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Detrazione IVA immobili: quando è legittima?

Una società immobiliare ha acquistato un complesso edilizio per ristrutturarlo, portando in detrazione l’IVA. L’Agenzia delle Entrate ha contestato la detrazione IVA, sostenendo che la vendita fosse esente in quanto i lavori non erano ancora sostanzialmente iniziati. La Corte di Cassazione ha dato ragione all’ente impositore, stabilendo che senza un effettivo e avanzato stato dei lavori di ristrutturazione al momento della cessione, l’operazione è esente da IVA e, di conseguenza, la detrazione dell’imposta è illegittima.

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Pubblicato il 16 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e compravendita immobiliare: la linea sottile tra lavori iniziati e opere ultimate

La detrazione IVA rappresenta un pilastro del sistema fiscale per le imprese, specialmente nel settore immobiliare. Tuttavia, la sua applicazione nella compravendita di immobili oggetto di ristrutturazione è soggetta a regole precise. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: per poter applicare l’IVA sulla cessione di un fabbricato strumentale da parte dell’impresa che ha eseguito interventi di recupero, è necessario che tali lavori siano stati non solo iniziati, ma abbiano raggiunto un livello di attuazione tale da non lasciare dubbi sulla loro consistenza. In caso contrario, l’operazione è esente da IVA e la relativa imposta non può essere detratta dall’acquirente.

I fatti del caso: un acquisto immobiliare con IVA contestata

Una società immobiliare acquistava un vasto complesso edilizio con l’intento di ristrutturarlo. Al momento dell’acquisto, la società acquirente versava l’IVA alla società venditrice e procedeva alla relativa detrazione. L’Agenzia delle Entrate, a seguito di un controllo, emetteva un avviso di accertamento recuperando l’importo di oltre 580.000 euro, sostenendo che l’operazione di compravendita fosse in realtà esente da IVA. Secondo l’Ufficio, la società venditrice non aveva ancora iniziato alcun intervento di ristrutturazione significativo prima della stipula del rogito. L’operazione, inoltre, appariva elusiva, in quanto l’interposizione della società venditrice sembrava finalizzata unicamente ad assoggettare ad IVA una vendita che, se effettuata direttamente dai proprietari originari, ne sarebbe stata esente. La Commissione Tributaria Regionale accoglieva le ragioni dell’Agenzia, e la società acquirente ricorreva in Cassazione.

La questione del raddoppio dei termini di accertamento

Uno dei primi motivi di ricorso della società riguardava la presunta tardività dell’avviso di accertamento. La contribuente sosteneva che l’Agenzia avesse superato i termini ordinari di decadenza. La Cassazione ha rigettato questa doglianza, confermando la legittimità del raddoppio dei termini di accertamento. I giudici hanno chiarito che, in presenza di seri indizi di un reato tributario (come in questo caso, data l’entità dell’imposta e le complesse modalità dell’operazione), scatta per l’ufficio l’obbligo di denuncia penale. Tale obbligo, a sua volta, giustifica il raddoppio dei termini per l’accertamento fiscale, indipendentemente dall’effettivo esito del procedimento penale.

Garanzie procedurali: accesso, PVC e diritto al contraddittorio

La società lamentava anche vizi procedurali, in particolare la violazione del diritto al contraddittorio per la mancata redazione di un Processo Verbale di Constatazione (PVC) a chiusura della verifica. La Corte ha ritenuto infondati anche questi motivi. Ha precisato che, quando l’attività dell’amministrazione si limita a un accesso presso la sede del contribuente finalizzato alla sola acquisizione di documenti (controllo “a tavolino”), non è necessario un PVC dettagliato. È sufficiente un verbale di accesso che documenti le operazioni compiute. La consegna di tale verbale fa decorrere il termine dilatorio di 60 giorni, durante il quale il contribuente può presentare le proprie osservazioni, garantendo così il suo diritto al contraddittorio prima dell’emissione dell’atto impositivo.

Il cuore della controversia: la detrazione IVA e lo stato dei lavori

Il punto centrale della decisione riguarda l’applicazione dell’art. 10, n. 8-ter, del D.P.R. 633/1972. Questa norma prevede che la cessione di fabbricati strumentali sia esente da IVA, a meno che non sia effettuata entro un certo termine dall’ultimazione della costruzione o di importanti interventi di recupero (restauro, risanamento, ristrutturazione) da parte dell’impresa cedente. La Corte di Cassazione ha confermato l’interpretazione rigorosa della norma: per escludere l’esenzione e applicare l’IVA, non è sufficiente aver semplicemente “avviato” il cantiere con opere propedeutiche. È necessario che gli interventi di trasformazione abbiano raggiunto un livello di consistenza tale da essere chiaramente identificabili e irreversibili. Nel caso di specie, le attività svolte prima della vendita (come il posizionamento di una gru o la pulizia dell’area) sono state ritenute insufficienti a dimostrare un inizio effettivo dei lavori di ristrutturazione. Di conseguenza, l’operazione doveva considerarsi esente da IVA, rendendo illegittima la detrazione IVA effettuata dall’acquirente.

Le motivazioni della Corte si basano sulla necessità di un accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, sullo stato di avanzamento dei lavori. La Commissione Tributaria Regionale aveva correttamente concluso che, alla data del rogito, i lavori non erano neppure iniziati. Pertanto, la cessione rientrava pienamente nel regime di esenzione IVA, con conseguente assoggettamento all’imposta di registro. Il principio affermato è chiaro: se i lavori di ristrutturazione non sono completati (o, come in questo caso, non sono neanche sostanzialmente iniziati) dal cedente al momento della vendita, l’atto è esente da IVA.

Le conclusioni della Suprema Corte offrono importanti spunti pratici per gli operatori del settore immobiliare. La sentenza sottolinea l’importanza di poter documentare con certezza lo stato di avanzamento dei lavori di ristrutturazione al momento della compravendita di un immobile. Attività meramente preparatorie o preliminari non sono sufficienti per assoggettare l’operazione a IVA e consentire la successiva detrazione da parte dell’acquirente. Viene inoltre confermata la validità del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di indizi di reato fiscale e si chiarisce che il diritto al contraddittorio è garantito dal termine di 60 giorni che decorre dalla consegna del verbale di accesso, anche in assenza di un formale PVC.

Quando la cessione di un immobile in ristrutturazione è esente da IVA?
Secondo la Corte, la cessione di un fabbricato è esente da IVA se, al momento della vendita, i lavori di ristrutturazione, restauro o risanamento conservativo non sono stati completati o non hanno raggiunto un livello di attuazione tale da escludere ogni dubbio sulla loro consistenza. Attività meramente preparatorie non sono sufficienti.

Il termine di 60 giorni per l’emissione dell’avviso di accertamento decorre anche dalla consegna di un semplice verbale di accesso?
Sì. La Corte ha stabilito che anche in caso di accesso mirato alla sola acquisizione di documenti, il rilascio di copia del verbale che chiude le operazioni in loco fa decorrere il termine dilatorio di 60 giorni, durante il quale l’Ufficio non può emettere l’avviso di accertamento. Questo garantisce il diritto del contribuente al contraddittorio.

In quali casi i termini per l’accertamento fiscale possono essere raddoppiati?
I termini ordinari di accertamento sono raddoppiati quando sussistono seri indizi di un reato fiscale che comportano l’obbligo di denuncia penale per l’amministrazione finanziaria. Il raddoppio si applica indipendentemente dalla presentazione effettiva della denuncia o dall’esito del successivo procedimento penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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