80/11 e C142/11). Evidenzia, quindi, che secondo tale giurisprudenza viene posto a carico del cessionario un obbligo di diligenza nella scelta del fornitore e di attenzione ai requisiti del soggetto cedente, che non possono sfuggire ad un contraente onesto che operi in un determinato settore commerciale e che, in particolare, non devono sfuggire ad un imprenditore mediamente accorto.
La ricorrente, a riprova della conoscenza da parte della contribuente, rileva altresì che la detrazione dell’IVA esposta nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE avrebbe generato evasione di imposta a scapito del principio di neutralità. Difatti, l’Ufficio aveva dedotto in giudizio non solo il rapporto di coniugio, ma anche e soprattutto il costante e ripetuto omesso versamento delle imposte dovute da parte dell’emittente, cominciato ben prima dell’emissione delle fatture in contestazione. In particolare, i rapporti familiari tra il cliente (la contribuente accertata sig.ra COGNOME NOME) ed i soci (marito e cognato della COGNOME) del soggetto cedente (RAGIONE_SOCIALE sono di per sé idonei a suffragarne la conoscenza o, comunque la conoscibilità dell’evasione di imposta generata ‘a monte’ dall’emittente le fatture , così come i consolidati rapporti commerciali tra cedente e cessionario.
La parte ricorrente evidenzia, infine, anche la presenza di un vantaggio fiscale riconducibile al fatto che la contribuente ha potuto detrarre l’IVA, che allo stesso tempo non era stata versata dalla società di cui erano soci il marito e il cognato.
2.2. Il motivo è fondato.
Le coordinate ermeneutiche che precludono il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti sono scolpite nella giurisprudenza unionale, dove è stato precisato che: « occorre ricordare che la lotta
contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva. Pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v. sentenze COGNOME, C -285/11, EU:C:2012:774, punti 35 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata, e Maks Pen, C -18/13, EU:C:2014:69, punto 26). Tale situazione, così come ricorre nel caso di un’eva sione fiscale commessa dal soggetto passivo, ricorre pure quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. In circostanze del genere, il soggetto passivo interessato deve essere considerato, ai fini della sesta direttiva, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (v., sentenze COGNOME, C -285/11, EU:C:2012:774, punti 38 e 39 nonché giurisprudenza ivi citata, e Maks Pen, C -18/13, EU:C:2014:69, punto 27).» (CGUE, 22/10/2015, C-277/14, §§ 47-48).
2.3. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ritenuto che non fosse configurabile alcuna frode, per il fatto che la società cedente (RAGIONE_SOCIALE avesse rappresentato, in sede di dichiarazione, la «realtà delle operazioni intercorse con i clienti tra cui la Genovese cosicché non può nel caso parlarsi di frode fiscale». La CGT ha poi concluso che « per la dimostrazione della frode non è sufficiente provare, anche in via indiziaria, che il ricevente le fatture fosse a conoscenza della temporanea illiq uidità dell’emittente ma è necessario provare il comportamento attivo e preordinato del soggetto che la compie e che il ricevente delle fatture fosse a piena
conoscenza delle finalità dell’operazione compiuta non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione».
2.4. In primo luogo, la pretesa distinzione tra le nozioni di «frode» ed «elusione» (peraltro assunta in senso atecnico come comportamento non preordinato di omesso versamento dell’IVA) contenuta nella sentenza impugnata contrasta con la giurisprudenza unionale (CGUE, 22/10/2015, C-277/14 cit. ), che evoca quale scopo della sesta direttiva « la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso » , con la conseguenza che, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione previsto nell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 , è sufficiente la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della condotta evasiva del cedente. Non è, quindi, necessaria una situazione di frode -come nel caso di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti -essendo sufficiente anche la conoscenza o doverosa conoscibilità di una situazione di evasione del versamento dell’IVA applicata in rivalsa da parte del cedente, da apprezzare nell’ambito dell’intero quadro probatorio .
