Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 33442 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 33442 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20606/2021 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA-MILANO n. 2066/2021 depositata il 04/06/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che:
Deve premettersi che il giudizio approda in cassazione per la seconda volta.
Dagli atti di causa, ed in particolar modo dall’ordinanza rescindente, emessa dalla Sez. 5 Civ. di questa Suprema Corte all’esito dell’udienza del 29/03/2019 con il n. 16010, si apprende, in punto di fatto, quanto segue.
La CTP di Varese, con sentenza n. 171/04/16, rigettava il ricorso proposto di RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato maggiore imponibile IVA per indebita detrazione scaturente da una nota di variazione, ex artt. 26 e 19 del d.P.R. n. 633/1972, pari ad euro 74.100,00.
La verifica traeva origine da un avviso di accertamento emesso ai fini del recupero a tassazione di IRES e IRAP , con il quale era stato ripreso a tassazione un costo ritenuto non inerente dell’importo di euro 370.500,00, relativo ad un premio riconosciuto dalla contribuente a RAGIONE_SOCIALE, dedotto nell’esercizio 2009 di competenza, con conseguente detrazione, nell’anno di imposta 2010, dell’IVA, pari ad euro 74.100,00, calcolata con l’aliquota del 20 per cento.
La contribuente proponeva appello, rigettato dalla CTR della Lombardia con sentenza n. 680/16/17.
La contribuente proponeva ricorso per cassazione, denunciando, in particolare, con il primo motivo, violazione e falsa applicazione dell’art. 109, comma 5, tuir, nella parte in cui era stata confermata l’indetraibilità dell’IVA.
3.1. Leggesi, riguardo alla formulazione di tale motivo, nell’ordinanza rescindente:
Premettendo che la stessa Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1870/1/2017, pubblicata il 28 aprile 2017, accogliendo l’appello della contribuente, aveva annullato l’avviso di accertamento concernente l’annualità d’imposta 2009 e recante il rilievo della indeducibilità del premio di euro 370.500,00, concesso nello stesso anno alla RAGIONE_SOCIALE su cui si fonda la conseguente contestazione, oggetto del presente giudizio, di indetraibilità della corrispondente I.V.A., pari ad euro 74.100,00, evidenzia che sussiste un contrasto tra la predetta sentenza e quella impugnata in questa sede, che si sono pronunciate sulla medesima fattispecie, ossia in ordine ad avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2009 e 2010 strettamente connessi.
Lamenta che i giudici regionali, con la sentenza di cui chiede la cassazione in questa sede, condividendo i rilievi sollevati dall’Ufficio nell’avviso di accertamento, hanno dichiarato l’indeducibilità del premio riconosciuto alla società RAGIONE_SOCIALE rapportando implicitamente la valutazione di inerenza del relativo costo non all’oggetto dell’impresa, come prescritto dal quinto comma dell’art. 109 del d.P.R. n. 917/1986, bensì esclusivamente ai ricavi maturati per effetto del rapporto commerciale intercorso tra le due società, nonostante fosse stato dimostrato, nel corso del giudizio di primo grado, che il costo oggetto di contestazione era strettamente connesso alla sfera dell’attività stessa.
3.2. La Sez. V Civ., con l’ordinanza rescindente, accoglieva il primo motivo di ricorso, per l’effetto cassando la sentenza d’appello in allora impugnata con rinvio.
In motivazione osservava:
L’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla ricorrente è infondata.
7.1. La Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 1870/1/2017, depositata il 28 aprile 2017, pronunciandosi sull’appello proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso l’avviso di accertamento emesso in relazione all’anno d’imposta 2009, ed in particolare sul rilievo concernente la deducibilità del premio di euro 370.500,00, elargito nello stesso anno dalla contribuente alla RAGIONE_SOCIALE -da cui è scaturito il rilievo di indetraibilità della corrispondente I.V.A., nella misura di euro 74.100,00, contenuto nell’avviso di accertamento oggetto di impugnazione in questo giudizio -lo ha ritenuto fondato. In particolare, con la suddetta pronuncia, la Commissione regionale, analizzando il rapporto commerciale intercorso tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, ha osservato che, contrariamente a quanto ritenuto dall’Ufficio, quest’ultima non potesse essere paragonata ad un comune cliente della RAGIONE_SOCIALE, dovendo piuttosto essere definita il suo braccio operativo, «con la molteplice funzione di testare gli articoli forniti dalla odierna appellante (RAGIONE_SOCIALE, secondo le sue indicazioni di garantirle la migliore allocazione sul mercato e di rendere costantemente a quest’ultima informazioni sugli andamenti dei livelli di gradimento dei singoli modelli», e che pertanto la RAGIONE_SOCIALE remunerava i servizi resi proprio con gli sconti sull’acquisto e con il premio oggetto di contestazione da parte dell’Ufficio, avente funzione di indennizzo per il rischio d’impresa che la
RAGIONE_SOCIALE si accollava. Ha, pertanto, riconosciuto deducibile, perché correlato all’attività di impresa, il costo per euro 370.500,00, considerando illegittima la rettifica operata dall’ufficio sul presupposto dell’antieconomicità degli accordi intercorsi tra le due società nel 2009.
