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Detrazione IVA negata per fatture da società cartiere

Una società di distribuzione si è vista negare la detrazione IVA per operazioni con fornitori rivelatisi ‘società cartiere’. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, stabilendo che, di fronte a prove presuntive di frode fornite dall’Agenzia delle Entrate, spetta al contribuente dimostrare di aver agito con la massima diligenza. La semplice regolarità formale dei pagamenti o il prezzo di mercato non sono sufficienti a provare la buona fede e a garantire il diritto alla detrazione IVA.

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Pubblicato il 24 agosto 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA: Rifiutata se i Fornitori sono Società Cartiere

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia fiscale: la detrazione IVA non è un diritto automatico e può essere negata se l’azienda acquirente non ha agito con la massima diligenza per verificare l’affidabilità dei propri fornitori. Il caso in esame riguarda una società che si è vista contestare deduzioni per milioni di euro a causa di fatture emesse da ‘società cartiere’, evidenziando come la buona fede debba essere provata attivamente e non solo presunta.

I Fatti del Caso

Una società operante nel settore della distribuzione ha ricevuto due avvisi di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA assolta su fatture relative agli anni d’imposta 2013 e 2014. L’amministrazione finanziaria aveva identificato ben undici società fornitrici come ‘cartiere’, ovvero entità prive di una reale struttura aziendale, create al solo fine di emettere fatture per operazioni fittizie (in questo caso, ‘soggettivamente inesistenti’). L’importo totale delle operazioni contestate superava i 7 milioni di euro.

La società contribuente ha impugnato gli avvisi, ma sia in primo che in secondo grado i giudici tributari hanno dato ragione al Fisco. In particolare, la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado ha sottolineato che la pluralità di rapporti commerciali con soggetti palesemente inesistenti era un elemento determinante per ritenere che la società acquirente non potesse non essere a conoscenza della frode.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione, investita della questione, ha rigettato il ricorso della società, confermando la legittimità degli accertamenti fiscali. La decisione si fonda su un’analisi dettagliata dei principi che regolano l’onere della prova in materia di detrazione IVA e operazioni inesistenti, allineandosi alla consolidata giurisprudenza nazionale ed europea.

Le Motivazioni della Sentenza e l’Onere della Prova nella detrazione IVA

Il cuore della pronuncia risiede nella chiara definizione di come si distribuisce l’onere della prova tra Fisco e contribuente in questi casi.

La Ripartizione dell’Onere della Prova

La Corte spiega che il processo logico-probatorio si articola in due fasi:
1. Onere dell’Amministrazione Finanziaria: In primo luogo, spetta all’Agenzia delle Entrate provare, anche tramite presunzioni, gli elementi che indicano l’esistenza di una frode. Deve dimostrare che il fornitore era una società fittizia e che l’acquirente era a conoscenza della frode o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza professionale.
2. Onere del Contribuente: Una volta che il Fisco ha fornito questi elementi presuntivi (come l’assenza di una sede, di dipendenti, di versamenti IVA da parte dei fornitori), la palla passa al contribuente. A questo punto, è l’azienda acquirente che deve fornire la ‘prova contraria’, ovvero dimostrare di aver agito in totale buona fede e di aver adottato tutte le cautele esigibili da un operatore accorto per non essere coinvolta in un’operazione fraudolenta.

Cosa Deve Provare il Contribuente per la detrazione IVA?

I giudici hanno chiarito che, per assolvere al proprio onere probatorio, non è sufficiente per il contribuente dimostrare la regolarità formale delle transazioni (fatture, pagamenti tracciabili) o il fatto che la merce sia stata effettivamente ricevuta e rivenduta. Anche la circostanza che i beni siano stati acquistati a un prezzo di mercato, e non sottocosto, è stata ritenuta un ‘elemento neutro’, di per sé inidoneo a provare la buona fede.

Ciò che la Corte richiede è la prova di un comportamento proattivo e diligente. L’azienda avrebbe dovuto dimostrare di aver messo in atto verifiche concrete sull’effettiva esistenza e operatività dei suoi fornitori, soprattutto a fronte di rapporti commerciali così rilevanti. L’assenza di tale diligenza rende l’ignoranza della frode ‘colpevole’ e giustifica il diniego della detrazione IVA.

Le Conclusioni

Questa ordinanza invia un messaggio chiaro a tutte le imprese: la lotta all’evasione IVA passa anche attraverso la responsabilità degli operatori economici nella scelta dei propri partner commerciali. Per assicurarsi il diritto alla detrazione IVA, non basta limitarsi agli aspetti formali di una transazione. È indispensabile adottare un approccio di ‘massima diligenza’, che include la verifica della struttura aziendale, della reputazione e della storia operativa dei fornitori. Ignorare segnali di anomalia, come l’operare con numerose società di dubbia consistenza, espone al rischio concreto di vedersi contestare le detrazioni, con gravi conseguenze economiche e legali.

Quando l’Agenzia delle Entrate può negare la detrazione IVA per fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti?
L’Agenzia può negare la detrazione IVA quando fornisce elementi di prova, anche presuntivi, che dimostrino due condizioni: 1) che la transazione si inserisce in un contesto di frode fiscale (ad esempio, il fornitore è una ‘società cartiera’); 2) che l’acquirente sapeva o, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe dovuto sapere di essere coinvolto in tale frode.

Cosa deve fare un’azienda per dimostrare la propria buona fede e non perdere il diritto alla detrazione IVA?
L’azienda deve dimostrare attivamente di aver agito con la massima diligenza esigibile da un operatore accorto. Questo significa provare di aver adottato misure concrete per verificare l’effettiva esistenza e operatività del fornitore. Non è sufficiente limitarsi a prove formali come il possesso della fattura e la prova del pagamento.

Il fatto di aver pagato un prezzo di mercato per la merce è una prova sufficiente per dimostrare la buona fede dell’acquirente?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la congruità del prezzo pagato è un elemento neutro ai fini della prova della buona fede. Da sola, questa circostanza non è sufficiente a dimostrare l’estraneità dell’acquirente alla frode e a garantire il diritto alla detrazione IVA.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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