Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 19155 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 19155 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 15302/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso per cassazione conferita allo Studio Legale RAGIONE_SOCIALE e per esso al socio avv. NOME COGNOME. PecEMAIL
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO . PEC: EMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado sella Campania n. 535/03/2023, depositata il 17 gennaio 2023, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14 maggio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha rigettato l’appello proposto dalla società RAGIONE_SOCIALE nei confronti della sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso avente ad oggetto i due avvisi di accertamento, relativi anni d ‘imposta 2013 e 2014, con i quali era stata accertata l’indebita detrazione di Iva assolta su fatture emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE con riferimento a operazioni ritenute soggettivamente inesistenti per euro 7.333.773,00, oltre sanzioni ed accessori.
I giudici di secondo grado, per quel che rileva in questa sede, hanno affermato che:
era determinante la circostanza evidenziata in giudizio della pluralità dei soggetti con i quali la società appellante aveva intrattenuto rapporti per importi rilevantissimi che erano risultati oggettivamente avere la natura di cartiera;
-) come rilevato nella sentenza impugnata i rapporti commerciali interessati riguardavano ben undici società commerciali di cui era risultata accertata, alternativamente, l’inesistenza di una sede, l’irreperibilità del legale rappresentante, l’assenza di depositi o della disponibilità di altri locali in cui esercitare l’attività commerciale; la mancata tenuta delle scritture contabili obbligatorie , l’ omessa effettuazione di versamenti Iva negli anni di interesse, la mancata effettuazione di qualsivoglia cessione comunitaria e/o
extracomunitaria; l’assenza di lavoratori e/o collaboratori; le vendite effettuate sottocosto;
-) a fronte di tale prova e di altre presunzioni la società contribuente non aveva fornito alcuna prova o dimostrazione sulla sua estraneità alla frode o sulla sua non consapevolezza della frode stessa, limitandosi a sostenere che non aveva acquistato sottocosto, laddove avrebbe dovuto dimostrare, e non era stato fatto, di avere intrattenuto rapporti regolari contrattuali e di pagamento, di scambi commerciali con dimostrazione di mail, copie di ordini etc. e , vista la rilevanza dei rapporti commerciali, il regolare rapporto con dipendenti e/o funzionari delle varie ditte fornitrici rivelatesi poi come cartiere;
-) non avevano rilievo alcune eccezioni della società appellante sui vizi della motivazione della sentenza impugnata di cui venivano richiamati virgolettati passi che, come giustamente eccepito dall ‘Agenzia delle Entrate, si riferivano ad altra sentenza ed ad altro ricorso, proposto sembrerebbe innanzi alla Corte di Cassazione, attraverso un evidente copia e incolla che manifestava la inconferenza di tali motivi (in particolare il motivo n. 3) di impugnazione soprattutto sul vizio di motivazione della sentenza in quanto riferiti evidentemente ad altro giudizio.
La società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
La società RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va disattesa l’istanza di rinvio formulata nella memoria depositata in data 29 aprile 2025, con modalità telematiche, in attesa della definizione del giudizio penale relativo all’accertamento emesso per gli anni 2013 e 2014, pendente dinanzi al Tribunale di Torre
Annunziata (RGNR 8082/18) e la cui prossima udienza è fissata per il 16 giugno 2025.
1.1 Ed invero, dopo l’abbandono della c.d. pregiudiziale tributaria di cui all’art. 21, comma 4, della legge n. 4 del 1929, l’art. 12 del d.l. n. 429 del 1982, convertito dalla legge n. 516 del 1982, aveva disposto la rilevanza nel processo tributario del giudicato penale, sia assolutorio sia di condanna, in riferimento ai medesimi fatti materiali. Tale sistema è stato, tuttavia, superato, sia a seguito della introduzione del nuovo codice di procedura penale, sia ad opera del d.lgs. n. 74 del 2000, in vigenza del quale il tema del raccordo tra i due procedimenti è stato interpretato in termini di «doppio binario» e, quindi, di autonomia reciproca dei medesimi.
1.2 Sul punto questa Corte ha costantemente affermato che « In tema di rapporti tra processo tributario e processo penale, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perché il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare » (Cass. 27 giugno 2019, n. 17258; Cass. 22 maggio 2015, n. 10578; Cass. 12 marzo 2007, n. 5720).