7.2. In linea generale deve osservarsi che la sentenza con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi a una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. n. 20029 del 30/9/2011; Cass. n. 13079 del 25/7/2012).
7.3. Con riguardo alle controversie in materia di I.V.A., va ribadito che esse sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall’art. 2909 cod. civ., e dalla eventuale sua proiezione anche oltre il periodo di imposta che ne costituisce specifico oggetto, ove gli stessi impediscano -secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di giustizia del 3 settembre 2009, in causa C -2/08 -la realizzazione del principio di contrasto dell’abuso del diritto, individuato dalla giurisprudenza comunitaria come strumento teso a garantire la piena applicazione del sistema armonizzato di imposta (Cass. n. 16996 del 5/10/2012). Il giudicato formatosi in materia di tributi diretti non è, dunque, preclusivo delle questioni
concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di I.V.A., anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto (Cass. n. 25200 del 30/11/2009) .
9. Il primo motivo è fondato .
9.1. Occorre preliminarmente precisare, alla luce dei più recenti arresti della Corte, il contenuto del principio di inerenza, nonché il suo rapporto con il giudizio di congruità ed antieconomicità.
9.2. Premesso che un costo è deducibile in quanto inerente all’attività d’impresa, questa Corte ha affermato che il «principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d’impresa ed esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale», esclusa ogni valutazione in termini di utilità (anche solo potenziale o indiretta) o congruità, perché «il giudizio sull’inerenza è di carattere qualitativo e non quantitativo» (Cass. n. 450 del 11/1/2018; Cass. n. 18904 del 17/7/2018). Si è inoltre rilevato che «il giudizio quantitativo o di congruità non è, però, del tutto irrilevante» ed accede al diverso piano logico e strutturale dell’onere della prova dell’inerenza del costo e ciò perché «l’oggetto del giudizio di congruità, a differenza di quello sull’inerenza, indica il rapporto tra lo specifico atto d’acquisto (l’atto d’impresa) di un diritto o di una utilità con la decurtazione: è un giudizio sulla proporzionalità tra il quantum corrisposto ed il vantaggio conseguito» (Cass. n. 33574 del 28/12/2018).
9.3. Ai fini delle imposte sui redditi, la valutazione di antieconomicità -ossia della evidente incongruità dell’operazione -legittima dunque il potere dell’Amministrazione finanziaria di accertamento, tenuto
conto che le condotte che sono connotate da eccessività di componenti negativi e da compressione di componenti positivi di reddito sono indici rivelatori di un occultamento di capacità contributiva, sicché la accertata sproporzione del costo assume valore sintomatico del fatto che il rapporto in cui il costo si inserisce è estraneo all’attività d’impresa, ossia che l’atto non è correlato alla produzione, ma assolve a diverse finalità e, pertanto, il requisito dell’inerenza è inesistente ed il costo non è deducibile.
9.4. In materia di I.V.A., ai fini della valutazione dell’inerenza, il giudizio di congruità ha una diversa incidenza, di per sé non idonea ad escludere il diritto a detrazione, salvo che l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione sia «tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad I.V.A.» (Corte di Giustizia, 20 gennaio 2005, C -412/03, RAGIONE_SOCIALE, per cui «la circostanza che un’operazione economica sia effettuata ad un prezzo superiore o inferiore al prezzo di costo, e dunque a un prezzo superiore o inferiore al prezzo normale di mercato, è irrilevante»; Corte di Giustizia, 26 aprile 2012, C -621/10 e C -129/11, Balkan; Corte di Giustizia, 9 giugno 2011, C -285/10, Campsa Estaciones de Servici°, Corte di Giustizia, 2 giugno 2016, in C.263/15, Lajvér; Cass. n. 2875 del 3/2/2017; Cass. n. 2240 del 30/1/2018).
