Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 21436 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 21436 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 32801/2019 R.G. proposto da :
CURATELA FALLIMENTARE AZIENDA RAGIONE_SOCIALE IN LIQUIDAZIONE, in persona del liquidatore pro tempore , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui Uffici è elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’ Emilia-Romagna n. 1774/2018, depositata il 27 giugno 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -La Direzione provinciale di Ravenna dell’Agenzia delle entrate notificava all’ Azienda RAGIONE_SOCIALE l’avviso di accertamento n. THQ033I01454/2012, relativo all’anno di imposta 2008 con cui recuperava a tassazione IVA pari ad euro 1.211.707,35 indebitamente detratta poiché afferente a operazioni ritenute oggettivamente inesistenti . In particolare, l’atto impositivo prendeva le mosse dalla verifica pluriennale effettuata dalla Guardia di Finanza di Ravenna nei riguardi della contribuente e confluita nel processo verbale di constatazione del 22 giugno 2012. A propria volta, la verifica scaturiva dalle indagini condotte dalla Guardia di Finanza di San Severo (FG) su delega della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari nell’ambito del procedimento penale n. 14219/09. Più dettagliatamente, la verifica aveva consentito di rilevare che, nel corso di svariati anni, l ‘ Azienda RAGIONE_SOCIALE aveva registrato in contabilità acquisti di mosto provenienti da imprese che, in relazione alle loro caratteristiche ed ai dati rilevati sul conto delle stesse, si configuravano quali “cartiere” o “missing traders”, ossia soggetti economici privi di struttura operativa ed organizzativa, la cui attività consiste esclusivamente nell’emissione di fatture per operazioni inesistenti, al fine di agevolare la commissioni di frodi fiscali da parte di terzi che, in tal modo, fruiscono dell’indebita deduzione di costi e di indebita detrazione della relativa IVA.
La società impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Ravenna.
La Commissione adita, con sentenza n. 255/2013 del 13 novembre 2013, rigettava il ricorso.
-Avverso tale pronuncia la società proponeva atto di appello.
Nelle more del giudizio, il Tribunale di Ravenna, con sentenza dichiarava il fallimento dell’Azienda RAGIONE_SOCIALE e il processo, interrotto dinanzi alla Commissione tributaria
n. 43/2016, regionale, veniva riassunto dalla curatela fallimentare.
La Commissione tributaria regionale dell’ Emilia-Romagna, con sentenza n. 1774/2017 depositata il 27 giugno 2021, ha respinto l’appello.
-La curatela fallimentare ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste l’Ufficio con controricorso.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 21 e 54 D.P.R. 633/1972, 2697 cod. civ., 115 c.p.c. , in relazione all’art. 360 , comma 1, n. 3 c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale violato i principi affermati dalla giurisprudenza in tema di detrazione IVA, i criteri di riparto dell’onere della prova in tema di operazioni inesistenti, nonché omesso di valutare la documentazione prodotta in giudizio dalla società, idonea a dimostrare la piena operatività delle fornitrici erroneamente considerate cartiere dall’Ufficio.
1.1. -Il motivo è infondato.
L’Amministrazione finanziaria, che contesti al contribuente l’indebita detrazione dell’IVA relativamente ad operazioni oggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi,
anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo (Cass., Sez. V, 10 aprile 2024, n. 9723; Cass., Sez. V, 18 ottobre 2021, n. 28628).
Nel caso di specie non si rinviene alcuna violazione delle norme richiamate, avendo la Commissione tributaria regionale fatto buon governo dell’onere della prova, alla luce della giurisprudenza di legittimità, tenuto conto degli elementi presuntivi ampiamente riassunti nei due processi verbali di constatazione il 22 giugno 2012 e del 9 ottobre 2012 (assenza di una struttura produttiva organizzativa, brevissima vita aziendale, incompleta contabilità e assoluta incertezza sui volumi di merce trasportata), cui la pronuncia ha fatto rinvio, confermando l’apprezzamento compiuto in primo grado.
La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. si configura infatti nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass., Sez. IV, 19 agosto 2020, n. 17313; Cass., Sez. VI3, 31 agosto 2020, n. 18092).
Parte ricorrente intende invero conseguire una nuova e inammissibile rivalutazione delle risultanze istruttorie, a fronte peraltro di una ‘ doppia conforme ‘ . In tema di scrutinio di legittimità
del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (Cass., Sez. III, 21 dicembre 2022, n. 37382), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali.
2. -Con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt. 111 Cost., 132, comma 2, n. 4 c.p.c., 36 comma 2 n. 4 d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4) c.p.c., per aver la Commissione tributaria regionale reso una pronuncia affetta da vizio di motivazione apparente, in quanto fondata su affermazioni apodittiche dalle quali non emergono le ragioni per le quali l’avviso di accertamento, a fronte della mancata prova della fittizietà delle operazioni sottese, sia stato considerato privo di profili di illegittimità
2.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa
ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090; Cass., Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940).
Nel caso di specie non vi è una motivazione apparente, né sussiste alcuna violazione del «minimo costituzionale», avendo la Commissione tributaria regionale esplicitato le ragioni in base alle quali ha ritenuto di rigettare l’appello in presenza di molteplici indizi gravi, precisi e concordanti, alla luce della ricostruzione dei fatti operata nel processo verbale di constatazione, nei confronti di ditte risultate coinvolte in una frode fiscale diretta all ‘ emissione di fatture per operazioni inesistenti.
3. -Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in favore dell’ Agenzia delle entrate in euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di
un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1bis , del d.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 30 aprile 2025.