1.3 Ancora non spiega alcun effetto nel presente giudizio, ai sensi dell’art. 21 bis del d.lgs. n. 74 del 2000, la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata, Sezione penale, n. 198/23, depositata il 24 marzo 2023, divenuta irrevocabile in data 11 giugno 2023, giusta attestazione di cancelleria del 5 settembre 2023, che ha assolto NOME COGNOME rappresentante legale della società RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’art. 530, cpv. c.p.p. dai reati a lui ascritti ( commessi il 29
settembre 2012 e il 29 settembre 2013, data di presentazione della dichiarazione), perché il fatto non costituisce reato, in quanto a prescindere da ogni considerazione circa la portata applicativa dell’art. 21bis del d.l.gs. n. 74 del 2000 (introdotto dall’art. 1 del d.lgs. n. 87 del 2024 e poi recepito nell’art. 119 T.U. della giustizia tributaria ) e dalla circostanza che l’avviso di accertamento impugnato in questa sede è relativo anche all’anno d’imposta 2014, la disposizione in esame è inapplicabile in quanto con la stessa si attribuisce efficacia di giudicato nel giudizio tributario alle sole sentenze penali irrevocabili di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso.
2 . Passando all’esame dei motivi, il primo motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, c.p.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. La sentenza impugnata aveva ritenuto provata la mala fede della ricorrente per la pluralità di operatori fittizi con cui essa aveva intrattenuto rapporti economici per un importo rilevante. Questo giudizio, però, si basava sulla valorizzazione di circostanze solo affermate, ma non riscontrate dall’Ufficio, o del tutto inconferenti, suscettibili, comunque, di diverse interpretazioni, anche di segno opposto a quella dell’Ufficio. La censura che si rivolgeva ai giudici regionali era di aver prestato un’adesio ne solo formale e nominalistica al principio affermato in tema di onere di prova. Essi, infatti, avevano ritenuto assolto l’ onere della prova valorizzando circostanze che, già sul piano logico, non potevano avere alcun significato probatorio nella vicenda in esame o che potevano avere spiegazioni diverse dalle conclusioni volute dall’Ufficio; circostanze che non potevano dirsi provate per i periodi oggetto delle rettifiche perché accertate successivamente; circostanze la cui esistenza era solo affermata dal l’Ufficio, ma che non avevano un oggettivo riscontro. La commissione di illeciti contabili e fiscali, da parte dei fornitori, non poteva in alcun modo rappresentare una prova,
nemmeno un indizio, della consapevolezza della ricorrente di partecipare ad un’operazione fraudolenta . L’accertamento dell’Ufficio dell’insussistenza delle strutture produttive era stato compiuto successivamente all’anno sottoposto a rettifica (2013). L’ Ufficio non aveva mai proceduto al riscontro della vendita sottocosto, circostanza che era stata contestata dalla società contribuente. Il processo penale celebrato a carico del rappresentante della società ricorrente, per gli anni 2011 e 2012, aveva giudicato sulle accuse di indebita detrazione di Iva su acquisti effettuati da fornitori (RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) presenti anche nella vicenda in esame e si era concluso con l’assoluzione del Sig. COGNOME per mancanza di prova della sua responsabilità, con la formula perché il fatto non costituisce reato 3. Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c. e dei principi di riparto degli oneri probatori, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. Per la sentenza impugnata, la natura fittizia di una pluralità di fornitori manifestava la mala fede della contribuente, senza che alcun rilievo potesse avere la dimostrazione, data dalla stessa ricorrente, della congruità dei prezzi di acquisto corrisposti ai fornitori sospetti rispetto a quelli di mercato. Nel caso di specie, la Corte regionale aveva assunto che la prova della colpevolezza della contribuente fosse « in re ipsa » nell’esistenza delle cartiere e, in definitiva, nella prova della frode . L’ onere di provare il sottocosto gravava sull’Amministrazione e la Corte non aveva verificato se l’Ufficio a vesse fornito tale prova; la contribuente aveva elaborato e esibito un prospetto di raffronto dei prezzi di acquisto sostenuti dai fornitori «sospetti» e quelli sostenuti da altri fornitori: di questo prospetto la Corte non aveva tenuto conto. La sentenza impugnata aveva illegittimamente ritenuto provata la malafede della contribuente perché, da un lato, si era focalizzata, a favore dell’Ufficio, su circostanze suscettibili di interpretazioni antitetiche, tutte legittime sul piano logico; dall’altro, aveva
pretermesso argomenti di prova a favore della contribuente, primo fra tutti quello relativo alla congruità dei prezzi di acquisto dai fornitori sospetti.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 111, comma 6, Cost. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, c.p.c. La sentenza impugnata aveva ritenuto provata la mala fede della contribuente e, nel contempo, aveva escluso che questa avesse fornito la prova della propria buona fede. Questo giudizio, però, era inficiato da un grave «deficit» motivazionale, atteso che la Corte di giustizia tributaria aveva trascurato di valutare le numerose e specifiche circostanze di fatto, addotte dalla società contribuente a sostegno della propria buona fede, prima fra tutte la dimostrazione della congruità del prezzo di acquisto corrisposto ai fornitori rispetto ai «prezzi di mercato».
5. Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972 e dell’art. 2697 c.c. e dei principi di riparto degli oneri probatori, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. La Corte regionale aveva dato per scontato la natura di cartiera in capo alle fornitrici, senza verificare se l’Ufficio a vesse assolto ai propri oneri probatori. La sentenza impugnata aveva dato per scontato che i soggetti fornitori presi in considerazione dall’Ufficio fossero da qualificare come «cartiere». La sentenza impugnata era illegittima perché aveva falsamente applicato, al caso concreto, i principi sul riparto dell’onere della prova , ritenendo che la sola esistenza del PVC, indipendentemente dalla significatività del suo contenuto, potesse concretare l’assolvimento degli oneri probatori a carico dell’amministrazione finanziaria, in particolare sulla natura di cartiere dei fornitori per i quali era stata recuperata l’Iva portata in detrazione. 6. I motivi, che vanno trattati congiuntamente perché investono profili diversi della medesima questione, riguardante l’accertamento, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti ai fini IVA, e i criteri di ripartizione dell’onere della prova ad esso correlati, sono infondati.
6.1 Va premesso che, in tema di operazioni soggettivamente inesistenti questa Corte, in coerenza con le plurime affermazioni della Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, 6 settembre 2012, C-324/11; Corte di Giustizia UE, 22 ottobre 2015, C-277/14; Corte di Giustizia UE, 19 ottobre 2017, C-101/16 e, più di recente, Corte di Giustizia UE, 1 dicembre 2022, C-512/21) ha affermato che « qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto » (cfr. Cass., 16 febbraio 2025, n. 3949; Cass., 12 giugno 2024, n. 16361; Cass., 1 dicembre 2023, n. 33620; Cass., 31 gennaio 2022, n. 2922; Cass., 20 luglio 2020, n. 15369; Cass., 28 febbraio 2019, n. 5873; Cass., 20 aprile 2018, n. 9851).
6.2 Come chiarito da questa Corte, partendo dalla premessa che ai fini della ripartizione dell’onere della prova, occorre considerare che il diniego del diritto di detrazione segna un’eccezione al principio di neutralità dell’Iva che tale diritto costituisce, incombe, in primo luogo, sull’Amministrazione finanziaria provare che, a fronte dell’esibizione del titolo, difettano, le condizioni, oggettive e soggettive, per la detrazione e che, una volta raggiunta questa prova, spetterà al contribuente fornire la prova contraria, ossia di aver svolto le trattative
in buona fede, ritenendo incolpevolmente che le merci acquistate fossero effettivamente rifornite dalla società cedente; inoltre, la prova che deve essere fornita dall’Amministrazione in caso di operazioni soggettivamente inesistenti si incentra su due circostanze di valenza costitutiva rispetto alla pretesa erariale, ossia che il soggetto formale non è quello reale e che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione I.V.A. e, a tale ultimo fine, non è necessaria la prova della partecipazione all’evasione, ma è sufficiente e necessario che il contribuente avrebbe dovuto esserne consapevole (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
6.3 Ancor più specificamente, questa Corte ha evidenziato che « L’onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente » e che « Esclusa, infatti, una connotazione aprioristica e generalizzante di idoneità probatoria sul piano soggettivo alla sola qualità oggettiva di cartiera del soggetto interposto (in ciò superando il rigore dei citati precedenti), non può peraltro escludersi che l’effettività, suffragata da obbiettivi riscontri, dell’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti possa rientrare nel novero degli elementi, afferenti alla sfera del destinatario, su cui assolvere l’onere probatorio dell’Amministrazione » (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
6.4 Con specifico riguardo alla consapevolezza del contribuente, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, deve essere soddisfatta l’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se non sapeva o non avrebbe potuto sapere che
l’operazione si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’I.V.A. (Corte di Giustizia UE, 6 luglio 2006, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia UE, 21 giugno 2012, C-80/11 e C142/11; Corte di Giustizia, 22 ottobre 2015, C-277/14).
