Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 25431 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 25431 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10980/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA n. 294/2019 depositata il 22/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La contribuente RAGIONE_SOCIALE era attinta dall’avviso di accertamento n. TY303A203865/2014 con cui, relativamente all’anno 2006, veniva contestata l’illegittima
detrazione di IVA per euro 346.771, siccome afferente ad operazioni soggettivamente inesistenti, essendo risultato (come da avviso ‘in parte qua’ riprodotto a p. 4 del ricorso per cassazione) che i fornitori della predetta -RENDA NOME COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME‘ pur essendo titolari di partita IVA ed essendone obbligati, non hanno mai istituito le scritture contabili obbligatorie, non hanno mai presentato dichiarazioni fiscali e non hanno mai effettuato versamenti di imposte con modelli F24’, né ‘avevano alcuna organizzazione contabile, né dipendenti, né collaboratori, né mezzi di trasporto, né mezzi finanziari per movimentare l ‘en orme quantità di materiale fornito ‘. Con l’avviso veniva altresì irrogata la sanzione unica di euro 433.463,75 (donde la pretesa del pagamento di euro 780.234,75, oltre accessori).
Su impugnazione della contribuente, la CTP di Palermo, con sentenza n. 5830/01/15 del 27.10.2015, accoglieva il ricorso per difetto di motivazione dell’avviso, rinviando questo ai pp.vv.cc. elevati a carico dei fornitori della contribuente, non a conoscenza di quest’ultima.
Proponeva appello l’Ufficio, sul rilievo che il contenuto essenziale dei pp.vv.cc. era riprodotto in avviso.
3.1. La CTR, con la sentenza emarginata, accoglieva il gravame, motivando:
-‘ il contenuto essenziale degli atti richiamati non allegati all’avviso di accertamento era stato nello stesso riportato ‘;
-sono invece infondati i motivi dell’originario ricorso proposto dalla contribuente, con riguardo, anzitutto, all’affermazione della stessa ‘ di non avere avuto alcuna possibilità di accertare la prospettata inesistenza soggettiva delle operazioni ‘, poiché ‘ nel caso concreto l’Amministrazione ha in via indiziaria valorizzato la circostanza che i cedenti non avessero tenuto alcuna scrittura contabile, non avessero presentato dichiarazioni fiscali, non
avessero mai pagato imposte con modelli F24, non avessero dipendenti, non avessero automezzi di trasporto, né mezzi finanziari adeguati. Di fronte a tali plurime risultanze di sicuro rilievo indiziario a carico della società, quest’ultima non ha offerto alcun elemento probatorio idoneo a dimostrare di avere verificato con la massima esigibile diligenza la effettiva riferibilità soggettiva delle operazioni ai diversi cedenti ‘;
a proposito dell’assunto della contribuente secondo cui, in caso di ‘reverse charge’, ‘ l’indebita detrazione dell’IVA non sarebbe neppure tecnicamente possibile’, ‘la prospettazione è priva di fondamento perché la duplicità dell’annotazione non esclude che l’I.V.A. indicata in fattura venga portata in detrazione’ ;
in punto di sanzioni, va disatteso il motivo riguardante ‘ l’illegittimità del provvedimento per mancata contestazione delle violazioni di legge ‘, ‘ perché i fatti per i quali sono state applicate le sanzioni risultano chiaramente dal contesto dell’atto impugnato nella sua interezza ed unicità formale ‘; identicamente per la deduzione secondo cui ‘ l’Amministrazione avrebbe dovuto tener conto, sul piano sanzionatorio, dell’unicità del comportamento che aveva determinato l’irrogazione di sanzioni ‘, atteso che ‘ le sanzioni risultano applicate con criterio di cumulo giuridico ‘.
Proponeva ricorso per cassazione la contribuente con cinque motivi, cui resisteva l’Agenzia delle entrate con controricorso.
