Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9962 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9962 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 12/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6976/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (P_IVA) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della SICILIA-SEZ.DIST. CALTANISSETTA n. 1582/2018 depositata il 09/04/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
Rilevato che:
Il 23 dicembre 2008, RAGIONE_SOCIALE era attinta tra avvisi di accertamento, nn. 89103A101032/2008, 89103A101028/2008 e 89103A101027/2008, mediante i quali l’Ufficio di Caltanissetta dell’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, sulla base di PVC della GdF addì 18 luglio 2008, riscontrava – come da sentenza in epigrafe – indebita detrazione dell’IVA relativamente a costi sostenuti per operazioni inesistenti intercorse con RAGIONE_SOCIALE
La CTP di Caltanissetta, adita impugnatoriamente dalla contribuente, disponeva CTU contabile volta a verificare – come, nuovamente, da sentenza in epigrafe – se le fatture emesse da RAGIONE_SOCIALE ‘fossero state (o meno) annotate ai fini IVA nelle relative scritture’; indi, con sentenza n. 81/03/14 del 6 febbraio 2014, accoglieva il ricorso, sul rilievo che la contribuente, producendo ‘perizia’, aveva documentato come l”opera stata ampiamente realizzata ancorché non completata e non operativa’.
Proponeva appello l’Ufficio, accolto dalla CTR con la sentenza in epigrafe sulla base, essenzialmente, della seguente motivazione:
l’Amministrazione finanziaria ha sottoposto a questo Collegio molteplici indizi che deponevano in direzione dell’assenza di un rapporto regolato contrattualmente nonché della genericità della descrizione dei lavori fatturati, oltre che della sostanziale inesistenza della società emittente.
Con riguardo a tale ultimo profilo dalla documentazione emergeva: l’assenza di una sede della società emittente fatture; la sostanziale inesistenza di un amministratore; la dichiarata inesistenza di qualunque documento contabile e fiscale; la dichiarazione di smarrimento in luogo e data
sconosciuti, che sarebbe avvenuta il giorno successivo alla richiesta della stessa documentazione da parte della Guardia di finanza; l’assenza di organizzazione di beni strumentali; l’assenza di documentazione riguardante rapporti commerciali.
.
Dall’esame della CTU emerge che la stessa (nella sostanza) conferma le argomentazioni sulla base RAGIONE_SOCIALE quali l’Amministrazione aveva sostanziato la propria pretesa.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con tre motivi. Resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
1.1. ‘Gli accertamenti traggono origine dal PVC della Guardia di finanza di Caltanissetta, relativo ad una presunta ‘frode carosello’ contestata alla RAGIONE_SOCIALE, ritenuta una società fittizia (cd. cartiera) emittente quindi fatture soggettivamente false. In buona sostanza, la Guardia di finanza, non avendo rinvenuto le scritture contabili della società RAGIONE_SOCIALE, ha dedotto che le fatture reperite fossero relative ad operazioni inesistenti, presumendo che i lavori effettivamente fatti nel cantiere dell’odierna ricorrente non fossero stati eseguiti dalla RAGIONE_SOCIALE‘. ‘Nella specie il giudice di appello giunge all’errata conclusione che il meccanismo della frode carosello farebbe presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all’accordo simulatorio da parte del beneficiario finale. Tuttavia, in tal modo, la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione del riparto dell’onere della prova
in materia’, atteso che – come da giurisprudenza di legittimità spetta all’Amministrazione di provare la connivenza o consapevolezza del cessionario. ‘L’imprenditore commerciale non può rispondere dell’eventuale natura fraudolenta RAGIONE_SOCIALE operazioni, occorrendo la dimostrazione della piena conoscenza e della partecipazione alla frode fiscale o dell’accordo simulatorio con la società cedente’.
Con il secondo motivo si denuncia: omesso esame di fatto decisivo e controverso in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.
2.1. ‘L’attività istruttoria espletata ha confermato la palese infondatezza RAGIONE_SOCIALE pretese avanzate dall’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’odierna associazione ricorrente ha osservato che la mancata conservazione RAGIONE_SOCIALE scritture contabili da parte della società emittente, la mancata registrazione e i mancati adempimenti formali e sostanziali in capo alla stessa, non potessero affatto configurare ‘tout court’ operazioni inesistenti (tutt’al più confermavano in capo alla società, che aveva emesso le fatture, gli addebiti previsti dalla normativa IVA)’. ‘Come correttamente rilevato dalla Commissione di primo grado, l’eventuale irregolarità fiscale della società RAGIONE_SOCIALE non può avere ripercussioni automatiche sull’odierna ricorrente la quale, di contro, per come dimostrato anche dalla esperita CTU, aveva regolarmente contabilizzato ai fini IVA le fatturazioni emesse dalla società negli anni in questione . In secondo luogo, la CTR non ha tenuto conto che, in punto di fatto, è rimasto incontestato che le fatture oggetto di accertamento si riferivano ai lavori di costruzione dell’edificio industriale della medesima associazione, commissionati in appalto da quest’ultima alla società RAGIONE_SOCIALE . Sul punto, attraverso la perizia giurata prodotta nel giudizio di prime cure, l’associazione ricorrente aveva documentato come l’opera fosse stata ampiamente realizzata e che
il costo di costruzione all’epoca si aggirasse intorno ad euro 1.891.153,16 . E ancora, l’odierna associazione ricorrente aveva fornito la prova della sua totale estraneità all’accordo simulatorio con il riferimento all’intervenuto provvedimento di archiviazione del procedimento penale a carico del legale rappresentante sig. NOME COGNOME.
Con il terzo motivo si denuncia: violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 DPR n. 633 del 1972, nonché dell’art. 109 tuir, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.
3.1. ‘I giudici di merito confuso fra deducibilità di costi e detraibilità dell’IVA’. ‘L’imposta non è affatto dovuta dall’associazione ricorrente che, peraltro, non l’ha neanche utilizzata, ma riportata a credito in dichiarazione. A tal riguardo, deve considerarsi che la controversia ha ad oggetto non già il diritto alla detrazione dell’IVA pagata , ma , distinta, della deducibilità dei costi sostenuti dall’impresa’. Costi deducibili in ragione dello ‘ius superveniens’ di cui all’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2002, conv. dalla l. n. 44 del 2012.
Tutti e tre i motivi possono essere trattati congiuntamente per comunanza di censure.
Acquisisce rilievo prioritario, per la dimensione processuale della censura, il secondo.
Esso è inammissibile.
Invero non deduce alcun fatto storico di cui la CTR abbia omesso l’esame, dolendosi ‘sic et simpliciter’ dell’omessa condivisione da parte della CTR, RAGIONE_SOCIALE argomentazioni difensive, invece originariamente condivise dalla CTP.
Un tanto è a valere anche con riguardo al provvedimento di archiviazione riferito al legale rappresentante della contribuente in
sede penale: provvedimento che la CTR ha avuto ben presente, dandone esplicitamente atto nella parte della motivazione della sentenza impugnata dedicata allo svolgimento del processo, ma ha ritenuto, implicitamente, privo di efficacia dimostrativa a discarico; ciò in piana applicazione del costante principio per cui ‘la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula ‘perché il fatto non sussiste’, non spiega automaticamente efficacia di giudicato nel processo tributario, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta decisione è destinata ad operare’ (cfr. da ult. Sez. 5, n. 10578 del 22/05/2015, Rv. 635637 -01).
7. Infondato è il primo motivo.
È lo stesso ricorrente a qualificare la contestazione dell’inesistenza RAGIONE_SOCIALE operazioni documentate nelle fatture come soggettiva.
In un coerente quadro d’insieme, la giurisprudenza unionale e quella interna hanno fatto chiarezza sul riparto degli oneri probatori tra Amministrazione e contribuente in caso di fatture emesse per operazioni soggettivamente inesistenti.
L’insegnamento della prima – a termini della quale, dinanzi ad operazioni soggettivamente inesistenti, l’Amministrazione è tenuta a provare che il cessionario sapeva o avrebbe dovuto sapere che la cessione si inseriva in una evasione dell’IVA, ma non anche la par -tecipazione all’evasione stessa (cfr. Corte Giust Ppuh, C -277/14; Corte Giust. Bonik, C -285/11) – è invero recepito dalla seconda, in seno alla quale trovasi costantemente ripetuto il principio secondo
cui, ‘in tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in ba -se ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a cono -scenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesi -stenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto in -combente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto’ (Sez. 5, n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429 -01, cui ‘adde’, da ultimo, in ipotesi di ‘re -verse charge’, Sez. 5, n. 4250 del 10/02/2022, Rv. 663882 -01). Donde, ancor più esplicitamente, ‘in tema di IVA, in virtù degli artt. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e 17 della Direttiva UE 17 maggio 1977, n. 388, osta al riconoscimento del diritto alla relativa detrazione da parte del cessionario, non soltanto la prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale, ma anche quella della mera conoscibilità dell’inserimento dell’operazione in un fenomeno criminoso, volto all’evasione fiscale, la quale sussiste ove il cessionario, pur essendo estraneo alle condotte evasive, ne avrebbe potuto acquisire consapevolezza mediante l’impiego della specifica diligenza professionale richiesta all’operatore economico, avuto riguardo alle concrete modalità e alle condizioni di tempo e di luogo in cui si sono svolti i rapporti commerciali, mentre non occorre anche il conseguimento di un effettivo vantaggio’ (Sez. 5, n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631554 -01, ribadita da Sez. 6 -5, n. 13545 del 30/05/2018, Rv. 648691 -01).
Rispetto a tale consolidato stato della giurisprudenza, sia unio -nale che interna, deve soltanto precisarsi che la prova gravante sull’Amministrazione ben può consistere in attendibili indizi, anche tratti da indagini penali, siccome idonei ad integrare finanche una presunzione semplice, in conformità a quanto, per l’IVA, espressamente prevede l’art. 54, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972 (cfr., da un lato, Corte Giust. Mahagèben e David, C -80/11 e C -142/11 e Corte Giust. Kittel, C -439/04; dall’altro, ‘ex multis’, Sez. 6 -5, n. 14237 del 07/06/2017, Rv. 644435 -01).
Alla luce di quanto precede, cade nel vuoto l’obiezione mossa dalla contribuente nel motivo in disamina secondo cui la CTR sarebbe incorsa in errore per non aver rilevato che l’Ufficio non aveva fornito la prova della connivenza della contribuente con RAGIONE_SOCIALE e comunque della consapevolezza della prima della frode agita dalla seconda.
L’Ufficio non era affatto onerato di una tale prova, essendo sufficiente che la contribuente versasse nelle condizioni anche solo di poter sapere della frode, adottando tutte le cautele necessarie al fine di non esserne coinvolta.
Ed allora – come correttamente rilevato dalla CTR – l’Ufficio ha presuntivamente offerto la prova, quantomeno, della possibilità di conoscenza della frode in capo alla contribuente, allorquando – in ‘assenza di documentazione riguardante rapporti commerciali tra la medesima ed RAGIONE_SOCIALE – ha dimostrato la sostanziale inesistenza di quest’ultima: ciò di cui la contribuente non poteva (salva non fornita prova contraria) non avvedersi, in considerazione, trattandosi dell’esecuzione di un appalto, della totale mancanza di organizzazione e di beni strumentali necessari a fornire le prestazioni: cfr. Sez. 5, n. 24426 del 30/10/2013, Rv. 629419 -01, secondo cui, ‘nelle ipotesi più semplici (operazioni soggettivamente inesistente di tipo triangolare), [l’onere probatorio
dell’Amministrazione] può esaurirsi, attesa l’immediatezza dei rapporti, nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale’.
8. Il terzo motivo è infondato.
È ben vero che, secondo consolidato insegnamento di questa Suprema Corte, ‘in tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4 bis, della l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, l’acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti, non utilizzati direttamente per commettere il reato, anche per l’ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento RAGIONE_SOCIALE operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del T.U. RAGIONE_SOCIALE imposte sui redditi approvato con d.P.R. n. 917 del 1986, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità’ (cfr., da ult., Sez. 5, n. 11020 del 05/04/2022, Rv. 664285 -01).
Tuttavia, nella specie, tale insegnamento, che riguarda esclusivamente le riprese in tema di ‘imposte sui redditi’, e quindi di deduzione dei costi (anche) per operazioni soggettivamente inesistenti, non viene in linea di conto, vertendosi invece di detraibilità dell’IVA.
Ed invero -ribadito che ‘il diritto del contribuente alla detrazione, fondandosi sul principio di neutralità dell’imposta, muove da presupposti diversi da quelli della deducibilità dei costi di impresa’ (Sez. 5, n. 15288 del 17/07/2020, Rv. 658203 -01) – la CTR, come visto, afferma che l’Ufficio, mediante l’avviso di accertamento oggetto di giudizio, ‘riscontrava l’indebita detrazione dell’imposta IVA relati a costi sostenuti ed operazioni ritenute inesistenti’. Siffatta versione è confermata dallo stesso ricorso, nella cui parte introduttiva (fg. 1 e ‘retro’), si afferma che con i tre
avvisi ‘l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Caltanissetta avrebbe riscontrato l’indebita detrazione dell’IVA, provvedendo a richiedere il pagamento della relativa imposta (rispettivamente, euro 440.000, euro 555.167 ed euro 32.000), oltre sanzioni ‘.
Un tanto esclude che ‘i giudici di merito’ – come invece, peraltro contraddittoriamente con la premessa in fatto, sostenuto nel motivo in disamina – ‘abbiano confuso fra deducibilità di costi e detraibilità dell’IVA’.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE le spese di lite, liquidate in euro 8.000 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 28 febbraio 2024.