Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 7164 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 7164 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8363/2016 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente-
contro
AZIENDA RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , COGNOME NOME e COGNOME NOME, rappresentati e difesi dell’avvocato NOME COGNOME, presso il cui studio sono elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte n. 937/2015, depositata il 25 settembre 2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-In data 11 novembre 2011 l’Agenzia delle entrate notificava alla società RAGIONE_SOCIALE un avviso di accertamento con il quale procedeva a tassazione di maggiori imponibili, in punto di imposte dirette e IVA, sulla base dei seguenti rilievi:
recupero dell’IVA sull’acquisto d i due unità abitative comprese nei fabbricati a uso suinicolo, sulla scorta del disposto dell’art . 19 bis 1, lett. i), d.P.R. 633/1972, che prevede l’ indetraibilità oggettiva dell’imposta relativa all’acquisto di fabbricati o porzioni di fabbricato a destinazione abitativa;
individuazione, ai fini delle imposte dirette, dell’effettivo reddito imponibile della società in euro 77.039, sulla scorta dello Studio di settore pertinente all ‘ attività dell ‘ ente (Studio TG40U, ‘Locazione di beni immobili’) ;
recupero della quota di ammortamento relativa al valore delle unità abitative, in quanto ricadenti nel novero degli immobili patrimoniali, con conseguente applicazione dell’art. 90 , comma 2, T.U.I.R. (ai sensi del quale le spese e gli altri componenti negativi relativi agli immobili patrimoniali non possono essere ammessi in deduzione);
recupero a tassazione dell’importo di euro 3.700, corrispondente alla quota di deduzione del 20%, nell’anno 2006, del valore della fattura di saldo concernente lavori eseguiti sui capannoni del complesso suinicolo, contabilizzata al conto di mastro come ‘Costi pluriennali da ammortizzare’ , come se si trattasse di una spesa relativa a più esercizi ex art. 108 comma 3 T.U.I.R.; laddove, invece, la precedente fattura di acconto n. 107/2006 di euro 20.000,
concernente i medesimi lavori (e stornata nella fattura di saldo), era stata imputata quale incremento di valore dell’immobile, con iscrizione in un diverso conto di mastro, e con deduzione del 3% (ammortamento) sull’imponibile; l’Ufficio rilevava che le lavorazioni eseguite sui capannoni, essendo tese a incrementare il valore degli immobili (giusta la descrizione della fattura di saldo, stornante la precedente fattura di acconto), non potevano generare costi deducibili ai sensi dell’art. 108, comma 3, T.U. I.R.
Successivamente, l’Ufficio procedeva a notificare ai soci gli avvisi di accertamento relativi al maggior reddito da partecipazione scaturente, in capo ad essi, a seguito dell’accertamento a carico della società. In particolare, poiché la compagine sociale di RAGIONE_SOCIALE nell’anno 2006 era costituita da NOME COGNOME (quota 20%), e dalla RAGIONE_SOCIALE (costituita a sua volta dai soci NOME COGNOME – quota 66,67% – e NOME COGNOME – quota 33,33%), l’ Ufficio notificava alla RAGIONE_SOCIALE S.S. l’ avviso n. T7S021203265/2011 con il quale, a seguito dell’accertamento del maggior reddito, determinava ai sensi dell’art. 41 bis d.P.R. 600/1973 la riduzione della perdita fiscale da essa dichiarata per l’annualità 2006 .
In data 28 novembre 2011, l’Ufficio notificava a NOME e NOME COGNOME gli avvisi di accertamento numero T7S011203462/2011 e T7S011203473/2011, con i quali accertava in capo ad essi, ai sensi dell’art. 41 bis d.P.R. 600/1973, il maggior reddito da partecipazione rilevante ai fini IRPEF, scaturente dall’accertamento a carico della società RAGIONE_SOCIALE
Infine, in data 21 dicembre 2011, l’Ufficio notificava alla RAGIONE_SOCIALE l’ atto di contestazione n. T7SCO1202136/2011 con il quale, sulla scorta del rilievo di cui al precedente avviso di accertamento afferente alla non operatività della società accertata, rilevava che il credito IVA risultante dalla dichiarazione della società contribuente relativa all’anno d’imposta 2006 non poteva essere
chiesto a rimborso, né utilizzato in compensazione, alla stregua della disciplina delle società non operative (art. 30 l. 724/1994), così irrogando la sanzione prevista dall’art. 13 d.lgs. 471/1997.
Fallito il tentativo di accertamento con adesione, RAGIONE_SOCIALE e i soci NOME e NOME COGNOME proponevano ricorso cumulativo avverso gli atti impositivi citati (con esclusione dell’avviso notificato alla RAGIONE_SOCIALE e l’atto di irrogazione delle sanzioni.
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto del ricorso.
Con sentenza n. 126/01/2012, la Commissione tributaria provinciale di Cuneo dichiarava l’inammissibilità per tardività del ricorso avverso l’atto di contestazione delle sanzioni n. T7SCO1202136/2011 e, quanto agli avvisi di accertamento, accoglieva il ricorso relativamente ai rilievi 1) e 3), dichiarando le unità abitative comprese nei fabbricati in questione come pertinenziali e quindi riconoscendo la detraibilità dell’IVA e del relativo ammortamento, e respingendo le ulteriori censure.
-Avverso tale sentenza, proponeva appello l’Agenzia delle entrate.
I contribuenti si costituivano proponendo appello incidentale.
Con sentenza n. 937/01/2015, la Commissione tributaria regionale di Torino, previa declaratoria della definitività dell’atto di irrogazione delle sanzioni T7SCO1202136/2011, ha respinto l’appello dell’Ufficio e accolto quello dei contribuenti.
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.
La società contribuente e i soci si sono costituiti con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 19 bis 1, lett. i), d.P.R. 633/1972 e dell’art . 9 d.l. 557/1993, convertito dalla l. 133/1994, in relazione all’art . 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. Al riguardo, si evidenzia che l ‘art. 19 bis 1, lett. i) detta un’ipotesi di indetraibilità oggettiva dell’IVA, con profili di disciplina afferenti anche alla connotazione soggettiva del contribuente. In particolare, quanto all’aspetto oggettivo, la norma dispone che ‘non è ammessa in detrazione l’imposta relativa all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa”. L ‘unica modalità riconosciuta dall’ordinamento giuridico, idonea ad attestare in maniera oggettiva la ‘destinazione abitativa’ di un immobile, sarebbe data dalla rilevanza catastale dell’immobile e non dalla destinazione d’uso dello stesso, che costituisce variabile mutevole. Quanto all’aspetto soggettivo, l’art. 19 bis 1 lett. i) dispone che l’IVA non è ammessa in detrazione salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati o delle predette porzioni. La disposizione non si applica per i soggetti che esercitano attività che danno luogo ad operazioni esenti di cui al n. 8) dell ‘ articolo 10 che comportano la percentuale di detrazione a norma dell’art. 19, comma 5, e dell’art. 19 bis . La norma, quindi, prevede, anche nel campo afferente agli immobili abitativi, la possibilità di detrarre l’IVA, ma questa è limitata alle sole imprese che hanno per oggetto la costruzione o la rivendita di fabbricati. Pertanto, una società immobiliare di mera gestione di immobili, quale è la società ricorrente, che non esercita attività di costruzione o rivendita, non potrebbe avvalersi della detraibil ità dell’imposta, e ricade a pieno titolo nella previsione di cui all’art. 19 bis 1, lett. i), prima parte.
In subordine, nell ‘ipotesi in cui si ritenga che la ‘ruralità’ assuma rilievo nell’applicazione della normativa in punto di detraibilità dell’IVA, la sentenza risult erebbe, comunque,
censurabile. Infatti, un immobile è ‘rurale” solo se ricorrono di tutti i requisiti previsti dall’art. 9 d.l. 557/1993, convertito dalla l. 133/1994, come da ultimo modificato dall’art. 1, c. 275, l. 244/2007. In particolare, il comma 3 de ll’ art. 9 stabilisce che “ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili agli effetti fiscali, i fabbricati o porzioni di fabbricati destinati ad edilizia abitativa devono soddisfare le seguenti condizioni… c) il terreno cui il fabbricato è asservito deve avere superficie non inferiore a 10.000 metri quadrati ed essere censito al catasto terreni con attribuzione di reddito agrario ‘ . Il legislatore, dunque, prevede un criterio oggettivo, ai fini della qualificazione della natura di un immobile, criterio completamente ignorato dalla Commissione tributaria regionale e che, come fatto presente dall’Ufficio nei gradi di merito, non ricorreva nella specie.
Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 90, comma 2, d.P.R. 917/1986, in relazione al l’ art. 360, comma 1, n, 3 cod. proc. civ. I giudici regionali – qualificati (erroneamente) gli immobili in discorso come ‘rurali’ ai fini della detraibilità dell’IVA -, avrebbero compiuto un ulteriore errore nel qualificare gli stessi, ai fini delle II.DD., come immobili ‘strumentali’. Infatti, ammesso anche che gli immobili in discorso fossero rurali, sarebbe evidente che la ‘strumentalità’ può essere fatt a valere solo dal soggetto economico che utilizza tale bene per la sua attività d’impresa, cioè solo dall’azienda agricola. Nel caso di specie, Le Querce non è una società agricola, bensì di gestione di immobili e rispetto a tale attività l’immobile rurale non sarebbe strumentale.
1.1. -Entrambi i motivi, da trattarsi congiuntamente, sono infondati.
In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative ad immobili a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì in concreto, dovendosi
verificare che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, il mezzo per l’esercizio della suddetta attività (Cass., Sez. V, 12 febbraio 2020, n. 3396; Cass., Sez. V, 26 febbraio 2019, n. 5559).
Al di là della questione attinente alla ‘ruralità’ dei beni e del loro utilizzo, che risultano peraltro riferibili alla società che svolge attività di agriturismo, la pronuncia ha chiaramente affermato che la società contribuente svolge attività di gestione di immobili, per cui i beni in questione, ceduti in locazione a un’azienda agricola, risultano senz’altro strumentali all’attività di impresa esercitata dalla società contribuente e per il raggiungimento dei suoi obiettivi.
2. -Con il terzo motivo si prospetta la violazione dell ‘ art 30, comma 1, l. 724/1994, in relazione all’art 360, comma 1, n, 3 cod. proc. civ. Parte ricorrente contesta altresì la pronuncia della Commissione tributaria regionale nella parte in cui ha ritenuto inapplicabile la disciplina delle ‘società non operative’ ex art. 30 l. 724/1994, ritenendo insussistente il ‘presupposto’ per l’applicazione di tale disciplina, ovvero la dimostrazione, da parte dell’Ufficio, della situazione di ‘non -congruità’ allo Studio di settore. Al riguardo, si osserva che, ai sensi della versione vigente ratione temporis , l’art. 30 l. 724/1994 non escludeva dall’applicazione della disciplina delle società di comodo ‘le società che risultano congrue e coerenti ai fini degli studi di settore’. Tale ipotesi di esclusione, infatti, è stata introdotta al numero 6sexies del comma 2 dell’art. 30 l. 724/1994, solo con la legge finanziaria 2008. Ciò comporta che, per l’anno d’imposta 2006, i l fatto che la società RAGIONE_SOCIALE fosse o meno congrua e coerente allo Studio di settore è circostanza irrilevante, atteso che i presupposti, all’epoca vigenti, per l’applicazione della disciplina alla società contribuente, ricorrevano tutti. L’esimente prevista dalla norma introdotta solo a partire dal primo gennaio 2008, circa l’esclusione dalla disciplina ex art. 30 l. 724/94 alle società congrue e coerenti allo studio di settore, non sarebbe stata
comunque applicabile alla contribuente, la quale lo Studio di settore, a monte, non lo aveva neppure presentato.
2.1. -Il motivo è infondato.
In tema di società di comodo, l’art. 30 della l. n. 724 del 1994, nell’escludere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta a monte per le società i cui introiti siano inferiori ad una determinata soglia (presumendone il carattere non operativo), si pone in contrasto con gli artt. 9, par. 1, e 167 della dir. 2006/112/CE e va, quindi, disapplicato da parte del giudice nazionale, in conformità ai principi espressi dalla sentenza della Corte di giustizia UE n. 341 del 7 marzo 2024, secondo cui le misure adottate dagli Stati membri per la lotta contro frodi, evasione fiscale ed abusi non devono eccedere quanto necessario per raggiungere tale obiettivo ed essere utilizzate in modo da mettere in discussione il principio di neutralità dell’IVA (Cass., Sez. V, 6 agosto 2024, n. 22249).
La qualità di soggetto passivo, ai fini della detrazione IVA, è riconosciuta, ai sensi dell’art. 9, par. 1, della direttiva 2006/112/CE ed in conformità ai principi espressi dalla CGUE nella sentenza n. 341 del 7 marzo 2024 in causa C-341/222, anche a colui che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettua operazioni soggette a detta imposta, il cui valore economico non raggiunge la soglia fissata dalla normativa nazionale, corrispondente ai ricavi che possono ragionevolmente attendersi dalle attività patrimoniali di cui dispone, in quanto nessuna disposizione della direttiva subordina il diritto a detrazione a detto requisito, per cui, ai sensi dell’art. 30 della l. n. 724 del 1994, rileva esclusivamente l’esercizio effettivo di un’attività economica in un determinato periodo d’imposta, ponendosi detta disposizione in contrasto con l’art. 167 della citata direttiva nella parte in cui, invece, prevede la perdita del diritto a detrazione al mancato raggiungimento di determinate soglie di ricavi (Cass., Sez. V, 11 settembre 2024, n. 24442).
A prescindere dalla questione di congruità, la non operatività non autorizza di per sé la non detraibilità dell’IVA , a meno che non si dimostri l’abusività della condotta, nella specie non provata.
3. -Con il quarto motivo si prospetta l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art 360, co. 1, n. 5 cod. proc. civ. Circa il recupero a tassazione della quota di ammortamento delle spese per interventi edili sui capannoni, qualificate dalla parte come ‘costi pluriennali’, la Commissione tributaria regionale ha ritenuto fondata l’argomentazione della contribuente secondo cui le spese per l’ intervento edilizio sui capannoni, emergenti da due fatture diverse, erano state contabilizzate in maniera difforme perché aventi difforme natura (intervento edilizio in senso stretto, da un lato; smaltimento dei materiali, dall’altro ). Secondo quanto prospettato dalla ricorrente, sarebbe stata la stessa descrizione dei lavori a dimostrare la scorrettezza dell’operato della contribuente. Tali fatti sarebbero stati completamente ignorati dalla Commissione tributaria regionale, in tal modo incorrendo nel vizio indicato in rubrica.
3.1. -Il motivo è infondato.
Non sussiste alcuno omesso esame, così come prospettato nel motivo di censura, poiché la Commissione tributaria regionale ha posto a fondamento della decisione proprio il fatto che la ricorrente asserisce essere stato omesso (fatture e relative causali).
4. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Non vi è luogo a pronuncia sul raddoppio del contributo unificato, perché il provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione, nel respingere integralmente la stessa (ovvero nel dichiararla inammissibile o improcedibile), disponga, a carico della parte che l’abbia proposta, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n.
228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto ai sensi del comma 1 bis del medesimo art. 13, non può aver luogo nei confronti delle Amministrazioni dello Stato, istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso, mediante il meccanismo della prenotazione a debito (Cass., Sez. Un., 25 novembre 2013, n. 26280; Cass., 14 marzo 2014, n. 5955).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.900,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione