Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33658 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 5 Num. 33658 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso n. 23941/2015 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE, nella persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME, COGNOME, rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME con domicilio eletto presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME, in Roma, INDIRIZZO giusta procure in calce al ricorso per cassazione
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i
cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO
– controricorrente –
e nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE nella persona del legale rappresentante pro tempore ;
-intimata – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA, n. 800/2015, depositata in data 5 marzo 2015, non notificata;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 novembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’estinzione del giudizio o, in difetto dei presupposti per la definizione agevolata, per il rigetto del ricorso; udito per i ricorrenti l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito per l’Agenzia controricorrente l’Avv. NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO CHE
1. L’Agenzia delle Entrate, sulla base dei rilevi riportati nel PVC del 18 giugno 2010, aveva emesso avvisi di accertamento, per gli anni di imposta 2007 – 2008 e 2009, nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE ai fini Iva ed IRAP e di NOME (legale rappresentante e socio accomandatario), NOME Davide (socio accomandante), NOME COGNOME (socio accomandante) e COGNOME NOME (socio accomandante), ai fini Irpef e addizionali e aveva provveduto alle iscrizioni a ruolo a titolo provvisorio.
La Commissione tributaria provinciale di Milano, riuniti i ricorsi separatamente proposti, con sentenze n. 2594/40/14, 2595/40/14 e 2596/40/14, li aveva rigettati.
La Commissione tributaria regionale, adita dalla società e dai soci, riuniti gli appelli, in parziale riforma della sentenza impugnata, annullava le riprese pari a euro 53.150,00 ed euro 169.050,00 anno d’imposta 2007; le riprese pari a euro 411.337,00 ed a euro 112.500,00 anno d’imposta 2008; le riprese pari a euro 60.930,00, ad euro 117.300,00 e ad euro 757.033,00 anno d’imposta 2009, ai fini delle imposte dirette, confermando per il resto le pretese erariali.
In particolare, i giudici di appello hanno affermato che:
-) con riferimento ai rilievi relativi al recupero degli importi relativi agli anni 2007, 2008 e 2009 si concordava con quanto appurato e deciso in sede penale ai fini delle imposte dirette, dove erano state depositate tutte le fatture oggetto di contestazione e la stessa Guardia di Finanza aveva dato atto di non avere potuto fare ulteriori indagini sui conti correnti delle emittenti e di non avere fatto alcuna verifica in merito alla oggettiva esistenza delle prestazioni descritte in fatture;
-) dovevano essere confermati i rilievi relativi ai costi di euro 4.039,00 e di euro 81.548, 00 non deducibili per l’anno 2007 e ai costi di euro 3.120,72 e di euro 4.039,00, per l’anno 2008, in quanto si era in presenza di operazioni che la società non aveva provato ai fini della detraibilità dei costi;
-) con riferimento al rilievo dell’anno di imposta 2007, relativo alle fatture da ricevere per euro 192.682,00 (fatture da ricevere contabilizzate per euro 250.000,00 e documentate per euro 57.317,62) la ripresa andava confermata perché il conto fatture da ricevere esponeva il debito nei confronti dei fornitori e come contropartita il costo di competenza dell’esercizio, mentre gli
importi dovevano essere contabilizzati analiticamente con riferimento ai beni e/o prestazioni ricevute distinte per fornitori/prestatori di servizio;
-) con riferimento al rilievo anno d’imposta 2008 , lavorazione terzi euro 400.000,00, ricavi di competenza anno 2009 euro 700.000,00, non erano stati prodotti i documenti e gli elementi di calcolo che avevano determinato costi di competenza per l’anno 2008 di euro 400.000,00 e ricavi di competenza per l’anno 2009 di euro 700.000,00;
-) le riprese ai fini Iva dovevano essere tutte confermate per carenza di approntamento dell’ordinaria diligenza della parte ricorrente da effettuarsi nei confronti del fornitore;
-) quanto deciso nei confronti della società partecipata doveva essere statuito anche nei confronti dei soci partecipanti ex art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986.
La società RAGIONE_SOCIALE di NOME RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi e memoria, cui ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso, mentre la società RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto il rigetto del ricorso.
7 . Con ordinanza interlocutoria n. 187 del 4 gennaio 2024, questa Corte ha rinviato a nuovo ruolo la causa per l’acquisizione di informazioni sull’avvenuto perfezionamento della definizione agevolata della società RAGIONE_SOCIALE e dei soci NOME COGNOME NOME, NOME COGNOME.
