Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5486 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 5486 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9586/2018 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio digitale presso il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 3678/2017, depositata il 20 settembre 2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 dicembre 2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Con l’avviso di accertamento impugnato, l’Ufficio contestava alla RAGIONE_SOCIALE l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta della contabilità obbligatoria, recuperando a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, componenti positivi di reddito non dichiarati, così come determinati in base ai dati e alle notizie raccolti dalla Guardia di Finanza nel corso della verifica fiscale condotta in riferimento agli anni 2010-2013, per le quali RAGIONE_SOCIALE risultava essere evasore totale, i cui esisti venivano compendiati nel processo verbale di constatazione notificato in data 4 dicembre 2015. In considerazione della mancata esibizione delle scritture contabili, l’Ufficio procedeva alla ricostruzione induttiva dei ricavi. In particolare, il totale dei ricavi accertati in relazione al 2010, pari a euro 181.960,41, era utilizzato ai fini del calcolo della maggiore IVA dovuta, determinata in euro 36.392,08, dalla qu ale veniva scomputata l’imposta già versata dalla società pari a euro 3.523,17.
Avverso l’atto impositivo presentava ricorso la contribuente, evidenziando, con riguardo all’IVA, la mancata detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti per euro 26.604,72, così come documentata nelle fatture passive.
Si costituiva in giudizio l’Ufficio ribadendo la correttezza del proprio operato.
Con sentenza n. 1705/13/2017, il giudice di prime cure rigettava il ricorso della società, condannandola alla rifusione delle spese di lite.
-Avverso tale pronuncia interponeva appello la RAGIONE_SOCIALE
La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con la sentenza n. 3678/2017, depositata il 20 settembre 2017, rideterminava in parte le pretese dell’Agenzia delle Entrate, confermando la maggiore IVA accertata. Il giudice d’appello compensava le spese.
-Avverso tale pronuncia la RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione affidandolo a tre motivi.
L’ Agenzia delle entrate si è costituita con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato una comunicazione relativa alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo di ricorso si deduce -ex art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. -l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e, segnatamente, della prova che i fornitori di RAGIONE_SOCIALE erano soggetti IVA, così come risultante dall’all. 4 al processo verbale di constatazione prodotto in allegato al ricorso n. 5530/16 presso la Commissione tributaria provinciale Milano e al ricorso n. 1812/2017 presso la Commissione tributaria regionale Milano. La Commissione tributaria regionale ha respinto la domanda avanzata dalla ricorrente ritenendo irrilevante la circostanza che la Guardia di Finanza abbia accertato costi per euro 154.079, poiché di detti costi non è noto se i fornitori erano soggetti IVA. L’affermazione sarebbe del tutto errata e discende dall’omesso esame dell’allegato 4 al processo verbale di constatazione. La ricorrente evidenzia che sin dall’atto introduttivo del procedimento avanti alla Commissione tributaria provinciale ha precisato che venga riconosciuta in detrazione l’IVA delle fatture dei costi, così come indicate nell’allegato 4 del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza per un importo, quindi, pari a euro 26.604,72.
Con il secondo motivo di ricorso si deduce ex art. 360, co. 1, n. 4 cod. proc. civ. -la violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4 cod. proc. civ. per la manifesta contraddittorietà intrinseca della sentenza nella parte in cui da un lato afferma che tutte le operazioni attive della RAGIONE_SOCIALE debbano ritenersi imponibili IVA, dall’altro ritiene
di non poter portare in detrazione I’IVA passiva in quanto non sarebbe stato provato che i costi sostenuti da RAGIONE_SOCIALE siano stati utilizzati ai fini di operazioni imponibili.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce ex art. 360, co. 1, n. 3, cod. proc. civ. -la violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633/1972 e del principio comunitario di neutralità dell’IVA per aver escluso la detraibilità di tutti i costi IVA sostenuti dalla società in relazione alle operazioni passive effettuate, laddove tutte le operazioni attive della società sono state considerate imponibili. Secondo la Corte non sarebbe possibile la detrazione dell’IVA portata dalle fatture passive non essendovi la prova che detti costi erano stati utilizzati ai fini delle proprie fatture imponibili. Tuttavia, sia l’Agenzia delle entrate sia la Commissione tributaria regionale (nel confermare la correttezza dell’imposta IVA accertata dall’Ufficio) avrebbero ritenuto che tutte le operazioni attive effettuate dalla RAGIONE_SOCIALE fossero imponibili IVA. In tal modo, la sentenza conterrebbe una contraddizione intrinseca e manifesta. Dall’altro, la Corte territoriale sarebbe incorsa nella violazione dell’art. 19 d.P.R. n. 633/1972 e del principio comunitario di neutralità dell’IVA, ricorrendo tutti i requisiti indicati dalla Suprema Corte per la detrazione dell’IVA.
