Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21553 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21553 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al n. 21109/2023 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall ‘ Avvocatura Generale dello Stato e domiciliata ‘ ope legis ‘ presso gli uffici di quest ‘ ultima, siti in Roma, alla INDIRIZZO (indirizzo p.e.c.: EMAIL);
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME nato a Latina il 5 marzo 1966 ed ivi residente, alla INDIRIZZO (Codice Fiscale: CODICE_FISCALE
-intimato –
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio n. 1421/18/2023, pubblicata il 15 marzo 2023;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 13 marzo 2025, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1.- L ‘ Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Latina, proponeva appello avverso la sentenza della CTP di Latina n. 1230/05/2018, pubblicata il 14 novembre 2018, che aveva accolto parzialmente (con
n. 21109/2023 R.G.
COGNOME
Rep.
A.C. 13 marzo 2025
Imposte dirette IVA – Accertamento induttivo.
compensazione delle spese) il ricorso proposto da COGNOME COGNOME avverso l ‘ avviso di accertamento n.TKF011701327/2017 relativo all ‘ anno d ‘ imposta 2012, con cui si accertava un volume di affari e un maggior reddito dell ‘importo rispettivamente di € . 188.757,96 (euro centottantottomilasettecentocinquantasette/96) e € . 67.179,32 (sessantasettemilacentosettantanove/32), riconoscendo una percentuale di ricarico del 20% nella determinazione dei maggiori ricavi e l ‘ IVA sui costi da spesometro riportati nell ‘ accertamento.
L ‘ amministrazione finanziaria appellante censurava la sentenza impugnata per violazione degli artt. 115 c.p.c. e 2967 c.c., per avere erroneamente accolto l ‘ eccezione di controparte secondo cui l ‘ ufficio non aveva tenuto conto dell ‘ effettiva realtà aziendale in quanto la media applicata era riferibile anche ad attività che non rientravano tra quelle realizzate dal ricorrente ed avere, in conseguenza, ridotto la percentuale di ricarico dal 35,59% al 20%, affermando che anche l ‘ Ufficio avrebbe riconosciuto l ‘ eccessività della percentuale applicata. L ‘ amministrazione finanziaria, invero, sottolineava l ‘ erroneità della richiesta di annullamento dell ‘ avviso di accertamento sostenendo che lo stesso era da ritenersi comunque valido anche applicando una minore percentuale di ricarico, stante la natura di impugnazione – merito del giudizio tributario. L ‘ accertamento induttivo era scaturito dalla mancata esibizione della documentazione di parte che anche in sede di giudizio non aveva in alcun modo documentato l ‘ incidenza della crisi di gestione finanziaria sulla situazione reddituale dell ‘ azienda.
L ‘ appellante ribadiva che la percentuale di redditività era stata presa avendo a riferimento lo studio di settore presentato dal ricorrente (VG74U – Attività fotografiche) e che detto studio ricomprendeva anche l ‘ attività svolta dello stesso. Peraltro, anche ritenendo valida l ‘ affermazione di controparte secondo la quale la media da applicare sarebbe tra il 18% e il 24%, ciò non avrebbe potuto in alcun modo condurre all ‘ annullamento dell ‘ atto posto che il giudizio tributario è un giudizio di impugnazionemerito e non di impugnazione-annullamento. Veniva dedotto, inoltre, l ‘ erroneo riconoscimento della detrazione IVA assolta ai fini delle imposte dirette dal momento che solo l ‘ IVA a credito, relativa ai costi riconosciuti come deducibili ai fini dell ‘ imposizione diretta, non era stata ritenuta
detraibile in quanto i registri IVA e le fatture, seppur richiesti, non erano stati esibiti ai sensi degli artt. 19, 27 e 33 d.P.R. n. 633 del 1972. Il soggetto che chiede la detrazione dell ‘ IVA ha l ‘ onere di dimostrare di poter soddisfare tutte le condizioni per fruirne, fornendo prove oggettive comprovanti che i beni e servizi gli siano stati effettivamente forniti a monte da soggetti passivi. Nel caso in esame, il contribuente, secondo la prospettazione contenuta nell ‘ atto d ‘ appello, non aveva fornito prova documentale producendo le relative fatture. Peraltro, la produzione delle fatture (parziali) era da ritenersi inutilizzabile ai sensi art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 perché tardive. Né il difetto probatorio in cui era incorso il contribuente poteva essere sanato facendo riferimento allo strumento dello ‘ Spesometro Integrato ‘ , in quanto tale strumento, in assenza delle fatture di acquisto e dei registri IVA, non è idoneo a dimostrare la legittimità della detrazione.
2.- La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio rigettava l ‘ appello, affermando che: « L ‘ appello dell ‘ Ufficio si fonda sulla mera riproposizione delle ragioni prospettate in primo grado e disattese dall ‘ organo giudicante. Vanno richiamati i principi enunciati dalla Corte di cassazione in tema di accertamento analitico-induttivo, ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973. secondo cui anche in presenza di scritture formalmente corrette, qualora la contabilità possa considerarsi complessivamente inattendibile, è legittimo il ricorso al metodo analiticoinduttivo, ex art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973, sulla base di elementi che consentano di accertare in via presuntiva, maggiori ricavi, che possono essere determinati calcolando la media aritmetica o quella ponderata dei ricarichi sulle vendite (cfr. sul punto, Sez. 5 , 11/04/2018, n. 8923; Sez. 5, 30/10/2018, n. 26552; Sez. 5 , Ordinanza n. 12/12/2018, n. 32129). Quanto alla metodologia d ‘ indagine e, quindi, ai criteri legittimanti l ‘ accertamento sulle percentuali di ricarico della merce venduta, è stato chiarito che il ricorso alla media aritmetica semplice è consentito quando risulti l ‘ omogeneità della merce, dovendosi invece fare ricorso alla media ponderale quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e gli articoli più venduti presentano una percentuale di ricarico inferiore a quella risultante dal ricarico medio (cfr., Sez. 5, 21/11/2019, n. 30363). Sulla media ponderale, è stato evidenziato
che l ‘ accertamento analitico-induttivo, ai sensi dell ‘ art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. n. 600 del 1973, di maggiori ricavi non dichiarati da un ‘ impresa commerciale, operata attraverso l ‘ applicazione di una percentuale di ricarico medio-ponderato, si effettua: a) applicando detta percentuale sul costo del venduto quale accertato nei confronti dell ‘ impresa; b) sommando l ‘ importo così ottenuto (margine di guadagno) al predetto costo del venduto accertato; c) detraendo dall ‘ importo così ottenuto (ricavi accertati) i ricavi dichiarati dall ‘ impresa o comunque accertati sulla base della sua contabilità (così, Sez. 5, 02/08/2017, n. 19123). Nel caso in esame, la CTP ha rilevato come l ‘ Ufficio avesse «proceduto alla determinazione induttiva del reddito senza tener conto della reale situazione dell ‘ attività -laboratorio fotografico di sviluppo e stampa e della sua redditività e, in particolare, senza considerare che lo studio di settore VG74U comprende genericamente la macrofamiglia dell ‘ attività legata alla fotografia per cui la percentuale di ricarico non è quella propria dell ‘ attività svolta dal contribuente, ma è data dalla media delle attività di cui si compone lo stesso studio di settore e senza considerare l ‘ incidenza sull ‘ attività dei laboratori fotografici dell ‘ avvento della fotografia digitale e dei programmi accessibili a tutti anche per la stampa delle fotografie. Il primo giudice non ha fatto alcuna erronea applicazione delle norme che regolano l ‘ accertamento induttivo, ma, viceversa, ferma restando la validità dell ‘ accertamento, ha ricalcolato la percentuale di ricarico – il 20% in luogo del 35,59 %, applicata ai ricavi, operando, in tal modo, una motivata valutazione sostitutiva ritenuta più aderente alla realtà dell ‘ azienda e allo studio di settore applicato di quella dell ‘ ufficio ricavata dalla media delle attività ricadenti nello studio di settore applicato. Il giudice tributario di primo grado ha correttamente valutato sia l ‘ applicabilità degli “standards” al caso concreto, quanto gli elementi offerti dal contribuente ed ha congruamente motivato sulla riduzione degli standard applicati dall ‘ Ufficio anche in considerazione del mancato espletamento di indagini finanziarie. Parimenti non condivisibili risultano le doglianze dell ‘ appellante ufficio in tema di detrazione dell ‘ IVA. L ‘ orientamento espresso dal primo giudice è aderente al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione
da parte del contribuente, l ‘ Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell ‘ art. 38 (accertamento sintetico) o nell ‘ art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell ‘ art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d ‘ ufficio), può ricorrere a presunzioni cd. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l ‘ inversione dell ‘ onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, senza che possano operare le limitazioni previste dall ‘ art. 75 (ora 109) del d.P.R. n. 917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente. L ‘ Amministrazione finanziaria deve, quindi, ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all ‘ art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto. (Cass. n. 2581 del 2021). ».
3.- Avverso la menzionata sentenza d ‘ appello, l ‘ Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.Il contribuente COGNOME COGNOME al quale il ricorso è stato regolarmente notificato ex art. 143 c.p.c., è rimasto intimato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, l ‘ amministrazione finanziaria denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 4), c.p.c., la nullità della sentenza impugnata, per carenza della motivazione, in violazione degli artt. 36, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992 e 132, comma 1, n. 4), c.p.c.
Sostiene, al riguardo, che risulterebbe evidente la mera apparenza della motivazione adottata dalla CGT-2 Lazio che si sarebbe limitata, con mere formule stereotipate, a condividere apoditticamente quanto statuito dai giudici di primo grado i quali, a loro volta, con motivazione confusa e contraddittoria avrebbero fissato una percentuale di ricarico del tutto arbitraria, senza quindi considerare che sin dal primo grado l ‘ ufficio aveva chiarito che quelle applicata corrispondeva esattamente alla media praticata dalle imprese soggette allo stesso studio di settore (VG74U) presentato dallo stesso contribuente.
2.- La censura è infondata.
Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In seguito alla riformulazione dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall ‘ art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall ‘ art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. » .
In particolare, giova rammentare che questa Corte, a sezioni unite, ha chiarito che, dopo la riforma dell ‘ art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., operata dalla l. n. 134 del 2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l ‘ anomalia motivazionale si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente
all ‘ esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l ‘ aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., Sez. U., sentenza n. 8053 del 7 aprile 2014, Rv. 629830-01).
Orbene, nel caso di specie la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la CGT-2 Lazio ha senz ‘ altro motivato – sia pure in maniera sintetica e coerente – spiegando le ragioni per le quali doveva essere condiviso il ragionamento della CTP. In particolare, la sentenza impugnata ha ribadito come l ‘ amministrazione finanziaria avesse proceduto alla determinazione induttiva del reddito senza tener conto della reale situazione dell ‘ attività (laboratorio fotografico di sviluppo e stampa) e della sua redditività e, in particolare, senza considerare che lo studio di settore CODICE_FISCALE comprendeva genericamente la macrofamiglia dell ‘ attività legata alla fotografia, cosicché la percentuale di ricarico non era quella propria dell ‘ attività esercitata dal contribuente, ma doveva essere data dalla media delle attività di cui si componeva lo stesso studio di settore e senza considerare l ‘ incidenza sull ‘ attività dei laboratori fotografici dell ‘ avvento della fotografia digitale e dei programmi accessibili a tutti anche per la stampa delle fotografie. Pertanto, ha chiarito la sentenza impugnata, « Il primo giudice non ha fatto alcuna erronea applicazione delle norme che regolano l ‘ accertamento induttivo, ma, viceversa, ferma restando la validità dell ‘ accertamento, ha ricalcolato la percentuale di ricarico – il 20% in luogo del 35,59%, applicata ai ricavi, operando, in tal modo, una motivata valutazione sostitutiva ritenuta più aderente alla realtà dell ‘ azienda e allo studio di settore applicato di quella dell ‘ ufficio ricavata dalla media delle attività ricadenti nello studio di settore applicato ». Dunque, « Il giudice tributario di primo grado ha correttamente valutato sia l ‘ applicabilità degli “standards” al caso concreto, quanto gli elementi offerti dal contribuente ed ha congruamente motivato sulla
riduzione degli standard applicati dall ‘ Ufficio anche in considerazione del mancato espletamento di indagini finanziarie. ».