La società RAGIONE_SOCIALE di NOME Giampietro RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, NOME, NOME COGNOME e COGNOME NOME hanno depositato memoria.
L’Agenzia delle Entrate ha depositato memoria .
La Procura Generale ha depositato requisitoria scritta con la quale ha chiesto, previa verifica della conclusione positiva del procedimento di definizione agevolata, il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO CHE
In via preliminare va osservato che la società e i soci ricorrenti, al l’esito dell’ordinanza interlocutoria n. 187 del 4 gennaio 2024, con la quale era stato rilevato che dalle allegate ricevute di pagamento non risultava interamente corrisposto il debito da pagare, hanno depositato, in data 3-4 giugno 2024, con modalità informatiche i bollettini quietanzati relativi al versamento delle ulteriori rate dei piani di pagamento sino alla definizione e hanno chiesto l’estinzione del giudizio.
1.1 L’Agenzia delle Entrate, con memoria depositata con modalità informatiche, ha rilevato che: ≪ i documenti n. NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D021A01019/2012 anno 2009), intestati a C.RAGIONE_SOCIALE -cf. NUMERO_DOCUMENTO, sono stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; Firmato Da: NOME Emesso Da: RAGIONE_SOCIALE CERTIFICATES CA G1 Serial#: NUMERO_DOCUMENTO 2 – i documenti n. NUMERO_CARTA 07, n. NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013B00034/2012 -anno 2007) e NUMERO_CARTA (relativo all’avviso di accertamento T9D013D01398/2013 -anno 2008), intestati a NOME COGNOMEcf. CODICE_FISCALE, sono stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; – per il documento n. NUMERO_CARTA (relativo all’avviso di accertamento T9D013D01398/2013 anno 2008), intestato a NOME COGNOMEcf. CODICE_FISCALE, è stata presentata istanza di definizi one agevolata ‘rottamazione -ter’ DL 119/2018 -accolta in n. 18 rate. La definizione non risulta perfezionata, stante il pagamento della rata n. 18 pervenuto oltre i termini di legge; -i documenti n. NUMERO_CARTA, NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013B00080/2012 -anno 2007), NUMERO_CARTA e n. NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013D01400/2013 anno 2008), intestati a NOME COGNOME -cf. CODICE_FISCALE, sono stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; -i documenti n. NUMERO_CARTA
NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013B00082/2012 anno 2007), NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013D01397/2013 -anno 2008), intestati a NOME COGNOMEcf. DNTDVD71D23F205D, son o stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; – i documenti n. NUMERO_CARTA (relativo all’avviso di accertamento T9D013B00086/2012), NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA (relativi all’avviso di accertamento T9D013D01401/2013 -anno 2008), intestati a BENVEGNU’ RENZA – CODICE_FISCALE, sono stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; -i documenti n. NUMERO_CARTA (partita YPT95IPPN000572014/1 D), NUMERO_CARTA (YPT95IPRN001652015/1 H – avviso di accertamento n. T9502C101013/2012, anno 2008), NUMERO_CARTA (partita YPT95IPRN001642015/1 H) e NUMERO_CARTA (partita ruolo n. Firmato Da: NOME Emesso Da: RAGIONE_SOCIALE QUALIFIED CERTIFICATES CA G1 Serial#: NUMERO_CARTA 3 2015C0019342), intestati a C.I.RAGIONE_SOCIALE -cf. 03899230159, sono stati definiti ai sensi della ‘rottamazione’ di cui al d.l. 193/2016; – i documenti n. NUMERO_CARTA (partita AUT9502C1010132012/1 B), n. NUMERO_CARTA (AUT950BC1010172012/1 B), n. NUMERO_CARTA (YPT95IPPN000582014/1 D) e n. NUMERO_CARTA (intimazione di pagamento n. YPT95IPPN001652015/1H – avviso di accertamento n. T9502C101013/2012 – anno 2008) -sono compresi nell’istanza di definizione agevolata l. 119/2018 ‘Rottamazioneter’ Prot. nr. 2019-ADERISC-4013602 del 30/04/2019, accolta in n. 18 rate. La definizione non si è perfezionata, a causa del pervenimento del pagamento della rata n. 18 pervenuto oltre i termini di legge ≫ .