6.5 Sul «tipo» di prova incombente sull’Amministrazione si è precisato che essa può ritenersi raggiunta se quest’ultima fornisce attendibili indizi idonei ad integrare una presunzione semplice e, dunque, non occorre la prova «certa» e incontrovertibile e che l’onere dell’Amministrazione finanziaria sulla consapevolezza del cessionario deve essere ancorato al fatto che questi, in base ad elementi obbiettivi e specifici, che spetta alla Amministrazione individuare e contestare, conosceva o avrebbe dovuto conoscere che l’operazione si inseriva in un’evasione dell’I.V.A. e che tale conoscibilità era esigibile, secondo i criteri dell’ordinaria diligenza, tenuto conto delle circostanze esistenti al momento della conclusione dell’affare (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione). Pertanto, sebbene al destinatario non compete, di norma, conoscere la struttura e le condizioni di operatività del proprio fornitore, sorge, tuttavia, un obbligo di verifica, nei limiti dell’esigibile, in presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale ovvero delle scelte dallo stesso effettuate ovvero tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, la cui rilevanza è tanto più significativa atteso il carattere strutturale e professionale della presenza dell’imprenditore nel settore del mercato in cui opera e l’aspettativa, fisiologica ed ordinaria, che i rapporti commerciali con gli altri operatori siano proficui e suscettibili di reiterazione nel tempo (Cass., 2 dicembre 2015, n. 24490).
6.6 In via esemplificativa, poiché la valutazione va in ogni caso ancorata alla concreta vicenda, possono costituire elementi di rilevanza
sintomatica: l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato; la limitatezza dell’eventuale ricarico; la presenza di una varietà e pluralità di soggetti promiscuamente indicati nella documentazione di trasporto e nella fatturazione; la scelta di operare secondo canali paralleli di mercato (che esige una più attenta e approfondita valutazione dei propri interlocutori, proprio per verificarne l’effettività), poco importa se giustificata da esigenze di accelerazione e di margini produttivi; la tempistica dei pagamenti, in ispecie se incrociati od operati su conti esteri a fronte di interlocutori nazionali, ovvero se effettuati cash; la qualità del concreto intermediario con il quale sono state intrattenute le operazioni commerciali; il numero, la qualità e la durata delle transazioni, in ispecie a fronte di rapporti contigui e frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero nel caso in cui il contribuente abbia rapporti commerciali con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera (Cass., 20 aprile 2018, n. 9851, in motivazione).
6.7 Ne consegue che la sussistenza di indizi, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere le opportune informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi (Cass., 4 luglio 2022, n. 21072; Cass., 2 dicembre 2021, n. 38012; Cass., 16 novembre 2021, n. 34531). Il contenuto della massima diligenza esigibile nei confronti di un accorto operatore, al fine di non essere parte di una frode IVA, si incentra sulle opportune informazioni circa l’effettiva esistenza del fornitore, da acquisirsi direttamente (in relazione alla struttura organizzativa dello stesso), sia indirettamente, attraverso l’esame delle modalità con le quali si è estrinsecato il rappor to commerciale con l’emittente ( Cass., 27 settembre 2022, n. 28165).
6.8 Ed invero, l’o perazione soggettivamente inesistente si configura, invero, sia quando l’emittente della fattura non sia un soggetto passivo
di imposta, sia quando la falsità delle fatture riguarda operazioni avvenute tra soggetti diversi da quelli che appaiano nella documentazione; segnatamente, nel caso in cui l’Amministrazione ritenga che la fattura attenga ad operazioni solo soggettivamente inesistenti, e cioè che la fattura sia stata emessa da soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione in essa rappresentata (e della quale il cessionario o il committente sia stato realmente destinatario), la detraibilità dell’IVA deve essere, in linea di principio, esclusa, venendo a mancare lo stesso principale presupposto della detrazione, costituito dall’effettuazione di un’operazione ai sensi dell’art. 19, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972, presupposto da ritenersi carente anche nel caso in cui i termini soggettivi dell’operazione non coincidano con quelli della fatturazione (Cass., 13 novembre 2009, n. 23987; Cass., 12 marzo 2007, n. 5719). In tal caso, infatti, come evidenziato da questa Corte, l’imposta viene versata ad un soggetto non legittimato alla rivalsa, né assoggettato all’obbligo di pagamento dell’imposta, in quanto le fatture sono emesse da un soggetto che non è stato controparte nel rapporto relativo alle operazioni fatturate, da ritenersi “inesistenti” (Cass., 30 ottobre 2013, n. 24426). In sostanza, in caso di emissione di fattura per operazioni inesistenti, l’IVA versata (come previsto dall’art. 21, comma 7, d.P.R. 6 n. 633 del 1972) alla non genuina controparte, va considerata (proprio per le finalità del complessivo sistema IVA) come “fuori conto”, e cioè “isolata” dalla massa di operazioni effettuate ed “estraniata” dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte” che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972 (Cass.,13 marzo 2013, n. 6229) (Cass., 20 luglio 2020, 15369).