Con requisitoria in data 20 dicembre 2022, il Sostituto Procuratore Generale presso questa Suprema Corte Dott. NOME COGNOME instava per il rigetto del ricorso, osservando: ‘ Il primo motivo del ricorso è infondato . a pronuncia della CTR specifica che il contenuto essenziale degli atti richiamati e non allegati all’avviso di accertamento era stato riportato, il che deve ritenersi sufficiente. Il secondo motivo deve ritenersi inammissibile, sia perché inteso ad ottenere un riesame della questione per cui è giudizio, sia perché non v’è, come invece dovrebbe essere, il
riferimento ad un fatto storico, ad un preciso accadimento fenomenico che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti . Il terzo motivo è parimenti inammissibile, in quanto inerente all’accertamento dell’inesistenza soggettiva delle operazioni sottostanti alle fatture e comunque infondato, avendo la CTR fatto corretta applicazione della giurisprudenza . Il quarto motivo è infondato. Nel caso in esame non v’è alcuna violazione dei principi di cui all’art. 74, co. 7 e 8 del DPR n. 633/72, poiché anche quando opera il meccanismo dell’inversione contabile , la relativa detrazione è condizionata alla regolarità dell’operazione . È infondato anche il quinto motivo: come previsto dagli artt. 16 e 17 del d.lgs. n. 472/97, le sanzioni sono state irrogate con atto contestuale all’avviso di accertamento ‘ .
Con atto depositato telematicamente in data 16 gennaio 2023, il difensore della contribuente presentava istanza di sospensione ex art. 1, comma 197 l. n. 197 del 2022 (Legge di Bilancio 2023), cui alla pubblica udienza del 24 gennaio 2023 il Sostituto Procuratore Generale non si opponeva.
Con ordinanza resa all’esito di detta udienza, il giudizio veniva sospeso.
Con istanza del 17 giugno 2024, l’Agenzia comunicava che ‘ la causa non risulta interessata da domande di definizione della controversia ex art. 1 della L. 197/2022 ‘, instando per la prosecuzione del giudizio.
L’Avvocatura generale dello Stato deposita memoria telematica in data 1° luglio 2025.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992, poiché la sentenza impugnata esibirebbe una motivazione meramente apparente circa il fatto che l’infedeltà
della dichiarazione ai fini dell’IVA era stata desunta esclusivamente dal richiamo, a p. 3 dell’avviso di accertamento, dalle risultanze delle indagini esperite nei confronti dei fornitori della contribuente, di cui ai pp.vv.cc. elevati a loro carico: l’avviso non contiene precisazioni sulle indagini, la cui conoscenza era essenziale ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.
1.2. Il motivo è manifestamente infondato. Omette di considerare il dato letterale dell’effettiva esistenza, dal duplice punto di vista grafico e contenutistico, della motivazione nella sentenza impugnata (cfr. Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014, Rv.629830-01) in riferimento alla questione della mancata allegazione all’avviso di accertamento dei pp.vv.cc. elevati a carico dei fornitori. Invero -con incensurato accertamento in fatto -la CTR ha appurato che ‘ il contenuto essenziale degli atti richiamati e non allegati all’avviso di accertamento era stato nello stesso riportato ‘. L’accertamento in fatto è esaurientemente motivato, posto che i cinque processi verbali di constatazione della mancanza di allegazione dei quali ci si duole riguardavano i fornitori e la CTR riferisce appunto che ‘ le risultanze dell’avviso di accertamento’ davano conto di ‘ plurimi elementi (analiticamente indicati) ‘ tratti ‘ da indagini espletate nei confronti dei fornitori ‘ .
Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., omesso esame di fatti decisivi, poiché, a seguito del deposito in atti dei pp.vv.cc. riguardanti i fornitori, la contribuente rilevava che a) in essi non era mai stato sollevato rilievo di inesistenza oggettiva o soggettiva delle operazioni, dandosi anzi atto della loro effettiva esistenza; b) apodittico appariva, in base ai pp.vv.cc., l’assunto dell’assenza, in capo ai fornitori, dei requisiti per l’esercizio dell’attività, poiché le indagini avevano evidenziato la ben diversa circostanza che i predetti non avevano semplicemente adempiuto agli oneri fiscali e contabili; ma di tali fatti la CTR ha omesso l’esame.
2.1. Il motivo è inammissibile. Per consolidato orientamento di questa Corte, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (per tutte, Cass., Sez. Un., n. 8053 del 07/04/2014 (Rv. 629831 – 01). E, nel caso in esame, la CTR ha valutato i fatti storici concernenti i fornitori, evidenziando la solidità della prova indiziaria offerta dall’A.F. , come riportato in narrativa.
In realtà, il motivo impinge su questioni tipicamente di merito, sollecitando una nuova e più favorevole valutazione dei pp.vv.cc. e più in generale delle risultanze istruttorie, in aperta violazione di natura e limiti del giudizio di cassazione.
Con il terzo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 cod. civ. La CTR a) ha ritenuto avere l’Ufficio assolto al suo onere probatorio, senza però considerare che esso in realtà non ha fornito alcuna prova del fatto che i fornitori non avessero collaboratori, mezzi di trasporto e mezzi finanziari; b) ha sostenuto, nondimeno in aperta violazione delle regole sull’onere della prova, che gravava sulla contribuente l’onere di provare l’inconsapevolezza dell’inesistenza soggettiva delle operazioni, anche documentando l’esito di verifiche al P.R.A.
3.1. Il motivo è inammissibile e comunque infondato.
3.1.1. È inammissibile in quanto, nuovamente, scivola nel merito, oltretutto sulla base di assunti meramente astratti e non radicati in richiami documentali (come laddove sostiene, quanto alle posizioni dei fornitori, esser ‘ facile rilevare ‘ ‘ che l’assenza di costi documentati sostenuti dal fornitore per lavoro dipendente non prova affatto che costui non avesse la disponibilità di ‘collaboratori’ non regolarmente assunti ‘, oppure che, nessuna norma imponendo
‘ all’imprenditore di verificare se i fornitori esercitino la loro attività d’impresa con automezzi agli stessi intestati ‘, quand’anche la verifica al P.R.A. richiamata dalla CTR ‘ fosse stata eseguita, la carenza del titolo di proprietà non avrebbe in alcun modo consentito alla società ricorrente di ipotizzare la falsità sotto il profilo soggettivo delle operazioni documentate dalle fatture contestate ‘).
3.1.2. È altresì infondato, in quanto pretende di sgravare la contribuente da doverose verifiche circa esistenza ed affidabilità dei fornitori e quindi, processualmente, dall’onere di darne conto, onde dimostrare di essersi idoneamente attivata per evitare finanche il puro e semplice coinvolgimento in una frode. Ed invero, rilevato che nella fattispecie si verte di operazioni soggettivamente inesistenti, viene in linea di conto che, in un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quel la interna hanno ormai fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente. L’insegnamento della prima a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la ces sione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la parteci pazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust. Ppuh, C-277/14; Corte Giust. COGNOME, C-285/11) -è recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo cui, ‘ in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale
ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto ‘ (così, ‘ex pluribus’, Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429-01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘reverse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, deve precisarsi che la prova gravante sull’A.F. ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. COGNOME e NOME, C-80/11 e C-142/11 e Corte Giust. Kittel, C-439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435-01).