1.2 Ciò posto, dall’esame dei bollettini di versamento depositati in atti si ricava che la rata n. 18 relativa alla definizione agevolata presentata dalla società di euro 4.584,97, con scadenza 30 novembre 2023, è stata pagata in data 21 febbraio 2024 e che la rata n. 18 relativa alla definizione agevolata di NOMECOGNOME con scadenza 30 novembre 2023, è stata pagata in data 21 febbraio 2024, oltre anche il termine di cinque giorni di tolleranza di cui all’art. 3, comma 14 bis , del decreto legge n. 119 del 2018.
1.3 Deve, dunque, essere dichiarata l’estinzione del giudizio con riferimento agli avvisi di accertamento e alle cartelle di pagamento
impugnati, fatta eccezione per il documento n. NUMERO_CARTA relativo all’avviso di accertamento T9D013D01398/2013 , anno 2008, intestato a NOME COGNOME e per i documenti n. NUMERO_CARTA (partita AUT9502C1010132012/1 B), n. NUMERO_CARTA (AUT950BC1010172012/1 B), n. NUMERO_CARTA (YPT95IPPN000582014/1 D) e n. NUMERO_CARTA, relativi all’ intimazione di pagamento n. YPT95IPPN001652015/1H e all’avviso di accertamento n. T9502C101013/2012 , anno 2008, riguardanti la società CIT di NOME RAGIONE_SOCIALE per i quali la definizione non si è perfezionata, a causa del pagamento delle rispettive rate n. 18 oltre i termini di legge. 2. In via gradatamente preliminare va precisato che, nel caso in esame, non viene in rilievo l’art. 21 bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, introdotto dall’art. 1 del decreto legislativo n. 87 del 2024, rubricato « Efficacia delle sentenze penali nel processo tributario e nel processo di Cassazione » ( 1. La sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l’imputato non lo ha commesso, pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario, ha, in questo, efficacia di giudicato, in ogni stato e grado, quanto ai fatti medesimi. 2. La sentenza penale irrevocabile di cui al comma 1 può essere depositata anche nel giudizio di Cassazione fino a quindici giorni prima dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio. 3. Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell’interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell’ente e società, con o senza personalità giuridica, nell’interesse dei quali ha agito il rappresentante o l’amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati» ), in quanto la sentenza del Tribunale di Monza n. 3671/14, depositata in data 14 novembre 2014 (che peraltro riguarda soltanto la condotta afferente l’indicazione nelle dichiarazioni relative agli anni 2007, 2008 e 2009 di elementi passivi fittizi avvalendosi di fatture per operazioni inesistenti emesse dall’impresa indiv iduale RAGIONE_SOCIALE e dalla
RAGIONE_SOCIALE è stata interamente recepita dalla Commissione tributaria regionale, come emerge a pag. 8 della sentenza impugnata (e di cui di qui a poco si dirà), laddove è stato affermato che la Commissione concordava appieno con quanto appurato e deciso in sede penale ai fini delle imposte dirette.
Passando all’esame dei motivi, il primo mezzo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. per omessa pronuncia su un motivo di appello ritualmente dedotto con il quale era stata denunciata la violazione dell’art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000, in relazione alle dedotte nullità degli avvisi di accertamento per mancata notifica del PVC ai singoli soci e per mancata allegazione dello stesso agli avvisi di accertamento di maggior reddito di partecipazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. Nel caso di specie l’Ufficio non solo non aveva mai inviato il PVC ai singoli soci della società di persone, ma aveva anche notificato l’avviso di accertamento di maggior reddito senza allegarlo, impendendo ai singoli soci illimitatamente responsabili di formulare le proprie osservazioni. Trattandosi, peraltro, di società di persone, il PVC e il conseguente avviso di accertamento producevano conseguenze giuridiche e patrimoniali direttamente sul patrimonio dei soci e non vi era dubbio che un avviso di accertamento emanato senza la previa notifica o l’allegazione del PVC nei confronti dei soci illimitatamente responsabili fosse insanabilmente nullo per difetto di previo contraddittorio nei confronti di tutti i soggetti interessati.
3.1. In disparte il difetto di autosufficienza della censura, laddove la parte ricorrente non trascrive il contenuto degli avvisi di accertamento notificati ai soci e del PVC del 18 giugno 2010, il motivo è infondato, non sussistendo, nel caso di specie, il vizio dedotto di omessa pronuncia.
3.2 Deve richiamarsi, in proposito, l’orientamento di questa Corte secondo cui il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione
di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ., si ha quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass., 26 gennaio 2021, n. 1616; Cass., 27 novembre 2017, n. 28308).