6.9 Raggiunta tale prova, incombe sul contribuente l’onere di dimostrare, oltre all’effettività del cedente, la propria buona fede, ossia di «avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile
da un operatore accorto – secondo i criteri di ragionevolezza e di proporzionalità, in rapporto alle circostanze del caso concreto – al fine di evitare di essere coinvolto in una tale situazione, in presenza di indizi idonei a far insorgere il sospetto», stante la inesigibilità di ulteriori verifiche (Cass., 20 luglio 2020, n. 15369). Il contribuente, in altri termini, può dimostrare sia l’anomalia degli elementi posti in evidenza dal Fisco, sia l’attività preventiva posta in essere da cui emergeva l’effettività ed operatività dell’impresa interposta. Risulta, invece, priva di rilievo tanto la prova sulla regolarità formale delle scritture e sulle evidenze contabili dei pagamenti, quanto sull’inesistenza di un dimostrato vantaggio, e ciò in quanto le prime circostanze sono già insite nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, mentre l’ultima si riferisce ad un dato di fatto esterno alla fattispecie, inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode ( Cass., 16 febbraio 2025, n. 3949). Nessun rilievo assume poi la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni, poiché il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass., dicembre 2019, n.33915; Cass., 24 agosto 2022, n. 25192). Né, a tal fine, è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente» (Cass., 9 settembre 2016, n. 17818), ovvero, «di circostanze non concludenti, la prima in quanto insita nella stessa nozione di operazione soggettivamente inesistente, e la seconda perché relativa ad un dato di fatto inidoneo di per sé a dimostrare l’estraneità alla frode» (cfr. Cass., 28 giugno 2018, n. 17153 del 2018).
6.10 Tanto premesso, nella vicenda in esame, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, peraltro con un accertamento in fatto non
censurabile in sede di legittimità, ha fatto piena e corretta applicazione dei principi di diritto espressi in tali arresti giurisprudenziali. I giudici di secondo grado, nella specie, a fronte delle fatture di acquisto emesse dalle società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno rilevato che i rapporti commerciali oggetto di accertamento riguardavano ben undici società commerciali di cui era stata accertata, alternativamente, l’inesistenza di una sede, l’irreperibilità del legale rappresentante, l’assenza di depositi o della disponibilità di altri locali in cui esercitare l’attività commerciale, la mancata tenuta delle scritture contabili obbligator ie, l’omessa effettuazione di versamenti Iva negli anni di interesse, la mancata effettuazione di cessioni comunitarie e/o extracomunitari , l’assenza di lavoratori e/o collaboratori, le vendite effettuate sottocosto, tutti elementi che sostanzialmente consentivano di ritenere che le dette società si ponevano come soggetti creati al solo scopo di operare in qualità di falsi esportatori abituali e/o di acquirenti intracomunitari, ovvero che le società fornitrici erano dei meri soggetti interposti, coinvolti in un sistema di operazioni commerciali finalizzate ad una vasta e articolata frode architettata ai danni dell’Erario . Si tratta di elementi tipici (che danno luogo ad una presunzione di svolgimento di operazioni soggettivamente inesistenti) che comportavano l’inversione dell’onere della prova a carico della società contribuente, nel senso che quest’ultima avrebbe dovuto dimos trare che «non avrebbe potuto sapere» pur avendo utilizzato la massima diligenza esigibile. E in proposito, la Corte di Giustizia tributaria di secondo grado ha correttamente rilevato, in applicazione dei principi suesposti, che la società appellata non aveva fornito alcuna prova o dimostrazione della sua estraneità alla frode o sulla sua non consapevolezza e che non era rilevante la circostanza che la stessa non aveva acquistato sottocosto, a fronte della pluralità di soggetti, aventi la natura di cartiera, con i quali la società appellata aveva intrattenuto rapporti per importi