3.- Con il secondo motivo, l ‘ amministrazione finanziaria ricorrente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 116 c.p.c. e 41 d.P.R. n. 600 del 1973.
Sostiene, al riguardo, che, nel caso di specie, il contribuente non avrebbe fornito elementi contrari atti a inficiare la ricostruzione del reddito evaso in sede di accertamento e avrebbe sostanzialmente ammesso, anche in sede giurisdizionale, di aver svolto attività inerente a sviluppo e stampa dì fotografia, sia pure col distinguo di non avere rapporti con clienti privati ma solo con imprese e che la sua attività non comprendeva attività di fotoreporter, né altre attività dì riprese fotografiche, per cui il codice ATECO corrispondente al laboratorio fotografico (74.20.20) rientrava pienamente nello studio di settore utilizzato nel caso di specie e l ‘ apodittica affermazione della CTP secondo cui « la percentuale di ricarico non è quella propria dell ‘ attività “Laboratori fotografici di sviluppo e stampa” (codice Adeco 74.20.20) » sarebbe frutto di una lettura superficiale delle normativa in tema di accertamento induttivo. D ‘ altra parte, la diffusione dei software di stampa secondo la lettura dei giudici di merito avrebbe avuto ricadute sull ‘ intero settore, anche quello con clientela privata, e non già sulla singola impresa.
4.- La censura è inammissibile, in quanto tende a risolversi in un ‘ alternativa ricostruzione in fatto della vicenda, come tale preclusa in sede di legittimità.
Del resto, come chiarito da questa Corte regolatrice, « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un ‘ alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. » (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790-01, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L ‘ esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull ‘ attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
5.- Con il terzo (e ultimo) motivo, il contribuente denuncia, ai sensi dell ‘ art. 360, comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 5, d.P.R. n. 600 del 1973, 19, 27 e 33 d.P.R. n. 633 del 1972.
La doglianza si appunta, in particolare, sulle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, secondo cui « Parimenti non condivisibili risultano le doglianze dell ‘ appellante ufficio in tema di detrazione dell ‘ IVA. L ‘ orientamento espresso dal primo giudice è aderente al principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di omessa dichiarazione da parte del contribuente, l ‘ Amministrazione finanziaria, i cui poteri trovano fondamento non già nell ‘ art. 38 (accertamento sintetico) o nell ‘ art. 39 (accertamento induttivo), bensì nell ‘ art. 41 del d.P.R. n. 600 del 1973 (cd. accertamento d ‘ ufficio), può ricorrere a presunzioni cd supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l ‘ inversione dell ‘ onere della prova a carico del contribuente, ma deve, comunque, determinare, sia pure induttivamente, i costi relativi ai maggiori ricavi accertati, senza che possano operare le limitazioni previste dall ‘ art. 75 (ora 109) del d. P.R. n.
917 del 1986 in tema di accertamento dei costi, disciplinando tale norma la diversa ipotesi in cui una dichiarazione dei redditi, ancorché infedele, sia comunque sussistente. L ‘ Amministrazione finanziaria deve, quindi, ricostruire il reddito del contribuente tenendo conto anche delle componenti negative emerse dagli accertamenti compiuti ovvero, in difetto, determinate induttivamente, al fine di evitare che, in contrasto con il principio della capacità contributiva di cui all ‘ art. 53 Cost., venga sottoposto a tassazione il profitto lordo, anziché quello netto (Cass. n. 2581 del 2021) ».