3.3 Inoltre, secondo costante giurisprudenza, « ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia » (Cass., 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass., 10 maggio 2007, n. 10696; Cass., 26 novembre 2013, n. 26397; Cass., 18 giugno 2018, n. 15936).
3.4 Anche di recente, questa Corte ha affermato che « Non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto
non preso in considerazione » (cfr., da ultimo, Cass., 12 aprile 2022, n. 11717; Cass., 6 novembre 2020, n. 24953; Cass., 29 luglio 2004, n. 14486).
3.5 Ciò posto, nella vicenda in esame, non si ravvisa alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. , in quanto il rigetto dell’eccezione proposta è implicito nella costruzione logico-giuridica della sentenza impugnata, che ha ritenuto l’appello parzialmente fondato nel merito, così accogliendo una tesi incompatibile con l’eccezione proposta.
3.6 Peraltro, il motivo è pure infondato sotto altro profilo, dovendosi richiamare sul punto la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In tema di imposte sui redditi, l’obbligo di motivazione degli atti tributari, come disciplinato dall’art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, e dall’art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, è soddisfatto dall’avviso di accertamento dei redditi del socio che rinvii “per relationem” a quello riguardante i redditi della società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2261 cod. civ., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti » Cass., 2 ottobre 2020, n. 21126; Cass., 28 giugno 2019, n. 17463; 4 giugno 2018, n. 14275; Cass., 7 luglio 2017, n.16914; Cass., 28 novembre 2014, n. 25296, richiamata anche dalla difesa erariale).
Il secondo motivo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 109, comma 2, del d.P.R. 917/86 ritualmente dedotta in appello, sui costi non di competenza, anni d’imposta 2007 e 2008, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Premesso l’errore materiale dato che dal PVC emergeva che i costi non deducibili erano euro 81.548,00 nel 2007 ed euro 4.039,00 nel 2008, mentre non rilevavano le ulteriori voci di euro 4.039,00 ripetuta nel 2007 e quella di euro 3120,72 nel 2008, la Commissione tributaria regionale aveva semplicemente aderito alle valutazioni dell’Ufficio secondo cui la contabilizzazione dei
costi (tutti documentati) in contestazione era illegittima poiché arbitraria e oggetto di una alterazione della veritiera rappresentazione economica e tributaria della società per l’esercizio 2007 e 2008. La società, invece, come detto in primo grado e in appello, aveva fatto corretta applicazione dell’art. 109, comma secondo, punto b), T.U.I.R., tenendo conto della data in cui le prestazioni erano state ultimate e che il requisito della certezza andava inteso in senso economico e non giuridico, avuto riguardo al momento in cui i ricavi ed i costi si consideravano definitivamente formati. I giudici di secondo grado, inoltre, non avevano fatto corretta applicazione dell’onere della prova, essendo state le spese contestate tutte documentate e astrattamente riconducibili all’esercizio dell’impresa come si evinceva dall’elenco alle pagine 1013 del PVC e non avendo l’Ufficio provato in giudizio, come era suo onere, la non inerenza in concreto all’attività della società contribuente.
Il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 111 Cost. e dell’art. 101 cod. proc. civ. sui costi non documentati per euro 192.682.00, anno di imposta 2007, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.. Ancora una volta la sentenza impugnata riproduceva pedissequamente il contenuto dell’avviso di accertamento senza alcuna indagine critica che tenesse conto che lo stesso Ufficio aveva omesso di allegare il conto relativo ai costi oggetto dell’addebito, come già rilevato con censura riguardante la violazione del contraddittorio.
