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Detrazione IVA frode: onere della prova del Fisco

Una società si è vista negare la detrazione IVA e la deduzione di costi per operazioni ritenute soggettivamente inesistenti. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26374/2025, ha ribadito i principi sull’onere della prova in materia di detrazione IVA in caso di frode. L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare non solo la fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del contribuente di partecipare alla frode. L’ordinanza analizza anche la deducibilità dei costi e delle spese per carburanti, specificando che il solo pagamento tracciabile non basta a provare l’inerenza della spesa.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e Frode Fiscale: L’Onere della Prova secondo la Cassazione

La gestione della contabilità e degli obblighi fiscali rappresenta una delle sfide più delicate per ogni impresa. Un tema particolarmente complesso riguarda la detrazione IVA in caso di frode, specialmente quando si ha a che fare con fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Un’ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 26374 del 2025, fornisce chiarimenti cruciali su chi debba provare la consapevolezza del contribuente di partecipare a un illecito fiscale, delineando i confini tra la diligenza richiesta all’imprenditore e le responsabilità dell’Amministrazione Finanziaria.

I Fatti del Caso: Una Complessa Vicenda Tributaria

Una società a responsabilità limitata si è vista recapitare un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione di IVA e la deduzione di costi relativi all’anno d’imposta 2013. Le contestazioni si fondavano principalmente su due pilastri: l’utilizzo di fatture emesse da soggetti considerati “cartiere”, quindi per operazioni soggettivamente inesistenti, e la non inerenza di un costo specifico di 1.300.000,00 euro.

La Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva parzialmente accolto l’appello dell’Agenzia, confermando il recupero dell’IVA detratta per le operazioni inesistenti e la non deducibilità del maxi-costo. La società ha quindi deciso di ricorrere in Cassazione, lamentando, tra le altre cose, l’omesso esame della sua buona fede.

La Questione Cruciale: La Detrazione IVA in caso di Frode

Il cuore della controversia risiede nel diritto del contribuente alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti. Questo diritto può essere negato se l’operazione rientra in una frode fiscale, ma a quali condizioni? La Corte di Cassazione ha colto l’occasione per ribadire un principio consolidato, fondamentale per la tutela del contribuente in buona fede.

Secondo la giurisprudenza costante, quando l’Amministrazione Finanziaria contesta la detraibilità dell’IVA per operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente dimostrare la natura fittizia del fornitore (la cosiddetta “società cartiera”). Il Fisco ha l’onere di provare, anche tramite indizi, la consapevolezza del destinatario della fattura che l’operazione si inseriva in un’evasione d’imposta.

L’Onere della Prova e la Diligenza dell’Imprenditore

La Prova a Carico del Fisco

L’Amministrazione Finanziaria deve dimostrare, sulla base di elementi oggettivi e specifici, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, usando l’ordinaria diligenza professionale, dell’inesistenza del suo contraente. In altre parole, deve provare che l’imprenditore disponeva di “indizi idonei” a metterlo in allarme.

La Prova Contraria del Contribuente

Una volta che il Fisco ha fornito questi elementi, la palla passa al contribuente. Spetta a quest’ultimo fornire la prova contraria, dimostrando di aver agito in totale assenza di consapevolezza e di aver adoperato la massima diligenza possibile per non essere coinvolto nella frode. Attenzione però: la regolarità formale della contabilità o dei pagamenti non è, di per sé, una prova sufficiente a dimostrare la buona fede.

Altre Questioni: Costi Inerenti e Spese Carburante

L’ordinanza ha toccato anche altri due temi rilevanti per la vita aziendale.

Il Costo Non Inerente

La CTR aveva giudicato indeducibile un costo di 1.300.000,00 euro, non perché il documento commerciale fosse falso, ma perché non era stato provato che a quel documento corrispondesse un reale accordo commerciale e, di conseguenza, un costo effettivamente sostenuto e inerente all’attività d’impresa. La Cassazione ha ritenuto inammissibile il motivo di ricorso della società su questo punto, confermando che la prova della certezza e dell’inerenza del costo grava sul contribuente.

La Deducibilità delle Spese Carburante

Su ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, la Corte ha affrontato la questione della deducibilità dei costi per il carburante. La CTR aveva erroneamente ritenuto che il semplice pagamento con carte di credito o debito fosse sufficiente a garantire la deducibilità. La Cassazione ha chiarito che, sebbene l’uso di pagamenti tracciabili elimini l’obbligo di compilare la scheda carburante, non esonera il contribuente dal dimostrare l’inerenza della spesa all’attività d’impresa. Se la documentazione (es. fatture) non permette di ricondurre i rifornimenti a specifici veicoli aziendali, il costo e la relativa IVA non sono deducibili.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso della società contribuente, poiché la contestazione sulla buona fede era stata presentata come un vizio di motivazione (omesso esame di un fatto decisivo), mentre avrebbe dovuto essere inquadrata come una violazione di legge sull’onere della prova (art. 2697 c.c.). La conoscenza della frode non è un “fatto”, ma un elemento della fattispecie legale che determina l’indetraibilità dell’IVA. Gli altri motivi del ricorso principale sono stati rigettati per mancanza di specificità o perché infondati in diritto.
Al contrario, la Corte ha accolto il ricorso incidentale dell’Agenzia delle Entrate, stabilendo che la prova del pagamento tracciabile del carburante non è di per sé sufficiente a dimostrare l’inerenza del costo, che resta un requisito essenziale per la deducibilità.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche per le Imprese

Questa ordinanza consolida principi fondamentali per la gestione del rischio fiscale. Per le imprese, emerge con chiarezza la necessità di adottare procedure di controllo e verifica dei propri fornitori. Non basta fermarsi all’apparenza formale: è richiesta una diligenza attiva per intercettare eventuali segnali di allarme che possano suggerire il coinvolgimento in schemi fraudolenti. Per quanto riguarda i costi, la decisione ribadisce che la prova dell’inerenza è sempre a carico del contribuente e che la tracciabilità dei pagamenti, pur essendo un requisito importante, non sostituisce la necessità di documentare in modo puntuale la destinazione delle spese sostenute nell’interesse dell’attività.

Chi deve provare la consapevolezza del contribuente in una frode IVA?
Spetta all’Amministrazione Finanziaria dimostrare, con elementi oggettivi e specifici, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza, che l’operazione si inseriva in un’evasione fiscale.

È sufficiente dimostrare che le fatture provengono da “società cartiere” per negare la detrazione IVA?
No. Secondo la Corte, oltre a provare la natura fittizia del fornitore, l’Amministrazione Finanziaria deve anche dimostrare la consapevolezza del destinatario della fattura di essere parte di una frode.

Il pagamento con carta di credito è sufficiente per dedurre i costi del carburante?
No. Sebbene il pagamento tracciabile esoneri dalla compilazione della scheda carburante, non elimina l’onere per il contribuente di dimostrare l’inerenza della spesa, ovvero che il carburante è stato utilizzato per i mezzi strumentali all’esercizio dell’impresa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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