Inoltre, poiché, nella fattispecie, il ‘thema’ delle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti incontra quello dello speciale regime di contabilità noto come ‘reverse charge’ (attorno al quale ruotano le censure formulate nel motivo seguente, alla disamina del quale pertanto si rinvia), rilevano due ulteriori principi proclamati da questa Suprema Corte:
-quello secondo cui, ‘ in tema di IVA, e con riguardo al regime del ‘reverse charge’ o inversione contabile, in applicazione dei principi di diritto enunciati dalla Corte di giustizia della UE, il diritto di detrazione dell’imposta relativa ad un’operazione di cessione di beni non può essere riconosciuto al cessionario che, sulla fattura emessa per tale operazione in applicazione del suddetto regime, abbia indicato un fornitore fittizio allorquando, alternativamente, il medesimo cessionario: a) abbia egli stesso commesso un’evasione
dell’IVA ovvero sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto di detrazione s’iscriveva in una simile evasione; b) sia semplicemente consapevole della indicazione in fattura di un fornitore fittizio e non abbia fornito la prova che il vero fornitore sia un soggetto passivo IVA ‘ (Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882-01);
– quello, collocantesi su un piano che trascorre dal diritto sostanziale a quello processuale, secondo cui, in caso di ‘reverse charge’, poiché ‘ l’obbligo di autofatturazione e le relative registrazioni assolvono una funzione sostanziale, in quanto, compensandosi a vicenda con l’assunzione del debito avente ad oggetto l’IVA a monte e la successiva detrazione della medesima imposta a valle, comportano che non permanga alcun debito nei confronti dell’Amministrazione, e consentono i controlli e gli accertamenti fiscali sulle cessioni successive ‘, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA, ‘ è ammessa anche la prova mediante presunzioni, gravi, precise e concordanti, con conseguente inversione dell’onere probatorio sul contribuente ‘ (Sez. 5, n. 12649 del 19/05/2017, Rv. 644152-01).
In particolare, ha precisato la giurisprudenza unionale giustappunto con riguardo al regime del reverse charge, ‘ 41. Per quanto riguarda l’onere della prova relativamente alla questione di stabilire se il fornitore abbia la qualità di soggetto passivo, occorre distinguere tra, da un lato, l’accertamento di una condizione sostanziale del diritto a detrazione dell’IVA e, dall’altro, la determinazione dell’esistenza di un’evasione dell’IVA. 42. Pertanto, se, nell’ambito della lotta contro le evasioni dell’IVA, non si può esigere in maniera generale dal soggetto passivo che intende esercitare il suo diritto a detrazione dell’IVA che verifichi che il fornitore dei beni o dei servizi interessati abbia la qualità di soggetto passivo, ciò non vale qualora l’accertamento di detta qualità sia necessario per verificare che tale condizione sostanziale
del diritto a detrazione sia soddisfatta. 43. In quest’ultima ipotesi, spetta al soggetto passivo dimostrare, sulla base di prove oggettive, che il fornitore ha la qualità di soggetto passivo, a meno che l’amministrazione tributaria non disponga delle informazioni necessarie per verificare che tale condizione sostanziale del diritto alla detrazione dell’IVA sia soddisfatta. A tale proposito, occorre ricordare che dalla formulazione dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2006/112 risulta che la nozione di «soggetto passivo» è definita in modo ampio, fondandosi su circostanze di fatto (sentenze del 6 settembre 2012, Tóth, C-324/11, EU:C:2012:549, punto 30, e del 22 ottobre 2015, PPUH Stehcemp, C-277/14, EU:C:2015:719, punto 34), cosicché la qualità di soggetto passivo del fornitore può risultare dalle circostanze del caso di specie. 44. Ne consegue che, per quanto riguarda l’accertamento delle condizioni sostanziali del diritto alla detrazione dell’IVA, qualora l’identità del vero fornitore non sia indicata nella fattura relativa ai beni o ai servizi per i quali è esercitato il diritto a detrazione dell’IVA, tale diritto deve essere negato al soggetto passivo se, tenuto conto delle circostanze di fatto e malgrado gli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che tale fornitore aveva la qualità di soggetto passivo ‘ (CGUE 11 novembre 2021, causa C-281/20, COGNOME SL).
Ora, i superiori principi constano tutti pedissequamente ossequiati dalla sentenza impugnata, sol che si consideri come la stessa, dopo aver sottolineato che l’Amministrazione ha offerto la prova indiziaria della natura di mere cartiere dei fornitori della contribuente, là dove ha ritenuto ‘ esigibile che la società cessionaria verificasse con un minimo di diligenza, attraverso visure del P.R.A., che i cedenti fossero almeno intestatari degli automezzi con i quali effettuavano le consegne ‘ – a fronte di un imponibile evaso di euro 1.733.856,00 -, ha valutato secondo il prudente apprezzamento proprio del giudice di merito, che la
contribuente avrebbe dovuto sapere che i fornitori indicati nelle fatture erano fittizi.