Il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. sul rilievo relativo all’anno d’imposta 2008 (lavorazione terzi per euro 400.000,00 e ricavi di competenza anno 2009 per euro 700.000,00) per omesso esame della documentazione allegata sub doc. 13 e doc. 14 posta a fondamento del diritto fatto valere e decisiva ai fini del giudizio, ex art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.; la violazione degli artt. 115 e/o 116 cod. proc. civ., per omessa valutazione di documenti allegati sub doc. 13 e doc. 14, decisivi ai fini della
decisione, ex art. 360, comma primo, n. 4, cod. proc. civ.; l’omessa valutazione di documenti decisivi, allegati sub doc. 13 e doc. 14, ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.. L’esame della suddetta documentazione era decisivo ed avrebbe condotto i giudici di secondo grado a ritenere la contestazione dell’Ufficio priva di fondamento. Dalla documentazione allegata in primo grado, non contestata dall’Ufficio, sub doc. n. 13 si evinceva che la società contribuente operava prevalentemente con società e sulla base di contratti di manutenzione di impianti di durata pluriennale, la cui esecuzione era necessariamente effettuata nei periodi di chiusura degli stabilimenti. I costi relativi a tale attività non erano facilmente determinabili in modo preciso nell’ambito delle fatture fornitori, in particolare in quelle relative alle attività svolte dagli artigiani, per cui nelle fatture ricevute dagli artigiani e dai fornitori di materiali non era esattamente quantificabile la quota di costo di competenza di un anno o l’altro perché la tipologia dell’attività di manutenzione era a carattere continuativo. Analoghe considerazioni valevano in relazione al rilievo del costo per «lavorazioni terzi» per euro 400.000,00 imputati al 2008 anziché, secondo l’Ufficio, al 200 9. L’Ufficio, inoltre, in modo contraddittorio, nell’avviso di accertamento relativo al 2009, non aveva rettificato le risultanze ai fini Iva, Irap per la società ed ai fini Irpef e addizionali per i soci in tale esercizio.
6.1 Il secondo, terzo e quarto motivo, che vanno trattati unitariamente perché connessi, sono inammissibili, in quanto le censure formulate, sebbene denuncino, formalmente, una assenza di motivazione ed una violazione di legge, oltre che l’omesso esame di documenti, involgano esclusivamente questioni di merito.
6.2 In proposito, questa Corte ha affermato il principio secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per
il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
6.3 Ed invero la valutazione delle prove raccolte, anche se si tratta di presunzioni, costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito (Cass., 19 luglio 2021, n. 20553) e il giudizio di merito condotto dai giudici di secondo grado sulla valutazione delle prove, sia pure presuntive, non può essere revisionato in questa sede, tenuto conto del principio di diritto secondo cui: « Con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione » (Cass., 26 ottobre 2021, n. 30042).
6.4 E sotto questo specifico profilo trova applicazione, nel caso in esame, la previsione di cui all’art. 348 ter , quinto comma, cod. proc. civ., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la sentenza di appello fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto, poste a base della decisione impugnata, non avendo, peraltro, la società ricorrente specificato in
ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass., 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439); inoltre, la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata nell’affermare che il novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che, oltre ad avere carattere decisivo, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti; che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie e che neppure il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito dà luogo ad un vizio rilevante ai sensi della predetta norma (Cass., 23 agosto 2023, n. 25124; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., Sez., 7 aprile 2014, n. 8053).
6.5 Parimenti è inammissibile la censura formulata ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., ciò in base al principio secondo cui, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., bensì un errore di valutazione dei fatti, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti
consentiti dall’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (da ultimo, Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940; Cass., 6 aprile 2018, n. 8473).
6.6 La sentenza impugnata, in disparte l’asserito errore materiale sui costi non deducibili indicati (euro 4.039,00 nel 2007 e euro 3120,72 nel 2008), ha ritenuto che non fossero sussistenti i requisiti richiesti dall’art. 109 del d.P.R. n. 917 del 1986 ai fi ni della deducibilità dei costi e delle spese e, a fronte di ciò, la parte ricorrente, assumendo che, invece, era stata fatta corretta applicazione dell’art. 109, comma secondo, punto b), T.U.I.R., ha richiamato genericamente la documentazione di cui agli allegati 13 e 14, senza mai specificare, tuttavia, il contenuto di tali documenti, limitandosi ad affermare che la società contribuente operava prevalentemente sulla base di contratti di manutenzione di impianti di durata pluriennale, la cui esecuzione era necessariamente effettuata nei periodi di chiusura degli stabilimenti e che i costi relativi a tale attività non erano facilmente determinabili in modo preciso nell’ambito delle fatture fornitori, in particolare in quelle relative alle attività svolte dagli artigiani e che analoghe considerazioni valevano in relazione al rilievo del costo per «lavorazioni terzi» per euro 400.000,00 imputati al 2008 anziché, secondo l’Ufficio, al 2009.