1.1. -I motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In tema di I.V.A., ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972, l’inottemperanza del contribuente all’obbligo della dichiarazione annuale rende legittimo l’accertamento induttivo da parte dell’Ufficio – il quale può desumere i dati per la ricostruzione del giro d’affari del contribuente da qualunque elemento a sua conoscenza, ivi compresa la dichiarazione tardivamente presentata da quest’ultimo -e preclude che l’imposta versata sugli acquisti di beni e servizi nel periodo dell’omessa dichiarazione possa essere detratta, se non risulti dalle dichiarazioni periodiche, essendo irrilevante che il pagamento di tali imposte sia evincibile da altra documentazione,
inclusa la contabilità d’impresa (Cass., Sez. VI-5, 20 gennaio 2016, n. 1020).
Ai fini della detrazione di un costo, la prova dell’inerenza del medesimo quale atto d’impresa, ossia dell’esistenza e natura della spesa, dei relativi fatti giustificativi e della sua concreta destinazione alla produzione quali fatti costitutivi su cui va articolato il giudizio di inerenza, incombe sul contribuente in quanto soggetto gravato dell’onere di dimostrare l’imponibile maturato (Cass., Sez. V, 17 luglio 2018, n. 18904).
Il primo e il terzo motivo di doglianza risultano inammissibili, non avendo parte ricorrente dedotto elementi utili per ritenere esistenti le operazioni oggetto di accertamento presuntivo, dovendo il contribuente provare – ai fini della detrazione dell’IVA – che i costi siano stati utilizzati per operazioni imponibili, non essendo sufficiente, a tal fine, che i fornitori fossero esistenti. L’IVA, infatti, non può essere detratta in via presuntiva, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo contenuto dell’allegato 4 al processo verbale di constatazione.
Non sussiste, inoltre, alcuna contraddittorietà così come prospettata nel secondo motivo, giacché diverso è il regime delle imposte dirette rispetto all’IVA, per cui il calcolo dei costi, in caso di ricostruzione induttiva dei ricavi, ai fini della determinazione dell’IRES dovuta non determina di per sé l’automatica detrazione dell’IVA .
Va dunque formulato il seguente principio di diritto:
« In caso di ricostruzione induttiva dei ricavi – effettuata in sede di verifica che ha accertato l’omessa presentazione delle dichiarazioni fiscali e l’omessa tenuta della contabilità obbligatoria, dando luogo al recupero a tassazione, ai fini delle imposte dirette e dell’IVA, di componenti positivi di reddito non dichiarati – i costi determinati in base ai dati e alle notizie raccolte nel corso della verifica fiscale per le imposte dirette, essendo deducibili anche in
misura forfetaria a seguito delle sentenze della Corte costituzionale n. 225/2005 e n. 10/2023, non possono essere riconosciuti in via automatica ai fini della detraibilità dell’IVA, essendo diversi gli elementi costitutivi delle due imposte ed essendo onere del contribuente provare, ai fini della loro detrazione, che i costi siano riferibili a operazioni imponibili esistenti ».
2. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore del l’Agenzia delle Entrate in euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione