Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 9920 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 9920 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24296/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende -ricorrente- contro
NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in POTENZA INDIRIZZO COGNOMEINDIRIZZO presso lo studio de ll’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende -controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO BASILICATA n. 244/2023 depositata il 18/10/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 16/01/2025
dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di Giustizia di secondo grado della Basilicata ( hinc: CGT2), con sentenza n. 244/2023 depositata in data 18/10/2023, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 330/2022, con la quale la Commissione Tributaria Provinciale di Potenza aveva accolto, parzialmente, il ricorso prop osto dal sig. NOME COGNOME contro l’avviso di accertamento relativo al recupero a tassazione del reddito di capitale e dell’IVA su imponibile non ammesso in detrazione. Il giudice di primo grado, in particolare, aveva annullato l’atto impugnato nella par te relativa alla detraibilità dell’IVA da parte della società RAGIONE_SOCIALE per Euro 265.049,22, confermando il rilievo di Euro 62.600 tassabili come reddito d’impresa, ad esclusione dell’importo di Euro 13.772,00 a titolo di IVA.
La CGT2 ha ritenuto infondato l’appello. In particolare, ha escluso che nel caso di specie ricorresse un’ipotesi di frode, dal momento che RAGIONE_SOCIALE aveva rappresentato nella dichiarazione presentata la realtà delle operazioni intercorse con i clienti, tra i quali il sig. COGNOME L’amministrazione finanziaria, al contrario, aveva ritenuto che si fosse verificata una vera e propria frode, senza indicare, tuttavia, le modalità attraverso le quali quest’ultima sarebbe stata perpetrata (es. inesistenza delle operazioni commerciali, indicazione nella dichiarazione di redditi in misura inferiore, indicazione di spese mai eseguite).
2.1. Il giudice di secondo grado ha, quindi, distinto tra elusione (intesa come comportamento passivo non preordinato, dove si evita di pagare le imposte dichiarate e dovute per mancanza di fondi necessari all’assolvimento del debito) e frode (intesa come vero e proprio raggiro che si manifesta con la creazione dolosa di una situazione non corrispondente a quella reale mediante la
mistificazione della realtà commerciale attuata attraverso la presentazione di una dichiarazione dove i redditi percepiti non sono indicati o sono indicati in misura inferiore oppure sono indicate spese false o sono emesse fatture o ricevute per operazioni inesistenti, per consentire ai terzi l’evasione sui redditi IVA).
2.3. Di conseguenza, ad avviso della CGT2, per la dimostrazione della frode non basta provare, anche in via indiziaria, che il ricevente delle fatture fosse a conoscenza della temporanea illiquidità dell’emittente, ma è necessario provare il comportamento attivo e preordinato del soggetto che la compie e la piena conoscenza, da parte del destinatario delle fatture, delle finalità dell’operazione compiuta, non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione.
Contro la sentenza della CGT2 l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
Il sig. NOME COGNOME ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è stata denunciata la « violazione e/o falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., degli articoli 2727, 2729 e 2697 c.c., degli articoli 19 e 54 D.P.R. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. ».
1.1. La ricorrente, in via preliminare, ha evidenziato che, nella specie, la società che ha emesso le fatture nei confronti del sig. COGNOME è RAGIONE_SOCIALE e non ‘RAGIONE_SOCIALE‘ come erroneamente affermato dalla CGT2. Q uest’ultima non si è , peraltro, pronunciata correttamente sul recupero a tassazione del maggior reddito di capitale contenuto nell’avviso di accertamento opposto. La sentenza di primo grado si era, infatti, pronunciata, parzialmente, in favore dell’amministrazione finanziaria e, in tale parte, è coperta da giudicato, considerato che il contribuente non ha proposto appello.
1.2 . Ad avviso dell’Agenzia delle Entrate la CGT2 si è, tuttavia, pronunciata erroneamente sulla questione relativa alla detraibilità dell’IVA, con una decisione non conforme alla giurisprudenza nazionale e unionale. A tal fine evidenzia che non spetta il diritto alla detrazione dell’IVA al cliente che sapeva o non poteva non sapere o avrebbe dovuto sapere che il fornitore non avrebbe versato l’imposta (CGUE, 12/01/2006, cause riunite C354/03, C355/03 e C484/03; CGUE, 11/05/2006, causa C384/04). Secondo la giurisprudenza europea la buona fede, intesa come mera ignoranza, non è sufficiente a fondare il diritto a detrarre l’imposta : tale diritto può essere, infatti, negato qualora risulti che l’operatore, usando l’ordinaria diligenza richiesta per la sua attività, avrebbe potuto sapere di partecipare ad una frode.
La stessa Corte di Giustizia UE (sentenza 21/06/2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11) ha confermato l’indetraibilità dell’imposta sul valore aggiunto da parte del soggetto passivo, che non dimostri di non sapere o che avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si iscriveva in un’evasione commessa da ll’emittente della fattura o da un altro operatore intervenuto a monte nella catena di prestazioni.
1.3. Nel caso in esame la CGT2, focalizzandosi su un aspetto estraneo al giudizio, ha trascurato gli aspetti sottoposti al suo esame e, di conseguenza, ha svalutato gli elementi probatori addotti dall’Ufficio per dimostrare la conoscenza da parte del sig. COGNOME che la detrazione dell’imposta IVA esposta nelle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE avrebbe generato un’ evasione di imposta, a scapito del principio di neutralità, stante il costante e ripetuto omesso versamento delle imposte dovute da parte dell’emittente, cominciato ben prima dell’emissione delle fatture in contestazione.
Il sig. COGNOME infatti, oltre ad essere il cessionario, è anche il legale rappresentante nonché socio del soggetto cedente (RAGIONE_SOCIALE, la cui sede legale coincide proprio con il domicilio del contribuente: si tratta di elementi di per sé idonei a suffragare la piena conoscenza da parte del cliente dell’evasione di imposta generata ‘a monte’ dall’emittente le fatture, come richiesto dalla giurisprudenza unionale. Non è, infatti, verosimile che il sig. COGNOME – legale rappresentante nonché socio al 50% della società RAGIONE_SOCIALE non fosse a conoscenza del mancato versamento dell’IVA relativa a tali fatture, tanto più se si considera che, proprio per quel debito, l’odierno ricorrente è stato rinviato a giudizio, nella sua qualità di legale rappresentante della società cedente, per il delitto di cui all’art. 10 ter , d.lgs. 74/2000 contestato per l’omesso versamento dell’Iva per gli anni 2015 e 2016.
1.4. È stato, inoltre, conseguito un vantaggio fiscale -peraltro irrilevante secondo la giurisprudenza europea -considerato che il soggetto economico ha beneficiato di un risparmio di imposta ( Euro 70.399,99). Difatti, da un lato un soggetto ha detratto IVA e, dall’altro lato, un altro soggetto, giuridicamente distinto ma economicamente coincidente, non l’ha versata. La CGT – affermando che l’Ufficio aveva l’onere di provare « il comportamento attivo e preordinato del soggetto che la compie e che il ricevente delle fatture fosse a piena conoscenza delle finalità dell’operazione compiuta non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione (…) » -ha del tutto obliterato, violando in particolare l’art. 116 c.p.c., l’elemento, più volte sottolineato dall’Ufficio, dell’identità fra cessionario (beneficiario della detrazione IVA sugli acquisti) e rappresentate legale (nonché socio) della società cedente ed emittente le fatture (RAGIONE_SOCIALE .