7. Il quinto motivo deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 19, comma 1 e 21, comma 7, del d.P.R. n. 633/72, dell’art. 8 della legge n. 212/2012 e dell’art. 17 del decreto legislativo n. 241/1997, sulle riprese ai fini Iva, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. Nonostante la Commissione tributaria regionale aveva accertato l’esistenza e la realizzazione di tutte le forniture fatturate da RAGIONE_SOCIALE nel 2007, 2008 e 2009, la stessa Commissione di secondo grado, in palese violazione delle norme che consentivano la detrazione dell’imposta sul valore aggiunto
sussistendone come nel caso in esame i relativi presupposti, avevano confermato erroneamente le riprese ai fini IVA.
7.1 Il motivo è fondato.
7.2 Deve premettersi che il presupposto di applicabilità dell’art. 21, settimo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972 è che le fatture siano emesse per operazioni inesistenti e questa Corte, al riguardo, ha affermato che « In tema di I.V.A., l’art. 21, settimo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633, ai sensi del quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene considerato “fuori conto” e la relativa obbligazione “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, senza che possa operare, per tale fatto, il meccanismo di compensazione, tra I.V.A. “a valle” ed I.V.A. “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 del d.P.R. citato, e ciò anche in considerazione della rilevanza penale della condotta consistente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti » (Cass., 27 gennaio 2014, n. 1565; Cass., 6 luglio 2018, n. 17774) ed ancora che « In tema d’IVA, l’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo » (Cass., 14 settembre 2016, n. 18118; Cass., 18 ottobre 2021, n. 28628) .
7.3 Inoltre questa Corte ha anche affermato il principio secondo cui la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta
che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta che risulti da dichiarazioni periodiche e da regolari versamenti e sia richiesta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, deve essere riconosciuta dal giudice tributario, qualora il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; nel qual caso, nel giudizio di impugnazione della cartella emessa a seguito di controllo formale automatizzato, non può essere negato il diritto alla detrazione se venga dimostrato in concreto che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass., Sez. U., 8 settembre 2016, n. 17757; Cass., 16 luglio 2020, n. 15143; Cass., 3 aprile 2018, n. 8131) e che è consentito l’esercizio della detrazione in caso di mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ove il contribuente dimostri che il diritto alla detrazione sia stato esercitato entro il termine di decadenza previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322/1998 (Cass., 27 luglio 2018, n. 19938; Cass., 3 aprile 2018, n. 8131 e, più di recente, Cass., 1 febbraio 2023, n. 3066, in motivazione).
7.4 Come è stato di recente precisato da questa Corte, si tratta di una giurisprudenza conforme alla costante giurisprudenza dell’Unione, secondo cui il principio di neutralità dell’IVA esige che la detrazione o il rimborso dell’IVA a monte sia concesso anche se taluni requisiti formali siano stati omessi dai soggetti passivi, purché vengano comunque soddisfatti i requisiti sostanziali (Corte di Giustizia UE, 8 dicembre 2022, RAGIONE_SOCIALE, C-247/21, punto 59; Corte di Giustizia UE, 21 ottobre 2021, NOME COGNOME France, C-80/20, punto 76; Corte di Giustizia UE, 19 aprile 2018, Firma NOME COGNOME, C-580/16,
punti 50 e 51; Corte di Giustizia UE, 27 settembre 2007, Collée, C146/05, punto 31).
7.5 La Corte di giustizia, in particolare, ha rilevato che « il diritto di detrarre l’Iva fatturata è connesso, come regola generale, all’effettiva realizzazione di un’operazione imponibile e l’esercizio di tale diritto non si estende all’Iva dovuta…esclusivamente per il fatto di essere indicata in fattura » (Corte giustizia, 31 gennaio 2013, C 643/11, punto 34; C563/03, NOME COGNOME, punti 24 e 25; Corte giustizia, 15 marzo 2007, C-35/05, Reemtsma Cigarettenfabriken, punto 23). Occorre, dunque, che « i beni o servizi invocati a base del diritto -di detrazione- siano utilizzati a valle dal soggetto passivo ai fini delle proprie operazioni soggette ad imposta e che a monte detti beni o servizi siano forniti da altro soggetto passivo » (Corte giustizia, 6 dicembre 2012, C-285/11, Bonik RAGIONE_SOCIALE, punto 29; Corte giustizia, 6 settembre 2012, C-342/11, Toth, punto 26 e, in termini, Cass. 13 marzo 2013, n. 6229).
