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Detrazione IVA frode: basta la conoscibilità?

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20301/2024, ha stabilito un principio cruciale in materia di detrazione IVA frode. Il caso riguardava una società a cui era stata negata la detrazione dell’IVA per l’acquisto di beni tramite fatture soggettivamente inesistenti, nell’ambito di una frode intracomunitaria. La Corte ha cassato la decisione del giudice di merito che richiedeva all’Amministrazione Finanziaria la prova della piena “conoscenza” della frode da parte della società. La Suprema Corte ha ribadito che per negare il diritto alla detrazione è sufficiente dimostrare la “conoscibilità” dell’operazione fraudolenta, ovvero che l’imprenditore, usando la normale diligenza, avrebbe potuto e dovuto accorgersi delle anomalie dell’operazione.

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Pubblicato il 6 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Detrazione IVA e Frodi Fiscali: Quando Basta Sospettare per Perdere il Diritto?

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 20301 del 23 luglio 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale per le imprese: la detrazione IVA frode. La decisione chiarisce quale sia il livello di prova richiesto all’Amministrazione Finanziaria per negare a un’azienda il diritto di detrarre l’IVA assolta su fatture relative a operazioni soggettivamente inesistenti. Il principio cardine è che non è necessaria la prova della piena e consapevole partecipazione alla frode, ma è sufficiente la “conoscibilità” della stessa.

Il Contesto: Una Società Coinvolta in una Frode Fiscale

Il caso ha origine da un avviso di accertamento notificato a una società operante nel settore delle materie plastiche. L’Agenzia delle Entrate contestava l’indebita detrazione dell’IVA, IRES e IRAP per l’anno 2007, sostenendo che la società avesse utilizzato fatture per operazioni soggettivamente inesistenti. Tali operazioni si inserivano in un più ampio schema di frode intracomunitaria volto a evadere l’IVA.

Nei primi due gradi di giudizio, le Commissioni Tributarie avevano dato ragione alla società contribuente. In particolare, la Commissione Tributaria Regionale (CTR) aveva annullato l’accertamento, affermando che l’Amministrazione Finanziaria non era riuscita a dimostrare “che la ricorrente fosse a conoscenza di partecipare ad una operazione truffaldina”. Secondo la CTR, mancava la prova della consapevolezza dell’azienda di essere parte di un meccanismo fraudolento.

La Questione della Prova nella Detrazione IVA Frode

L’Agenzia delle Entrate ha presentato ricorso in Cassazione, contestando proprio l’interpretazione data dalla CTR. Il punto centrale del ricorso era la violazione dei principi europei e nazionali in materia di detraibilità dell’IVA. Secondo l’Agenzia, per negare la detrazione non è necessario provare la “conoscenza” effettiva della frode da parte del cessionario, ma è sufficiente dimostrare la “conoscibilità”, ovvero l’ignoranza inescusabile. In altre parole, basta provare che l’operatore economico, utilizzando la normale diligenza professionale, avrebbe dovuto sospettare e accorgersi delle anomalie dell’operazione.

Le Motivazioni della Cassazione: Dalla Conoscenza alla “Conoscibilità”

La Suprema Corte ha accolto pienamente la tesi dell’Amministrazione Finanziaria, giudicando fondato il motivo del ricorso. I giudici hanno chiarito che la CTR ha commesso un errore di diritto nel richiedere la prova della piena “conoscenza di partecipare ad una operazione truffaldina”.

La Corte ha ribadito un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, l’onere della prova a carico dell’Amministrazione Finanziaria si articola in due punti:

1. Dimostrare la frode del cedente (chi emette la fattura).
2. Provare la connivenza del cessionario (chi riceve la fattura) o, in alternativa, la possibilità che quest’ultimo si avvedesse della frode usando la diligenza richiesta a un operatore commerciale medio.

Questa seconda prova può essere fornita anche attraverso presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Una volta che l’Amministrazione ha fornito questi elementi, spetta al contribuente dimostrare il contrario, cioè di aver agito con la massima diligenza per non essere coinvolto nell’evasione, secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità.

Il vero snodo della sentenza risiede nella distinzione tra “conoscenza” e “conoscibilità”. Non è richiesto che il Fisco provi che l’imprenditore sapesse con certezza della frode. È sufficiente dimostrare la presenza di indici e anomalie tali che un operatore accorto avrebbe dovuto notare, e che avrebbero dovuto indurlo a dubitare della regolarità dell’operazione.

Le Conclusioni e l’Impatto per le Imprese

La sentenza cassa la decisione della CTR e rinvia la causa a un’altra sezione della stessa Commissione, che dovrà riesaminare il caso applicando il corretto principio di diritto. La decisione ha importanti implicazioni pratiche per tutte le imprese.

Essa sottolinea l’importanza di un approccio proattivo e diligente nella gestione dei rapporti commerciali e nella selezione dei fornitori. La mera regolarità formale della contabilità e dei pagamenti non è sufficiente a garantire il diritto alla detrazione IVA se le circostanze concrete dell’operazione presentano anomalie evidenti. Le aziende sono chiamate a esercitare un controllo sostanziale sulla genuinità delle loro controparti commerciali. In caso di dubbi o “campanelli d’allarme”, ignorarli potrebbe costare la perdita del diritto alla detrazione dell’IVA e l’applicazione di pesanti sanzioni.

Per negare la detrazione IVA, l’Amministrazione Finanziaria deve provare che l’imprenditore sapeva della frode?
No. Secondo la Corte di Cassazione, non è necessaria la prova della piena e certa conoscenza della frode. È sufficiente che l’Amministrazione Finanziaria dimostri la “conoscibilità” della frode, cioè che l’imprenditore, usando la normale diligenza, avrebbe potuto e dovuto accorgersi delle anomalie dell’operazione.

Cosa si intende per “conoscibilità” della frode in ambito IVA?
Per “conoscibilità” si intende la ricorrenza di indici e anomalie in una transazione commerciale che avrebbero consentito a un operatore economico mediamente accorto e diligente di sospettare o rendersi conto di essere coinvolto in un’operazione fraudolenta. Si tratta di un’ignoranza considerata “inescusabile”.

Quale prova deve fornire l’impresa per difendersi dall’accusa di coinvolgimento in una frode IVA?
Quando l’Amministrazione Finanziaria fornisce elementi presuntivi (gravi, precisi e concordanti) sulla conoscibilità della frode, l’onere della prova si sposta sul contribuente. L’impresa deve dimostrare di aver adottato la massima diligenza esigibile da un operatore accorto per non essere coinvolta nell’operazione fraudolenta, agendo secondo criteri di ragionevolezza e proporzionalità in base alle circostanze del caso concreto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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