2.5. Difatti, se è vero che il cessionario non è, in generale, obbligato ad accertarsi del versamento dell’IVA che gli è addebitata in rivalsa dal cedente, è altrettanto vero che il valore di tale regola trova il proprio fondamento e limite nel principio di neutralità dell’IVA. Di conseguenza, nelle ipotesi connotate da assoluta estraneità e assenza di legami (familiari o riconducibili a partecipazioni azionarie) la necessità di dare effettività e concreta applicazione al principio appena evocato impone di riconoscere il diritto alla detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, anche quando il cedente non versi l’IVA applicata in rivalsa al cessionario.
2.6. Rispetto all’ipotesi appena menzionata deve essere nettamente distinto il caso in cui i rapporti di partecipazione societaria o i legami personali e familiari possano consentire -sulla
base di una valutazione complessiva del quadro probatorio alla luce dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729, comma 2, c.c. – di riferire al cessionario un atteggiamento soggettivo connotato dalla conoscenza del mancato versamento dell’IVA addebitata in rivalsa dal cedente. In tale ipotesi viene, infatti, a delinearsi una situazione riconducibile alla nozione di evasione cui fa riferimento la giurisprudenza unionale sopra richiamata, quale punto di rottura del principio di neutralità che connota l’applicazione del tributo, rendendo possibile il disconoscimento della detrazione prevista nell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972.
2.7. In secondo luogo, se è vero che il giudice al fine di riscontrare o meno, in capo al cessionario, la conoscenza (o doverosa conoscibilità) dell’evasione d’imposta del cedente può avvalersi di presunzioni, è altrettanto vero che queste ultime -secondo quanto precisato da questa Corte -devono essere “gravi, precise e concordanti”. In particolare, il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. Il procedimento logico viene, quindi, articolato nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari – in modo da scartare quelli irrilevanti – e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, al fine di verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del
citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. 21/03/2022, n. 9054).
2.8. Nel caso in esame la CGT non ha correttamente applicato i principi delineati dalla giurisprudenza della presente Corte in merito all’interpretazione dell’art. 2729 c.c. , ritenendo non sufficiente la conoscenza della « temporanea illiquidità dell’emittente», ma piuttosto necessaria la prova della condotta attiva e preordinata del cedente e della conoscenza, da parte del cessionario, della finalità dell’operazione « non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione».
In tal modo, il giudice di seconde cure, nella costruzione del procedimento inferenziale che porta dalla conoscenza del fatto noto alla prova del fatto ignoto, ha ritenuto non gravi due circostanze ( i.e. la conoscenza da parte del cessionario della situazione di illiquidità del cedente e la presunzione di conoscenza dell’omesso versamento del tributo) che deponevano in senso esattamente contrario, tanto più se si considera che -proprio in ragione del principio di neutralità -l’imposta evasa dal cedente è applicata in rivalsa sul cliente e non è, conseguentemente, assolta dal soggetto passivo con proprie risorse. Peraltro, l’omesso versamento dell’IVAa maggior ragione nell’ipotesi di superamento delle soglie di rilevanza penale indicate nell’art. 10 ter l egge n. 74 del 2000 -in presenza di una situazione
di illiquidità determina una forma surrettizia di finanziamento dell’imprenditore a carico dell’erario, tale da integrare un’evidente rottura del principio di neutralità.
La conoscenza della situazione di illiquidità del cedente e la conoscenza o doverosa conoscibilità dell’omesso versamento dell’IVA applicata in rivalsa non sono, quindi, circostanze irrilevanti ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione e sono da valutare, nell’ambito dell’intero quadro probatorio a disposizione del giudice, tenendo conto anche dei rapporti e legami tra fornitore e cessionario.
2.8. Il secondo motivo di ricorso è, pertanto, fondato e deve essere accolto.
Alla luce di quanto sin qui evidenziato, deve essere accolto il secondo motivo di ricorso, nei termini di cui in motivazione, mentre deve essere rigettato il primo.
La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione e rigetta il primo;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Basilicata che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.