rilevantissimi, ovvero per milioni di euro. Va, infatti, ribadito che, trattandosi di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere probatorio a carico della Amministrazione finanziaria, sulla conoscibilità da parte della società contribuente della partecipazione ad una frode Iva è soddisfatto dalla dimostrazione della fittizietà dei soggetti interposti. Non vi è stata, dunque, alcuna inversione dell’onere probatorio, né sussiste il vizio di motivazione lamentato dalla società ricorrente. L’Amministrazione finanziaria ha dato la prova presuntiva del fatto che le società fornitrici non erano quelle reali perché società cartiere e della consapevolezza in capo alla società ricorrente che gli acquisti effettuati si inserivano in una evasione I.V.A.; già si è detto che l’onere probatorio dell’Amministrazione ben può esaurirsi con la prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sé, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poiché l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente; pertanto, la società ricorrente aveva l’onere di verificare la presenza di indici personali ed operativi anomali dell’operazione commerciale tali da evidenziare irregolarità ed ingenerare dubbi di una potenziale evasione, atteso, peraltro, il carattere strutturale e professionale dei rapporti commerciali posti in essere con numerose società fornitrici. In tale contesto, come già precisato, l’acquisto dei beni ad un prezzo inferiore di mercato costituisce solo uno degli indici da prendere in considerazione, unitamente, tuttavia, al numero, alla qualità e alla durata delle transazioni, nonché alle frequentazioni reiterate con i titolari della cartiera, ovvero ai rapporti commerciali intrattenuti con una pluralità di soggetti aventi la quantità di cartiera. La Corte di Giustizia tributaria di secondo grado, dunque, ha ritenuto, in rapporto alle circostanza del caso concreto, che la società ricorrente non avesse
dato la prova di avere agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, non avendo dimostrato da un lato l’anomalia degli elementi presuntivi posti a fondamento dell’avviso di accertamento e, dall’altro, l’attività preventiva (eventualmente svolta) diretta a dimostrare l’effettività ed operatività delle società fornitrici. Nessun rilievo assume, al riguardo, la riscontrata congruità dei prezzi e la regolarità formale delle operazioni, poiché, per quanto già rilevato, il primo costituisce un elemento neutro ai fini della prova della buona fede, e la seconda è addirittura utilizzata proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia. Né è sufficiente dedurre che la merce sia stata consegnata e rivenduta e la fattura, IVA compresa, effettivamente pagata, poiché trattasi di circostanze pienamente compatibili con la frode fiscale perpetrata mediante un’operazione soggettivamente inesistente. Appare, infine, suggestiva la prospettazione della società ricorrente secondo cui l’accertamento sulla inesistenza delle società fornitrici sia stato fatto in annualità successive all’anno di imposta oggetto dell’atto impositivo impugnato, in quanto l’attività di controllo dell’Agenzia delle Entrate viene sempre espletata in un momento successivo all’anno di imposta considerato e, per quel che emerge nel caso in esame, il compendio probatorio di natura presuntiva sulla base del quale è stata accertata la natura di «cartiera» delle società fornitrici si basava su specifici elementi che riguardavano la situazione contabile e di fatto delle società interessate non cristallizzata in un dato momento storico o temporale (basti pensare all’assenza di documentazione contabile o extracontabile, all’assenza di versamenti Iva, all’inesistenza di una sede legale, alla mancanza di dipendenti e/o collaboratori) e, comunque, suffragata, in alcuni casi, anche dalle dichiarazioni dei soggetti formalmente amministratori delle società fornitrice, oltre che del legale rappresentante della società ricorrente. È certo, in ogni caso, e salvo
la pretesa di un maggior rigore probatorio a seconda del livello di complessità dell’organizzazione della frode , in base al riscontro di una catena più corta o più lunga rappresentativa del numero di società partecipanti all’illecito , che l’accertamento giudiziale del concreto atteggiarsi delle varie fattispecie è generalmente affidato all’allegazione di prove indiziarie, che il giudice è tenuto a vagliare secondo i principi posti a presidio del governo delle prove presuntive (Cass., 12 luglio 2023, n. 19981). Il procedimento logico-valutativo seguito dalla Commissione tributaria regionale è, dunque, coerente con i criteri di ripartizione dell’onere probatorio come regolato dall’art. 2697 cod. civ. e con le regole di governo delle prove presuntive, poste dagli artt. 2727 e 2729 cod. civ., nei limiti in cui questa Corte, nell’esercizio della funzione nomofilattica, può controllare tale processo (Cass., 15 novembre 2021, n. 34248; Cass., 13 febbraio 2020, n. 3541).
7. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 23.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 14 maggio 2025.