Siffatta omissione da parte della contribuente -che, come osservato dalla CTR, avrebbe potuto appurare la reale situazione dei fornitori attraverso verifiche routinarie e comunque nient’affatto onerose, quali l’estrazione di visure al P.R.A. o, si aggiunga più in generale, finanche la normale assunzione di informazioni commerciali al cospetto, si ribadisce, dell” enorme quantità di materiale fornito ‘ -appare decisiva, a fronte dell’accertata inesistenza, in capo ai fornitori, di alcuna struttura, non solo amministrativa, ma soprattutto organizzativo-fattuale, atta a giustificare la movimentazione di pur ingenti quantità di merci.
Con il quarto motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 74, commi 7 e 8, d.P.R. n. 633 del 1972. Stante l’applicazione del meccanismo del ‘reverse charge’, illegittimamente l’avviso, in violazione della neutralità dell’IVA, pretende di recuperare dalla contribuente, quale cessionaria, ‘ una presunta IVA indebitamente detratta invero del tutto inesistente ‘.
4.1. Il motivo è infondato e deve essere disatteso. Nella giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 5, n. 2862 del 31/01/2019, Rv. 65233301) è acquisito il principio secondo cui, ‘ in tema d’IVA, l’imposta concernente le operazioni di cessione compiute in regime d’inversione contabile (cd. ‘reverse charge’), ancorché effettuate sotto l’apparente osservanza dei requisiti formali, è indetraibile in caso di violazione degli obblighi sostanziali, ove venga meno la corrispondenza, ‘anche’ soggettiva, dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata, con conseguente inesistenza dell’obbligo di corrispondere l’imposta indicata in fattura ‘. Siffatto principio, che vale quando ‘ venga meno la corrispondenza, ‘anche’ soggettiva dell’operazione fatturata ‘, trova più di recente esplicitazione in Sez. 5, n. 4250 del
10/02/2022, Rv. 663882-01, che, in precipua relazione ad operazioni soggettivamente inesistenti, in motivazione (par. 2.9, fg. 10), ricorda come ‘ la Corte di giustizia (CGUE 11 novembre 2021, in causa C281/20, COGNOME SL), che si occupata per la prima volta della disciplina del reverse charge in materia di operazioni soggettivamente inesistenti, ha stabilito che la direttiva n. 2006/112/CE del Consiglio del 28/11/2006 (direttiva IVA), letta in combinazione con il principio di neutralità fiscale, dev’essere interpretata nel senso che a un soggetto passivo va negato l’esercizio del diritto a detrazione dell’IVA relativa all’acquisto di beni che gli sono stati ceduti, qualora tale soggetto passivo abbia consapevolmente indicato un fornitore fittizio sulla fattura che egli stesso ha emesso per tale operazione nell’ambito dell’applicazione del regime dell’inversione contabile, se, tenuto conto delle circostanze di fatto e degli elementi forniti da tale soggetto passivo, mancano i dati necessari per verificare che il vero fornitore aveva la qualità di soggetto passivo o se è sufficientemente dimostrato che tale soggetto passivo ha commesso un’evasione dell’IVA o sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in una simile evasione )’. Le ragioni del principio poc’anzi evocato sono recepite in numerose pronunce di questa S.C., intese ad evidenziare (cfr., ad es., tra le più recenti, Sez. 5, n. 19652 del 21/09/2020, in motiv., par. 2.4, p. 4) che, ‘ nel caso di operazioni inesistenti in regime d’inversione contabile, il cessionario è l’effettivo soggetto d’imposta e l’Iva integrata a debito sulle fatture emesse a fronte di operazioni inesistenti è dovuta, in base al principio comunitario di cui all’art. 28-octies, par. 1, lett. d), dir. 1977/388/CE , anche quando si tratta di forniture inesistenti o diverse da quelle indicate in fattura. Ciò incide – per il combinato disposto degli artt. 21, settimo comma, 19, primo comma, e 26, terzo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 – sul destinatario della fattura
medesima che non può esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta mancando il suo presupposto, ovverosia la corrispondenza, anche solo soggettiva (e, a maggior ragione, se oggettiva) dell’operazione fatturata con quella in concreto realizzata (v. Cass. n. 2862 del 31/01/2019; Cass. n. 16679 del 09/08/2016) ‘.
I superiori insegnamenti trovano l’avallo delle Sezioni Unite, le quali, nella nota sentenza n. 22727 del 20/07/2022, confermano come il regime di detraibilità in caso di inversione contabile costituisca un ‘posterius’ rispetto all’esistenza delle operazioni (quale requisito sostanziale dell’esercizio del diritto di detrazione), giacché, inversamente, dall’inesistenza di queste discende, in presenza dell’elemento psicologico, l’applicabilità della sanzione di cui all’art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 471 del 1997. Ed infatti il NOME COGNOME (giusta il principio di diritto ‘sub’ Rv. 665195 -02) afferma che, ‘ alle operazioni imponibili, oggettivamente e soggettivamente inesistenti sottoposte al regime contabile del ‘reverse charge’, quando per queste ultime sia provato l’elemento psicologico, è applicabile la sanzione prevista dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 471 del 1997, essendo la stessa finalizzata ad osteggiare le condotte potenzialmente destinate alla realizzazione di intenti frodatori ed evasivi mediante l’esercizio della detrazione in assenza dei requisiti sostanziali, rispetto alle quali non opera la fattispecie di cui all’art. 6, comma 9-bis, prima parte, dello stesso decreto, dettata per le sole ipotesi di violazioni formali ‘. Ciò alla luce della considerazione (cfr. in motiv. parr. 7.6. e 7.7., p. 19 s.) che ‘ a frode opera, dunque, come limite generale al principio fondamentale di neutralità dell’IVA (implicitamente, Corte giust., 8 maggio 2008, RAGIONE_SOCIALE contro Agenzia delle Entrate – Ufficio di Genova 3, C-95/07 e C-96/07, par.70, e Cass., n.5072/2015), ossia al principio secondo cui la detrazione d’imposta è accordata se i requisiti sostanziali
dell’operazione sono comunque soddisfatti (Corte giust. 11 dicembre 2014, RAGIONE_SOCIALE, causa C-590/13, p.38). Analogamente, Corte giust., 8 maggio 2019, RAGIONE_SOCIALE, C-712/17, par.24, ha ritenuto che, quando un’operazione di acquisto di un bene o di un servizio è inesistente, essa non può avere alcun collegamento con le operazioni del soggetto passivo tassato a valle, sicché, ‘(…) è inerente al meccanismo dell’IVA il fatto che un’operazione fittizia non possa dare diritto ad alcuna detrazione di tale imposta.’ -cfr. p.25 sent. RAGIONE_SOCIALE, cit.-. Di conseguenza, quando manca la realizzazione effettiva della cessione di beni o della prestazione di servizi, non può sorgere alcun diritto alla detrazione (Corte giust., 27 giugno 2018, SGI e Valériane, C-459/17 e C460/17, punto 36). Il tutto si inserisce nell’obbligo imposto a ciascuno Stato membro di ‘prevenire ogni possibile frode’ (art. 13 Dir. CEE 77/388), pur con modalità non armonizzate ed ancora, nella piena equiparabilità alla frode delle operazioni oggettivamente e soggettivamente inesistenti, in quanto idonee ad alterare le prove e, dunque, ad impedire la riscossione dell’importo esatto dell’imposta -cfr. punti 48-49, sent. Halifax, cit.-‘ .
5. Con il quinto ed ultimo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 16 e 17 D.Lgs. n. 472 del 1997 e degli artt. 5, comma 4, e 6, commi 6 e 9-bis.3, D.Lgs. n. 471 del 1997. La CTR pretermette che l’irrogazione delle sanzioni nell’atto impositivo non esime l’Ufficio dall’obbligo di fornire un’esaustiva motivazione ai sensi dell’art. 16, comma 2, D.Lgs. n. 472 del 1997; né ha considerato che l’art. 15, comma 1, lett. e) e f), D.Lgs. n. 158 del 2015 ha modificato ‘in melius’ gli artt. 5, comma 4, e 6, comma 6, D.Lgs. n. 471 del 1997. Il nuovo regime è applicabile retroattivamente anche d’ufficio. Il citato art. 15, comma 1, lett. f), ha poi modificato le sanzioni amministrative in materia di documentazione e registrazione nelle operazioni ai fini dell’IVA,
previste dall’art. 6 D.Lgs. n. 471 del 1992, introducendo per l’ipotesi di inversione contabile un trattamento sanzionatorio più lieve. Rileva in particolare l’art. 6, comma 9 -bis.3 D.Lgs. n. 471 del 1992.
5.2. Il motivo è infondato:
-in primo luogo, questa Suprema Corte insegna che, ‘ in tema di sanzioni amministrative tributarie, l’obbligo di motivazione dell’atto di contestazione della sanzione collegata al tributo, imposto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. n. 472 del 1997, opera soltanto quando essa sia irrogata con atto separato e non’ come nella specie -‘contestualmente e unitamente all’atto di accertamento o di rettifica, in quanto, in quest’ultimo caso, viene assolto “per relationem” se la pretesa fiscale è definita nei suoi elementi essenziali ‘ (cfr. da ultimo Sez. 5, n. 11610 del 04/05/2021, Rv. 661340-01);
in secondo luogo, a proposito della necessità di doversi tener conto dell’unicità del comportamento illegittimo, la CTR ha congruamente risposto avere l’avviso, proprio a tal fine, applicato il cumulo giuridico;
in terzo luogo, la novella di cui al D.Lgs. n. 158 del 2015 non opera in maniera generalizzata in senso più favorevole per il responsabile di una violazione, con la conseguenza che la mera affermazione dello ‘ius superveniens’ non consente di ritenere di per sé illegale la sanzione irrogata in conformità alla disciplina anteriore, senza specifiche allegazioni rispetto al caso concreto idonee ad influire sui parametri di commisurazione della sanzione, tenuto conto dell’eventuale cumulo (ricorrente nella specie), soprattutto a fronte delle specifiche considerazioni sviluppate dall’Agenzia in controricorso sull’esclusione del maggior favore del nuovo regime (tra varie, cfr. Sez. 5, n. 577 del 08/01/2024, Rv. 670177-01; Sez. 5, n. 19286 del 16/09/2020, Rv. 658994-02);
-in quarto luogo, alla luce di altro principio, ‘sub’ Rv. 665195 -01, di Sez. U, n. 22727 del 2022, cit., ‘ il regime sanzionatorio più favorevole, sancito dalla parte finale dell’art. 6, comma 9-bis.3, del d.lgs. n. 471 del 1997, per le operazioni inesistenti soggette al regime contabile del “reverse charge”, introdotto dall’art. 15, comma 1, lett. f), del d.lgs. n. 158 del 2015, attiene esclusivamente alle operazioni che siano anche astrattamente esenti, non imponibili o comunque non soggette a imposta, e a quelle che, pur imponibili, siano state realizzate in buona fede, ma non anche alle operazioni imponibili oggettivamente e soggettivamente inesistenti, qualora ne sia stato provato l’elemento psicologico, atteso che per esse non è consentita la neutralizzazione dell’Iva a credito e di quella a debito prevista dalla richiamata prima parte della medesima disposizione, in quanto prive dei requisiti sostanziali necessari per la relativa detraibilità, in coerenza con quanto chiarito da CGUE, sentenza 11 novembre 2021, C-281/20, in causa RAGIONE_SOCIALE c/o RAGIONE_SOCIALE
In definitiva, il ricorso va integralmente respinto, con le statuizioni conseguenziali di cui in dispositivo.
P.Q.M.
Respinge il ricorso. Condanna RAGIONE_SOCIALE a corrispondere all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 10.600 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 11 luglio 2025.
La Presidente NOME–NOME COGNOME