L ‘ amministrazione finanziaria sostiene, dunque, che l ‘ automatico riconoscimento della detrazione dell ‘ IVA sui costi emersi in sede di accertamento (in corrispondenza a quanto operato dal giudice di primo grado), si tradurrebbe nell ‘ inevitabile violazione degli artt. 19, 27 e 33 del d.P.R. n. 633 del 1972. E ciò, in quanto l ‘ IVA a credito relativa ai costi riconosciuti come deducibili ai fini dell ‘ imposizione diretta, infatti, non può essere automaticamente riconosciuta in detrazione, in assenza dell ‘ allegazione dei registri e delle corrispondenti fatture, nel caso di specie mancanti, come espressamente dedotto in sede di appello e di controdeduzioni nel giudizio di primo grado.
A sostegno del proprio assunto la ricorrente amministrazione finanziaria richiama anche la giurisprudenza della CGUE, la quale, con la sentenza 21 novembre 2018, ha chiarito come la direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d ‘ imposta sul valore aggiunto, segnatamente gli artt. 167 e 168, 178, lett. a) e 179 della medesima, nonché i principi di neutralità dell ‘ imposta sul valore aggiunto (IVA) e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che, in presenza di circostanze come quelle oggetto del procedimento principale, un soggetto passivo che non sia in grado di fornire la prova dell ‘ importo dell ‘ IVA assolta a monte per mezzo della produzione di fatture o di qualsivoglia altro documento, non può beneficiare del diritto alla detrazione dell ‘ IVA unicamente sulla base di una stima risultante da una perizia disposta dal giudice nazionale. La Corte, inoltre, ricorda l’Agenzia delle Entrate, ha affermato in più occasioni che « il principio fondamentale di neutralità dell ‘ IVA esige che la sua detraibilità a monte sia riconosciuta qualora gli obblighi sostanziali siano soddisfatti,
anche quando taluni obblighi formali siano stati omessi dai soggetti passivi ». Tuttavia, il soggetto che chiede la detrazione dell ‘ IVA ha l ‘ onere di dimostrare di poter soddisfare tutte le condizioni per fruirne, fornendo prove oggettive comprovanti che i beni e servizi gli siano stati effettivamente forniti a monte da soggetti passivi, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette a imposta, riguardo ai quali l ‘ imposta sia stata effettivamente assolta. In altre parole, se il soggetto passivo non è in grado di fornire la prova documentale dell ‘ importo dell ‘ IVA assolta a monte, attraverso la produzione di fatture o di altro documento equipollente, non può beneficiare del diritto alla detrazione unicamente sulla base di una stima risultante da una perizia disposta dal giudice nazionale.
Peraltro, sempre alla stregua della prospettazione dell ‘amministrazione finanziaria ricorrente, nemmeno varrebbe affermare che le fatture sarebbero state prodotte successivamente all ‘ emissione dell’avviso di accertamento, in sede di accertamento con adesione, in quanto, non solo detta produzione è stata parziale, poiché relativa solo a parte delle fatture ed essendo stata omessa la produzione dei registri, ma anche tardiva.
6.- La censura è fondata.
Ed invero, come chiarito da questa Corte regolatrice con orientamento ormai ampiamente consolidato, se è certamente vero che in tema di IVA, il diritto alla detrazione deve essere riconosciuto anche nel caso di violazione di requisiti formali di cui agli artt. 18 e 22 della direttiva n. 77/388/CEE (cd. sesta direttiva) – quali la mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ovvero l’omessa tenuta del registro IVA acquisti – risulta nondimeno altrettanto innegabile come tale riconoscimento risulti subordinato alla condizione che il contribuente dimostri, mediante fatture o altra idonea documentazione contabile, il rispetto dei requisiti sostanziali di cui all’art. 17 della citata direttiva (cfr., in tal senso ed ‘ ex multis ‘, Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 6241 del 9 marzo 2025, Rv. 674353-01).
Parimenti, è stato chiarito che: « In tema di accertamento fiscale, l’invito da parte dell’Amministrazione finanziaria, previsto dall’art. 32, quarto comma, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, a fornire dati,
notizie e chiarimenti, assolve alla funzione di assicurare – in rispondenza ai canoni di lealtà, correttezza e collaborazione propri degli obblighi di solidarietà della materia tributaria – un dialogo preventivo tra fisco e contribuente per favorire la definizione delle reciproche posizioni, sì da evitare l’instaurazione del contenzioso giudiziario, rimanendo legittimamente sanzionata l’omessa o intempestiva risposta con la preclusione amministrativa e processuale di allegazione di dati e documenti non forniti nella sede precontenziosa. Tale inutilizzabilità consegue automaticamente all’inottemperanza all’invito, non è soggetta alla eccezione di parte e può essere rilevata d’ufficio in ogni stato e grado di giudizio. Il contribuente può conseguire una deroga all’inutilizzabilità solo ove ricorrano le condizioni di cui all’art. 32, quinto comma, del d.P.R. 29 settembre, n.600. » (Cass. civ., Sez. 5, sentenza n. 5734 del 23 marzo 2016, non massimata).
Dai principi appena enucleati discende, pertanto, che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la ricostruzione induttiva dei ricavi in sede di verifica, dando luogo al recupero a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, di componenti positivi di reddito non dichiarati, non poteva consentire il riconoscimento in via automatica, ai fini della detraibilità dell’IVA, dei costi determinati in base ai dati e alle notizie raccolte nel corso della verifica fiscale per le imposte dirette, poiché sono diversi gli elementi costitutivi delle due imposte ed è onere del contribuente provare, ai fini della loro detrazione, che i costi sono riferibili a operazioni imponibili esistenti (cfr., in tal senso, Cass. civ., Sez. T, ordinanza n. 5486 del 2 marzo 2025, Rv. 674374-01), cosicché risulta pur sempre indispensabile che il contribuente fornisca puntuale dimostrazione dei costi, provando che questi siano stati sostenuti per il conseguimento di beni e servizi effettivamente forniti, a monte, da soggetti passivi, ai fini della realizzazione di proprie operazioni soggette a imposta e riguardo alle quali l’IVA sia stata effettivamente assolta.
Del resto, in forza dell’art. 55, comma 1, d.P.R. n. 633 del 1972 « sono computati in detrazione soltanto i versamenti eventualmente eseguiti dal contribuente e le imposte detraibili ai sensi dell’art. 19 risultanti dalle liquidazioni prescritte dagli artt. 27 e 33 », cosicché l ‘ IVA assolta sulle operazioni passive – ovvero sulle operazioni che comportando l’acquisto di
un bene o la fruizione di un servizio costituiscono un costo per l’impresa in tanto potrà essere portata in detrazione, in quanto afferente a costi documentati. Ciò sottolinea e rafforza ulteriormente l’asserto secondo il quale l’ IVA potrà essere portata in detrazione se ed in quanto il contribuente nei confronti del quale si procede con accertamento induttivo ne fornisca prova. Di qui l’errore in cui è caduta la CGT-2 Lazio nel ritenere la rilevanza dei costi determinati in base ai dati e alle notizie raccolte nel corso della verifica fiscale per le imposte dirette, anche ai fini IVA, in manifesta violazione delle norme già sopra menzionate.
7.- Alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, deve disporsi, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., la cassazione della sentenza impugnata con riferimento al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, la quale procederà a un nuovo esame della controversia, uniformandosi ai principi di diritto sopra espressi e provvedendo, altresì, a statuire sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
accoglie il terzo motivo di ricorso, respinti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria,