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Detrazione IVA negata per frode: onere della prova

La Corte di Cassazione ha confermato la negazione del diritto alla detrazione IVA per una società che aveva acquistato beni da fornitori risultati essere mere “cartiere”. L’ordinanza sottolinea che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere della prova di aver agito con la massima diligenza per evitare la frode ricade sul contribuente. L’Amministrazione Finanziaria deve solo dimostrare, anche tramite presunzioni, che l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere della frode, negando così la detrazione IVA anche in regime di reverse charge.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e Frodi: La Cassazione e l’Onere della Prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito principi fondamentali in materia di detrazione IVA in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, anche quando si applica il meccanismo del reverse charge. La vicenda riguarda una società operante nel settore dei metalli a cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato l’indebita detrazione di una cospicua somma a titolo di IVA, sostenendo che i fornitori fossero delle mere società “cartiere”, prive di qualsiasi struttura operativa reale. La Corte ha respinto il ricorso della società, chiarendo in modo definitivo i confini della diligenza richiesta all’imprenditore e la ripartizione dell’onere della prova in queste complesse fattispecie.

I Fatti del Caso: Acquisti da Fornitori “Fantasma”

L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di una S.R.L., contestando la detrazione dell’IVA relativa all’anno 2006 per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. Le indagini avevano rivelato che i fornitori della società, pur essendo titolari di partita IVA, non avevano mai istituito le scritture contabili, presentato dichiarazioni fiscali, né possedevano un’organizzazione aziendale (dipendenti, mezzi di trasporto, risorse finanziarie) in grado di giustificare le ingenti forniture di materiale documentate dalle fatture. Di fronte a questi elementi, l’Amministrazione Finanziaria aveva negato il diritto alla detrazione dell’imposta e irrogato le relative sanzioni.

L’Onere della Prova nella Detrazione IVA

Il cuore della controversia, giunta fino in Cassazione, ruota attorno alla ripartizione dell’onere della prova. La società ricorrente sosteneva che l’Ufficio non avesse fornito prove sufficienti e che, in ogni caso, gravasse su di essa un onere probatorio eccessivo.

La Corte Suprema ha rigettato questa tesi, riaffermando un principio consolidato a livello nazionale ed europeo: in tema di operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione Finanziaria ha il compito di provare, anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza (o la colpevole ignoranza) del cessionario. Una volta che l’Ufficio ha fornito tali elementi oggettivi, l’onere si sposta sul contribuente. Quest’ultimo deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza possibile per un operatore accorto, adottando tutte le cautele necessarie per assicurarsi che l’operazione non si inserisse in un meccanismo fraudolento.

Il Ruolo della Diligenza e il Reverse Charge

La Corte ha sottolineato che la società acquirente avrebbe potuto e dovuto accertare la reale situazione dei fornitori attraverso semplici verifiche, come una visura al Pubblico Registro Automobilistico (P.R.A.) per controllare l’intestazione dei mezzi di trasporto, o tramite normali informazioni commerciali. L’omissione di tali controlli, specialmente a fronte di un’enorme quantità di materiale fornito, è stata considerata decisiva per configurare la mancata diligenza.

È interessante notare come questi principi si applichino anche alle operazioni in regime di reverse charge. La difesa della società sosteneva che, con tale meccanismo, una detrazione indebita non sarebbe tecnicamente possibile. La Cassazione ha smontato questa argomentazione, chiarendo che il diritto alla detrazione IVA è subordinato alla regolarità sostanziale dell’operazione. Se viene meno la corrispondenza soggettiva tra chi fattura e chi esegue la prestazione, e l’acquirente ne è consapevole, il diritto alla detrazione viene meno, poiché manca il presupposto stesso dell’imposta.

Le motivazioni della decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i cinque motivi di ricorso presentati dalla società. In sintesi, ha stabilito che:
1. La motivazione della sentenza di secondo grado non era affatto apparente, avendo dato conto del fatto che l’avviso di accertamento riportava gli elementi essenziali delle indagini svolte sui fornitori.
2. Il contribuente non può limitarsi a chiedere un nuovo esame del merito in sede di legittimità. La valutazione delle prove indiziarie offerta dall’Agenzia era stata correttamente effettuata dal giudice di secondo grado.
3. L’onere della prova era stato correttamente ripartito. L’Agenzia aveva fornito sufficienti indizi sulla frode e sulla conoscibilità della stessa da parte della società, la quale, a sua volta, non aveva dimostrato di aver agito con la necessaria diligenza.
4. Il meccanismo del reverse charge non salva dalla perdita del diritto alla detrazione IVA quando l’operazione è viziata da una frode conosciuta o conoscibile.
5. Le sanzioni erano state correttamente applicate secondo il principio del cumulo giuridico e non era applicabile il regime sanzionatorio più favorevole introdotto successivamente, poiché non riguarda le operazioni fraudolente come quelle in esame.

Le conclusioni

Questa ordinanza rappresenta un monito importante per tutti gli operatori economici. La lotta alle frodi IVA, in particolare quelle basate sull’utilizzo di società “cartiere”, richiede una partecipazione attiva da parte degli acquirenti. Non è sufficiente ricevere una fattura formalmente corretta per garantire la detrazione IVA. È indispensabile adottare un approccio prudente e diligente, verificando l’affidabilità e la struttura effettiva dei propri partner commerciali, soprattutto in presenza di operazioni economicamente rilevanti. In caso contrario, il rischio è quello di vedersi negato il diritto alla detrazione e di subire pesanti sanzioni, rimanendo involontariamente coinvolti in complessi schemi fraudolenti.

Quando può essere negata la detrazione IVA in un’operazione soggetta a reverse charge?
La detrazione IVA può essere negata anche in regime di reverse charge quando l’operazione è soggettivamente inesistente, cioè quando il fornitore indicato in fattura è fittizio, e l’acquirente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza, di essere parte di un’evasione d’imposta.

Su chi ricade l’onere della prova in caso di operazioni soggettivamente inesistenti?
L’onere della prova è ripartito: l’Amministrazione Finanziaria deve provare gli elementi oggettivi che suggeriscono la frode e la consapevolezza (o la conoscibilità) da parte dell’acquirente. Una volta fornita questa prova, l’onere si sposta sul contribuente, che deve dimostrare di aver agito con la massima diligenza per verificare l’affidabilità del fornitore e non essere coinvolto nella frode.

Quale diligenza è richiesta all’acquirente per non perdere il diritto alla detrazione IVA?
È richiesta la diligenza di un operatore economico accorto. Questo implica l’adozione di misure di cautela ragionevoli e proporzionate alle circostanze, come l’effettuazione di verifiche sulla reale struttura operativa del fornitore (ad esempio, tramite visure o l’assunzione di informazioni commerciali), specialmente a fronte di forniture di ingente valore.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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