7.6 Sono principi posti a fondamento anche dall’art. 19, primo comma, del d. P.R. n. 633 del 1972, che configura come presupposto della detrazione dell’Iva l’effettuazione di un’operazione. Il principio di neutralità che governa il sistema dell’Iva, difatti, richiede che l’imposta sia versata a chi ha eseguito operazioni imponibili, perché la compensi con l’imposta a sua volta corrisposta per l’acquisto di beni e servizi, di guisa che l’Erario acquisisce, ad ogni passaggio del ciclo produttivodistributivo, soltanto l’eventuale differenza tra l’imposta sulle operazioni attive e quella sugli acquisti, ossia l’importo maturato a debito del soggetto passivo obbligato, nella periodica sommatoria di Iva a credito ed a debito (Cass. 14 dicembre 2012, n. 23074; Cass. 13 marzo 2013, n. 6229; Cass., 15 maggio 2013, n. 11667).
7.7 La sentenza impugnata, avendo affermato la non detraibilità dell’IVA, per la carenza di approntamento dell’ordinaria diligenza da effettuarsi nei confronti del fornitore, non è conforme ai principi suesposti (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
8. Il sesto mezzo deduce la violazione o falsa applicazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.. La sentenza impugnata aveva omesso ogni pronuncia sulle domande ed eccezioni svolti dai ricorrenti in tutti e tre i ricorsi in appello n. 4205/14, n. 4215/14 e n. 4299/14 (alle pagine 13 e segg.) relative al fatto che l’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986 non aveva come presupposto d’imposta l’accertamento da parte dell’Ufficio di un maggior reddito a carico di una società di persone oggetto di contestazione; la formulazione della norma non conteneva alcun riferimento a tale ipotesi e, pertanto, la sua applicazione analogica da parte dell’Ufficio era invalida ed illegittima.
8.1 In disparte, la contraddittorietà della censura che richiama il n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., e poi lamenta l’omessa pronuncia da parte dei giudici di secondo grado, il motivo è infondato, dovendosi richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui « In materia tributaria, l’unitarietà dell’accertamento che è alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni di cui all’art. 5 D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla società riguarda inscindibilmente sia la società che tutti i soci (salvo che si prospettino questioni personali), sicché tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi. La controversia infatti non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilità di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno
soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 14 D.L.gs, n. 546 del 1992 ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari è affetto da nullità assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio » (Cass., 10 maggio 2023, n. 12590; Cass., 20 dicembre 2022, n. 37356; Cass., 22 novembre 2021, n. 36001; Cass., 8 luglio 2020, n. 14227).
8.2 Più specificamente, « il litisconsorzio necessario originario che, nel caso di rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni ex art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 817, sussiste tra la società e tutti i soci della stessa in ragione dell’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica e della conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio (proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi), ricorre anche nei confronti del socio accomandante di una società in accomandita semplice, incidendo l’accertamento in rettifica della dichiarazione anche sull’imputazione dei redditi di costui, indipendentemente dal profilo della responsabilità (limitata alla quota conferita o illimitata) » (Cass., 23 dicembre 2014, n. 27337, richiamata anche dalla difesa erariale).
8.3 Dunque, il presupposto della pretesa impositiva nei confronti del socio non è la formazione di un accertamento definitivo nei confronti della società, ma il fatto storico dell’esistenza di redditi della società non dichiarati, in quanto per le società di persone vige il «principio di trasparenza», in base al quale i redditi delle società di persone sono imputati a ciascun socio, indipendentemente dalla percezione e proporzionalmente alla propria quota di partecipazione agli utili ; l’art. 5 del d.P.R n. 917 del 1986 impone, quindi, l’imputazione per trasparenza del reddito della società ai soci a prescindere dalla effettiva percezione.
Per le ragioni di cui sopra, va accolto il quinto motivo e vanno rigettati i restanti; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte dichiara estinto il giudizio con riferimento agli avvisi di accertamento e alle cartelle di pagamento impugnati, fatta eccezione per il documento n. NUMERO_CARTA relativo all’avviso di accertamento T9D013D01398/2013, anno 2008, intestato a NOME COGNOME e per i documenti n. NUMERO_CARTA (partita AUT9502C1010132012/1 B), n. NUMERO_CARTA (AUT950BC1010172012/1 B), n. NUMERO_CARTA (YPT95IPPN000582014/1 D) e n. NUMERO_CARTA), relativi all’intimazione di pagamento n. YPT95IPPN001652015/1H e all’avviso di accertamento n. T9502C101013/2012, anno 2008, intestato alla società RAGIONE_SOCIALE
La Corte accoglie il quinto motivo e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 6 novembre 2024.
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME