Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23622 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23622 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 20/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 22013/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO n. 7507/2016 depositata il 28/11/2016.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/07/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale del Lazio ( hinc: CTR), con la sentenza n. 7507/2016 depositata in data 28/11/2016, ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 11231/2015, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Roma aveva parzialmente accolto , limitatamente all’iva, il ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE consortile a RAGIONE_SOCIALE ( hinc: RAGIONE_SOCIALE o la contribuente) contro quattro avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2006 -2009. Con tali avvisi venivano rettificate le dichiarazioni in relazione all’IVA indebitamente detratta e, in merito all’anno 2009, veniva contestata, ai soli fini IRAP e IRES, l’omessa contabilizzazione di sopravvenienze attive e la mancata documentazione di sopravvenienze passive, con un recupero a tassazione di Euro 151.578,00, oltre sanzioni e interessi.
1.1. La contribuente -ente con natura e finalità consortile – agendo in nome proprio e per conto dei soci nel settore del facility management , gestiva il portafoglio clienti, assegnando la commessa direttamente a società operative nel 2006 e, successivamente, ad altre società consortili che, a loro volta, riassegnavano le commesse a società operative. Queste ultime fatturavano, quindi, direttamente alla contribuente oppure alle altre società consortili che rifatturavano, poi, a RAGIONE_SOCIALE. La contestazione dell’amministrazione finanziaria nei confronti di quest’ultima scaturisce dalla sistematica sottrazione delle società operative all’adempimento degli obblighi fiscali.
La CTR ha ritenuto che il giudice di prime cure avesse correttamente valutato tutti gli aspetti relativi alla controversia, evidenziando che l’amministrazione finanziaria, pur dichiarandosi convinta che la contribuente, con piena consapevolezza, avesse partecipato ad un ampio disegno fraudolento volto alla sottrazione agli adempimenti connessi al pagamento dell’IVA, non aveva ritenuto, tuttavia, di produrre gli avvisi di accertamento volti al recupero di tale imposta nei confronti delle società operative. Di conseguenza il mancato adempimento dell’IVA da parte di queste ultime risultava meramente affermato e non provato da parte dell’amministrazione finanziaria. Ad avviso della CTR l’operato dell’amministrazione finanziaria comporta , quindi, una sorta di duplicazione dell’imposta da parte della società contribuente, prima con il pagamento del fornitore dell’opera e poi mediante il recupero a tassazione.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con tre motivi.
La contribuente ha resistito con controricorso.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione degli artt. 18 e 57 d.lgs. n. 546 del 1992, anche in combinato disposto con l’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente evidenzia che gli avvisi di accertamento impugnati muovevano dal presupposto che le società operative che avevano emesso le fatture nei confronti della società intimata o nei confronti delle società consortili di cui quest’ultima era socia avessero evaso il pagamento dell’IVA. Tale circostanza non solo non è stata contestata, ma addirittura ammessa nei ricorsi introduttivi
da parte della società contribuente, che si era limitata a sostenere la mancanza di prova in ordine al suo coinvolgimento nella frode fiscale. La contestazione dell’omesso versamento dell’IVA da parte delle società operative non è presente neppure nelle memorie illustrative depositate in primo grado e nelle controdeduzioni depositate in appello.
Con il secondo motivo è stata denunciata la violazione dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
2.1. La ricorrente rileva che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, gli agenti accertatori assumono la qualifica di pubblici ufficiali. Nella specie il fatto che le società operative non avessero presentato le dichiarazioni fiscali e versato l’IVA ri sulta dalle pag. 26, 31, 34, 40, 45, 49, 51, 53-54, 56 e 58 del PVC del 04/08/2010, nonché dalle pag. 21 e 22 del PVC del 27/04/2012.
L’omessa dichiarazione e l’omesso versamento dell’IVA attengono, infatti, al cd. contenuto estrinseco dell’atto, in quanto sono stati ricavati dalla consultazione della banca dati dell’anagrafe tributaria operata dai redattori del PVC con un procedimento cui è estraneo ogni margine di valutazione soggettiva. Di conseguenza, la CTR ha violato l’art. 2700 c.c. nella parte in cui ha ritenuto che non fosse provato il mancato assolvimento degli obblighi di dichiarazione e di versamento in materia di IVA, nonostante la mancata presentazione della querela di falso da parte della società contribuente.
Con il terzo motivo di ricorso è stata denunciata la violazione dell’art. 19 d.P.R. 26/10/1972, n. 633 in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.
3 .1. Con tale motivo viene censurata l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata secondo cui: « si potrebbe davvero giungere al risultato, non privo di spunti paradossali, di realizzare una sorta di duplicazione dell’imposta, corrisposta dalla società una
prima volta con il pagamento al fornitore dell’opera quale soggetto cedente, una seconda con il recupero a tassazione attuato mediante gli impugnati avvisi di accertamento». Sul punto ha richiamato Cass. n. 6419 del 2003; Cass. n. 8783 del 2001; Cass., n. 5427 del 2000, Cass. Sez. U, n. 5733 del 1998). Inoltre, per consolidata giurisprudenza, la frode fiscale costituisce sempre un limite generale al principio di neutralità del l’IVA.
I motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
4.1. Occorre premettere che la giurisprudenza unionale (tra varie, CGUE, 11/01/2024, causa C-537/22, § 35-36) ha precisato che « il diritto a detrazione può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Infatti, occorre ricordare che la lotta contro evasioni, elusioni ed eventuali abusi costituisce un obiettivo riconosciuto e incoraggiato dalla direttiva IVA e che la Corte ha dichiarato in più occasioni che i singoli non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione. Pertanto, quand’anche siano soddisfatte le condizioni sostanziali del diritto a detrazione, spetta alle autorità e ai giudici nazionali negare il beneficio di tale diritto se è dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che detto diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo .
Per quanto riguarda l’evasione, secondo una giurisprudenza costante, il beneficio del diritto a detrazione deve essere negato non solamente quando un’evasione dell’IVA sia commessa dal soggetto passivo stesso, ma anche qualora si dimostri, alla luce di elementi oggettivi, che il soggetto passivo, al quale sono stati ceduti i beni o
prestati i servizi posti a fondamento del diritto a detrazione, sapeva o avrebbe dovuto sapere che, con l’acquisto di tali beni e servizi, partecipava ad un’operazione che si iscriveva in una siffatta evasione ».
4.2. Nel caso in esame, la CTR, pur richiamando in narrativa la prospettazione dell’Ufficio, che evidenziava « i legami tra le società verificate; legami idonei a dimostrare non solo che la RAGIONE_SOCIALE era informata degli aspetti organizzativi, economici e finanziari dei lavori affidati alle società operative, ma anche che gestiva direttamente e controllava tali società », si è limitata a far leva sulla mancanza di avvisi di accertamento concernenti il recupero dell’imposta nei confronti delle suddette società.
Il riscontro relativo all’omessa presentazione della dichiarazione e del versamento dell’IVA da parte delle società operative , ove costituisca l’esito di un riscontro operato dal pubblico ufficiale, è da ritenere provato fino a querela di falso. L’art. 2700 c.c. -parametro normativo eretto a fondamento del secondo motivo di ricorso prevede, infatti, che: « L’atto pubblico è il documento redatto, con le richieste formalità, da un notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato ad attribuirgli pubblica fede nel luogo dove l’atto è formato ».
Questa Corte ha precisato che, in tema di accertamento tributario, il processo verbale di constatazione ha un valore probatorio diverso a seconda della natura dei fatti da esso attestati, assumendo così un triplice livello di attendibilità: a) ha fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che ha conosciuto senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale e quanto
alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale o alle dichiarazioni a lui rese; b) fa fede fino a prova contraria quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi ed anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi, che è fornita quando la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consente al giudice ed alle parti il controllo e la valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) è comunque un elemento di prova in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, che il giudice in ogni caso valuta, in concorso con gli altri elementi, e disattende solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, considerata la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (Cass., 05/07/2024, n. 18420).
Nell’ambito della classificazione appena riportata deve ritenersi che la verifica, da parte degli organi accertatori, circa l’avvenuta presentazione o meno delle dichiarazioni fiscali e dei versamenti IVA, comportando un’attività di mero riscontro totalmen te priva di margini di apprezzamento, rientri nell’ambito dei fatti coperti da fede privilegiata, con la conseguente fondatezza del secondo motivo di ricorso . Nel caso di specie, pertanto, l’indicazione nel PVC circa l’omessa presentazione della dichiarazi one da parte delle società operative e del mancato versamento dell’IVA , ove riscontrata, è coperta da fede privilegiata ai sensi e per gli effetti dell’art. 2700 c.c., trattandosi di fatti privi del benché minimo margine di apprezzamento. La CTR ha pertanto errato, dal momento che, ai fini della prova ha dato rilievo alla mancata produzione degli avvisi di accertamento nei confronti delle società operative, senza valutare i
riscontri formali eseguiti dagli organi accertatori e coperti da fede privilegiata ai sensi dell’art. 2700 cod. civ.
Sebbene quanto appena evidenziato assuma rilievo assorbente ai fini della prova dell’omesso versamento dell’IVA da parte delle società operative, unico elemento valorizzato dalla sentenza impugnata, occorre rilevare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che non risulta valutata la condotta processuale della contribuente quanto al mancato versamento dell’IVA da parte delle società operative (sunteggiata alle pagine 8-9 del ricorso in cassazione, e calibrata sull’assenza del consilium fraudis ). Tanto più che quest’ultima, nel riportare i contenuti della sentenza penale (su cui, v. infra ) a pag. 9 del controricorso, riferisce che: « l’unica imposta evasa che era possibile ipotizzare era dunque, al limite, riferibile esclusivamente alle società operative».
4.3. In ogni caso, la CTR ha operato un’inversione metodologica, dal momento che l’indetraibilità dell’IVA pagata dal cessionario non è la causa, ma l’effetto della compartecipazione o della conoscenza (o della conoscibilità) da parte di quest’ultimo della frode perpetrata dal cedente che abbia omesso di dichiarare e versare l’IVA applicata in rivalsa al cessionario stesso. Giova sottolineare al riguardo che in base al meccanismo della frode carosello il fatturante è, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo, ma l’operazione si iscrive per quanto riguarda quel trasferimento o per quanto riguarda i passaggi precedenti – in una combinazione negoziale fraudolenta di cui l’acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla l’avvalimento in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell’IVA da parte di un cedente. Anche in questa ipotesi l’iva che figura pagata al cedente in via di rivalsa non è detraibile dato che ad essa -con la consapevolezza o la partecipazione del cessionario -non solo non corrisponde un
versamento all’erario, ma non corrisponde un’attività economica effettiva ed il trasferimento all’intermediario formale ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione.
4.4. Il recupero dell’IVA da parte dell’amministrazione finanziaria non determina, poi, alcun fenomeno di doppia imposizione (con la conseguente fondatezza anche del terzo motivo di ricorso).
Si consideri che la giurisprudenza unionale ha stabilito che l’art. 205 della direttiva iva, letto alla luce del principio di proporzionalità, dev’essere interpretato nel senso che esso non osta finanche a una prassi nazionale che impone al soggetto passivo, destinatario di una cessione di beni effettuata a titolo oneroso, un obbligo solidale di versare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) dovuta dal fornitore di tali beni, anche qualora il diritto alla det razione dell’IVA dovuta o assolta a monte sia stato negato al destinatario di tale cessione di beni per il motivo che esso sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare a una frode in materia di IVA. In tal caso, ha chiarito la CGUE, non si configura alcun arricchimento senza causa dell’Amministrazione finanziaria, la quale si limita ad adottare misure idonee a consentirle di ottenere il versamento degli i mporti dell’IVA distinti che le sarebbero dovuti da tali due soggetti passivi (CGUE, 10/07/2025, causa C-276/24, COGNOME v. o. s., in qualità di curatore fallimentare della RAGIONE_SOCIALE, § 52 e principio di diritto).
4.5. Tali considerazioni si rivelano assorbenti anche in merito a quanto evidenziato dalla controricorrente a pag. 18 del controricorso con riferimento al giudicato penale che avrebbe escluso l’uso di fatture per operazioni inesistenti in capo alla Uniserve, così come avrebbe escluso anche l’evasione di imposta da parte di quest’ultima e l’esistenza della sua partecipazione a un disegno criminoso. Non solo la sentenza del Tribunale di Roma del 02/07/2015 -secondo quanto riportato a pag. 8 del controricorso -avrebbe assolto
l’amministratore di Uni serve perché il fatto non è previsto dalla legge come reato (non rientrando quindi, in ogni caso, nell’ambito di applicazione dell’art. 21 bis d.lgs. n. 74 del 2000) ma la valutazione del rilievo probatorio di tale pronuncia penale è rimessa al giudice di rinvio, alla luce di quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, i cui orientamenti devono comunque essere confermati con riferimento ai casi non rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 21 bis cit. Di conseguenza, il giudice tributario, nel verificare se il contribuente fosse consapevole dell’inserimento dell’operazione in un’evasione di imposta, non può riferirsi alle sole risultanze del processo penale, ancorché riguardanti i medesimi fatti, ma, nell’esercizio dei suoi poteri, è tenuto a valutare tali circostanze sulla base del complessivo materiale probatorio acquisito nel giudizio tributario, non potendo attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile su reati tributari alcuna automatica autorità di cosa giudicata, attesa l’autonomia dei due giudizi, la diversità dei mezzi di prova acquisibili e dei criteri di valutazione (Cass., 04/12/2020, n. 27814; Cass., 24/11/2017, n. 28174).
4.6. Si consideri, infine, che in relazione agli anni d’imposta 2006 e 2007, da Cass. 23 novembre 2020, nn. 26535 e 26536 emerge che NOME COGNOME citato nella sentenza impugnata nell’odierno giudizio e indicato, secondo quanto riportato nella narrativa di questa, dalla stessa contribuente ‘ al vertice della RAGIONE_SOCIALE, fosse, in base ad apprezzamento di fatto non adeguatamente censurato, l’amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE società consorziata nella RAGIONE_SOCIALE, che aveva omesso la presentazione delle dichiarazioni dei redditi modello unico e non aveva tenuto le scritture contabili.
5. Alla luce di quanto sin qui evidenziato il ricorso deve essere accolto.
5.1. La sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
…
P.Q.M.
accoglie il ricorso;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado del Lazio che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, il 11/07/2025.