1.5. Il ricorso è fondato.
Le coordinate ermeneutiche che precludono il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sugli acquisti sono scolpite nella giurisprudenza unionale, dove è stato precisato che: « occorre ricordare che la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso è un obiettivo riconosciuto e promosso dalla sesta direttiva. Pertanto, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo (v. sentenze COGNOME, C -285/11, EU:C:2012:774, punti 35 e 37 nonché giurisprudenza ivi citata, e Maks Pen, C -18/13, EU:C:2014:69, punto 26). Tale situazione, così come ricorre nel caso di un’evasione fiscale commessa dal soggetto passivo, ricorre pure quando il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con il proprio acquisto, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in un’evasione dell’IVA. In circostanze del genere, il soggetto passivo interessato deve essere considerato, ai fini della sesta direttiva, partecipante a tale evasione, e ciò indipendentemente dalla circostanza di trarre o meno beneficio dalla rivendita dei beni o dall’utilizzo dei servizi nell’ambito delle operazioni soggette a imposta da lui effettuate a valle (v., sentenze COGNOME, C -285/11, EU:C:2012:774, punti 38 e 39 nonché giurisprudenza ivi citata, e Maks Pen, C -18/13, EU:C:2014:69, punto 27).» (CGUE, 22/10/2015, C-277/14, §§ 47-48).
1.6. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha ritenuto che non fosse configurabile alcuna frode, per il fatto che la società cedente (erroneamente indicata come RAGIONE_SOCIALE, in luogo di RAGIONE_SOCIALE) avesse rappresentato, in sede di dichiarazione, la «realtà delle operazioni intercorse con i clienti tra cui lo Iovino cosicché non può nel caso parlarsi di frode fiscale». La CGT ha poi concluso che « per la dimostrazione della frode non è sufficiente provare, anche in via indiziaria, che il ricevente le fatture fosse a
conoscenza della temporanea illiquidità dell’emittente ma è necessario provare il comportamento attivo e preordinato del soggetto che la compie e che il ricevente delle fatture fosse a piena conoscenza delle finalità dell’operazione compiuta non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione».
1.7. In primo luogo, la pretesa distinzione tra le nozioni di «frode» ed «elusione» (peraltro assunta in senso atecnico come comportamento non preordinato di omesso versamento dell’IVA) contenuta nella sentenza impugnata contrasta con la giurisprudenza unionale (CGUE, 22/10/2015, C-277/14 cit. ), che evoca quale scopo della sesta direttiva « la lotta contro ogni possibile frode, evasione ed abuso », con la conseguenza che, ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione previsto nell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, è sufficiente la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della condotta evasiva del cedente. Non è, quindi, necessaria una situazione di frode -come nel caso di operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti -essendo sufficiente anche la conoscenza o doverosa conoscibilità di una situazione di evasione del versamento dell’IVA applicata in rivalsa da parte del cedente, da apprezzare nell’ambito dell’intero quadro probatorio e dei rapporti tra società cedente e società cessionaria, nella specie accomunate dal fatto che il sig. COGNOME fosse legale rappresentante di entrambe.
1.8. Difatti, se è vero che il cessionario non è, generale, obbligato ad accertarsi del versamento dell’IVA che gli è addebitata in rivalsa dal cedente, è altrettanto vero che il valore di tale regola trova il proprio fondamento e limite nel principio di neutralità dell’IVA. Di conseguenza, nelle ipotesi connotate da assoluta estraneità e assenza di legami (familiari o riconducibili a partecipazioni azionarie o di comunanza degli organi di rappresentanza) la necessità di dare effettività e concreta applicazione al principio appena evocato
impone di riconoscere il diritto alla detrazione ex art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972, anche nelle ipotesi in cui il cedente non versi l’IVA applicata in rivalsa al cessionario.
1.9. Rispetto all’ipotesi appena menzionata deve essere, invece, nettamente distinto il caso in cui i rapporti di partecipazione societaria o i legami personali e familiari o la comunanza dei medesimi organi di rappresentanza possano consentire -sulla base di una valutazione complessiva del quadro probatorio alla luce dei requisiti di gravità, precisione e concordanza ex art. 2729, comma 2, c.c. di riferire al cessionario un atteggiamento soggettivo connotato dalla conoscenza del mancato versamento dell’IVA addebitata in rivalsa dal cedente. In tale ipotesi viene, infatti, a delinearsi una situazione riconducibile alla nozione di evasione cui fa riferimento la giurisprudenza unionale sopra richiamata, quale punto di rottura del principio di neutralità che connota l’applicazione del tributo, rendendo possibile il disconoscimento della detrazione prevista nell’art. 19 d.P.R. n. 633 del 1972.
Su tale aspetto -in relazione a quanto eccepito dalla controricorrente -occorre precisare come l’avviso di accertamento (i cui contenuti sono riportati a pag. 16 del controricorso e v. anche l’estratto dell’avviso di accertamento riportato a pag. 23 del controricorso) prima ancora di svolgere, in via ipotetica, la considerazione secondo cui è « del tutto ragionevole presumere che, dati i diversi e gravi elementi qui di sopra segnalati, il ‘flusso’ di fatturazione dalla società allo stesso RAGIONE_SOCIALE fosse preordinato alla costituzione in capo a quest’ultimo di un credito IVA generato attraverso un salto di imposta in capo alla società ‘RAGIONE_SOCIALE, richiama la qualità di socio di maggioranza e il ruolo di rappresentante legale svolto dal controricorrente nella società cedente e che, conseguentemente, « non sussiste alcun dubbio sul
fatto che il sig. COGNOME NOME (così come del resto il sig. COGNOME NOME) fosse sicuramente nella situazione di conoscere la pesante situazione debitoria della società nonché la circostanza che la stessa non versava l’IVA fatturata e dichiarata o, eventualmente, accertata.»
1.10. In secondo luogo, se è vero che il giudice al fine di riscontrare, in capo al cessionario, la conoscenza (o doverosa conoscibilità) dell’evasione d’imposta del cedente può avvalersi di presunzioni, è altrettanto vero che queste ultime -secondo quanto precisato da questa Corte -devono essere “gravi, precise e concordanti”. In particolare, il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia -di regola -desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza. Il procedimento logico viene, quindi, articolato nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari – in modo da scartare quelli irrilevanti – e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, al fine di verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto
della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass. 21/03/2022, n. 9054).
1.11. Nel caso in esame il giudice non ha correttamente applicato i principi delineati dalla giurisprudenza della presente Corte nell’interpretazione dell’art. 2729, comma 2, c.c., nella misura in cui ha ritenuto non sufficiente la conoscenza della « temporanea illiquidità dell’emittente», ma piuttosto necessaria la prova della condotta attiva e preordinata del cedente e della conoscenza, da parte del cessionario, della finalità dell’operazione « non essendo sufficiente la presunzione di conoscenza della volontà di elusione», individuando quest’ultima in un « comportamento passivo non preordinato nel quale si evita di pagare le imposte dichiarate e dovute per mancanza dei fondi necessari all’assolvimento del debito». In tal modo, il giudice di seconde cure, nella costruzione del procedimento inferenziale che porta dalla conoscenza del fatto noto alla prova del fatto ignoto, ha ritenuto non gravi due circostanze ( i.e. la conoscenza da parte del cessionario della situazione di illiquidità del cedente e la presunzione di conoscenza dell’omesso versamento del tributo) che deponevano in senso esattamente contrario, tanto più se si considera che -proprio in ragione del principio di neutralità -l’imposta evasa dal cedente è applicata in rivalsa sul cliente e non è, conseguentemente, assolta dal soggetto passivo con proprie risorse. Peraltro, l’omesso versamento dell’IVAa maggior ragione nell’ipotesi di superamento delle soglie di rilevanza penale indicate nell’art. 10 ter legge n. 74 del 2000 -in presenza di una situazione di illiquidità determina una forma surrettizia di finanziamento
dell’imprenditore a carico dell’erario, tale da integrare un’evidente rottura del principio di neutralità dell’IVA.
La conoscenza della situazione di illiquidità del cedente e la conoscenza o doverosa conoscibilità dell’omesso versamento dell’IVA applicata in rivalsa non sono, quindi, circostanze irrilevanti ai fini del disconoscimento del diritto alla detrazione e sono da valutare nell’ambito dell’intero quadro probatorio a disposizione del giudice, tenendo conto anche dei rapporti e legami tra fornitore e cessionario (considerato che il cessionario, quale titolare di un’impresa individuale era, al contempo, legale rapp resentante della società cedente, sul punto v. anche pag. 16 del controricorso).
Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2.1. La sentenza impugnata deve essere, pertanto, cassata, con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Basilicata che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di composizione, accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; secondo grado della Basilicata che, in diversa deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 16/01/2025.