9.5. Con riguardo all’I.V.A., pertanto, il giudizio di congruità non investe il giudizio di inerenza, ma la contestazione dell’Ufficio e, in particolare, i contenuti della prova posta a suo carico, che non può essere soddisfatta adducendo la mera antieconomicità dell’operazione, di per sé priva di rilievo. Ciò significa che, in materia di I.V.A.,
«l’inerenza del costo non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l’Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità » (Cass. n. 18904 del 17/7/2018).
9.6. Nella vicenda in esame, la Commissione regionale, disconoscendo la detraibilità dell’I.V.A. ha così motivato: «osserva che appaiono spropositati i premi riconosciuti alla MM sia in relazione a quanto riconosciuto ad altri clienti, che in relazione alla redditività del rapporto intrattenuto con la stessa MM. Inoltre, le attività della MM avrebbero potuto essere svolte dalla stessa appellante, tenendo in considerazione la tipologia degli acquisti effettuati, dei tempi, delle quantità, della distribuzione territoriale, onde acquisire i dati necessari per una indagine di mercato, che con molta probabilità era già stata attuata relativamente agli articoli forniti ad altri clienti, considerato che la RAGIONE_SOCIALE rappresentava commercialmente circa il 55% dei ricavi aziendali dell’appellante. Ancora, i soci della società ricorrente sono gli stessi della MM ed i premi riconosciuti sono stati necessari per evitare perdite alla MM. Pertanto la ricorrente non ha fornito prove sufficienti per giustificare le ragioni economiche sottostanti alle operazioni contestate dall’Ufficio, motivo per il quale risulta anche nella presente sede legittimo il disconoscimento della detrazione dell’I.V.A. connessa, per altro, al disconoscimento reiterato nel tempo, anche relativamente ai costi collegati all’I.V.A….». Il giudizio espresso dai giudici di appello risulta ancorato agli orientamenti pregressi della Corte, in quanto la Commissione regionale ha ritenuto che il riconoscimento, da parte della contribuente, del premio nella misura accertata in favore della RAGIONE_SOCIALE integrasse operazione priva di giustificazione economica, senza valutare che il carattere
antieconomico dell’operazione, in ragione della peculiarità del regime dell’I.V.A., non ha rilievo se esso non assuma una connotazione di macroscopicità tale da costituire ulteriore indice rivelatore della mancanza di inerenza.
La contribuente riassumeva il giudizio, denunciando (come da, secondo, ricorso per cassazione, che ne occupa):
L’illegittimità dell’atto impositivo per due ordini di ragioni;
per violazione dell’art. 19 del DPR n. 633/72, per palese inerenza ed evinti ragioni economiche di gruppo per la nota di credito in esame ;
in ragione dell’economicità e congruità della nota di credito in argomento, confermata da sentenza definitiva ;
l’errata applicazione della normativa sul ‘transfer pric domestico in relazione ai costi infragruppo per soggetti residenti nel territorio italiano .
4.1. La CTR della Lombardia, giudicando in sede di rinvio, con la sentenza in epigrafe, ‘conferma la sentenza di primo grado’.
4.2. In motivazione, premesso che la sentenza della CTR n. 1870/1/2017 ‘può, al più, fornire delle informazioni in merito alla particolarità dei rapporti in essere fra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, osservava:
-in base al solo principio qualitativo, il pagamento del premio di consumo apparire quale costo inerente all’attività societaria ;
-tuttavia, come rilevato dalla Corte di cassazione, l’eventuale detraibilità dell’IVA deve essere esaminata anche sotto un profilo quantitativo . L’antieconomicità dell’operazione deve essere ‘macroscopica ‘, come precisato sentenza della Corte di cassazione n.
18904/2018 che riveste particolare importanza , non solo perché viene richiamata dall di rinvio ma anche perché ha esaminato un caso analogo a quello di cui si discute: in particolare, è stata trattata e decisa la questione della detraibilità dell’IVA relativa al premio di consumo corrisposto da RAGIONE_SOCIALE società dello stesso gruppo a cui appartiene RAGIONE_SOCIALE
Di seguito:
Del pari, nella presente vertenza, vi sono numerosi elementi che inducono a ritenere che l’operazione posta in essere da RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE fosse così macroscopicamente antieconomica da costituire un sintomo rivelatore della mancanza di inerenza.
Seguono le circostanze evidenziate dall’Ufficio in sede di accertamento.
L’Ufficio, tuttavia, non si è limitato a richiamare tali circostanze ma ha approfondito le ragioni economiche sottostanti ai rapporti commerciali in essere con la RAGIONE_SOCIALE, sviluppando uno ‘studio finalizzato alla determinazione della redditività del suddetto cliente ‘.
termini dell’analisi, l’Ufficio è giunto alla conclusione che RAGIONE_SOCIALE rappresenta per RAGIONE_SOCIALE una ‘reale perdita di reddito’ in quanto ‘gli sconti ed i premi alla stessa riconosciuti rappresentano non solo un costo non sostenibile ma elidono totalmente la redditività del cliente ‘.
I premi e gli sconti praticati alla RAGIONE_SOCIALE sono quindi risultati, non solo anomali se confrontati con quelli applicati agli altri client, ma anche incoerenti con la media del settore.
A riguardo risultano rilevanti e decisivi i seguenti elementi evidenziati dall’Ufficio:
-i ricavi (pari ad euro 511.951,41) percepiti da RAGIONE_SOCIALE, al netto del premio riconosciuto a RAGIONE_SOCIALE, appaiono ‘non assolutamente congrui e sufficienti a remunerare i fattori della produzione ‘;
-in assenza del cliente RAGIONE_SOCIALEi costi totali di produzione calerebbero aumentando in tal modo chiaramente la redditività’
–RAGIONE_SOCIALE inoltre, solo grazie all’introito del premio di consumo, ha evitato di chiudere in perdita l’esercizio 2009.
Tali dati oggettivi, già esposti nel pvc e nel relativo avviso di accertamento, non sono stati in alcun modo confutati dalla società contribuente la quale, anche nel ricorso in riassunzione, si è prevalentemente soffermata a descrivere il particolare rapporto in essere con RAGIONE_SOCIALE in termini esclusivamente astratti e teorici, senza evidenziare alcun vantaggio economico commerciale effettivamente raggiunto.
Le difese svolte da RAGIONE_SOCIALE dunque, non risultano esaustive e, comunque, non idonee a superare (o quantomeno incrinare) l’ampio e consolidato impianto probatorio fornito dall’Ufficio.
A parere di questo Collegio, si in presenza di un’operazione macroscopicamente antieconomica che perseguiva fini ulteriori e diversi rispetto all’inerenza: come ben evidenziato dall’Ufficio, il premio versato a RAGIONE_SOCIALE favoriva tutto il gruppo societario in quanto consentiva a RAGIONE_SOCIALE di portare in deduzione il relativo costo,
così riducendo il proprio utile ed il carico fiscale, mentre RAGIONE_SOCIALE poteva ottenere un ricavo che, di fatto, non veniva assoggettato ad imposta (e che, come già detto, ha evitato alla società di chiudere in perdita .
RAGIONE_SOCIALE lamenta altresì l’asserita nullità dell’avviso di accertamento per violazione dell’art. 110 c. 7 DPR 917/1986 (così detto ‘transfer pricing domestico’): si tratta, in realtà, di un motivo che non rientra nell’oggetto del contendere, come devoluto dalla Corte di cassazione e che, dunque, non può essere esaminato.
Propone ricorso per cassazione la contribuente con due motivi; l’agenzia delle entrate si costituisce ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza. La contribuente deposita ampia memoria telematica, ad ulteriore illustrazione delle proprie ragioni.
Considerato che:
Con il primo motivo si denuncia: ‘Violazione falsa applicazione dell’art. 17 della Direttiva IVA 77/388/CEE del 17 maggio 1977 e dell’art. 19 DPR n. 633/1972, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per avere erroneamente i Giudici di appello valutato l’inerenza dei premi -quantità (a fronte delle prestazioni di ‘marketing’ rese da RAGIONE_SOCIALE nell’interesse generale del gruppo) in base ai criteri validi per la determinazione reddituale, ma inapplicabili nella normativa IVA’.
1.1. ‘Pur partendo da una premessa ineccepibile, la CTR non individua alcuna manifesta antieconomicità nella pratica commerciale di accordare degli sconti, da parte società capofila, alla società del gruppo operante al dettaglio, al fine di testare e valutare il mercato. Appare erroneo il richiamo al concetto di inerenza proprio delle imposte dirette (art. 109, comma 5,
tuir), laddove nella specie si verte in tema di diritto alla detrazione dell’IVA ; a tale proposito, si deve rilevare come il soggetto che detrae l’imposta non debba dimostrare il conseguimento di uno specifico interesse economico, essendo sufficiente, stante il principio di neutralità dell’IVA, la prova del mero impiego di beni e servizi per operazioni rilevanti ai fini IVA, che si attua con l’assolvimento della rivalsa a monte nei confronti del cedente. Si tratta di una prova adeguatamente fornita dalla RAGIONE_SOCIALE, che ha semplicemente riconosciuto un adeguato sconto alla società che gestisce la rete di vendita al dettaglio ‘. ‘Non si capisce come la palese inerenza degli sconti a titolo di premio -quantità, che -come detto -la ricorrente erogava a Mumble Mumble, a fronte di una complessa attività di ‘marketing’ e ricerca di mercato svolta da quest’ultima in favore degli oltre 20 punti vendita gestiti e dislocati nei centri commerciali magazzini di tutta Italia, possano essere definiti macroscopicamente antieconomici per l’utilità del gruppo, tanto da impedirne la detraibilità dell’IVA esposta nella nota di credito. La CTR della Lombardia non ha minimamente considerato il valore commerciale dell’attività svolta dalla RAGIONE_SOCIALE nell’interesse del gruppo RAGIONE_SOCIALE. ‘Insomma, in base alla giurisprudenza di questa Suprema Corte, per determinare la indetraibilità dell’IVA in operazioni B2B, è necessario che la prestazione ad essa relativa sia qualificata come inesistente (con conseguente abuso del diritto) o finalizzata ad interessi personali/extra -imprenditoriali’. ‘i deve evidenziare la totale violazione del legittimo affidamento del contribuente a causa del contegno processuale dell’Agenzia delle entrate, la quale ha rinunciato al ricorso per cassazione con riferimento all’IRES . Nel processo odierno, invece, la controparte ha riproposto le stesse tematiche in tema di non congruità dello sconto trascurando in maniera contraddittoria la acquiescenza rispetto alla sentenza IRES per il 2009’. Segue, nel motivo, la disamina delle ragioni della
‘palese economicità dello sconto -quantità cui si riferisce la detrazione IVA’.
Con il secondo motivo si denuncia: ”Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. cv. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver la CTR attribuito l’onere della prova in merito alla ‘macroscopica antieconomic’ dell’operazione contestata ad una parte diversa (il contribuente) rispetto a quella che ne era normativamente onerata (Agenzia entrate)’.
2.1. A proposito della definitività della sentenza della CTR della Lombardia n. 1870/1/2017 in riferimento all’IRES, ‘seppur vero che non si può parlare di giudicato esterno in merito alla medesima fattura/nota di credito nel rapporto tra imposte dirette ed IVA, non si può tacere che la valutazione ai fini della deducibilità di un costo (considerato inerente ai sensi dell’art. 109 tuir da una sentenza definitiva) deve essere più stringente rispetto al detraibilità della relativa IVA . Si tratta, appunto, di un obbligo di allegazione probatoria a carico dell’Ufficio. Tuttavia, nel caso di specie, a causa di una errata attribuzione dell’onere probatorio da parte della CTR, si è arrivati al paradosso di un costo giudicato inerente ai fini reddituali, cui corrisponde un’IVA indetraibile per manifesta antieconomicità della medesima operazione. La CTR ha onerato contribuente di una indebita prova contraria in merito alla non -antieconomicità della prestazione in oggetto ‘.
Entrambi i motivi, congiuntamente scrutinabili per evidente sovrapponibilità di censure, pur pregevolmente articolati, sono infondati e devono essere disattesi.
3.1. In via preliminare, con riguardo alla sentenza definitiva della CTR della Lombardia 1870/1/2017 sulle riprese relative all’IRES, richiamata insistitamente soprattutto nel secondo motivo, deve ulteriormente ribadirsi, come già fatto nell’ordinanza rescindente ed ancora nella sentenza quivi impugnata, che il
relativo esito favorevole alla contribuente non produce di per sé identico effetto in questo giudizio, il quale, riguardando un’imposta armonizzata qual è l’IVA, è insensibile al giudicato annullatorio di atti impositivi aventi ad oggetto pretese circoscritte ad un’imposta non armonizzata qual è l’IRES.
Sotto altro profilo, l’affermazione, contenuta in detto motivo, secondo cui ‘la valutazione ai fini della deducibilità di un costo (considerato inerente ai sensi dell’art. 109 tuir da una sentenza definitiva) deve essere più stringente rispetto al detraibilità della relativa IVA’, oltreché pretermettere la diversità di prospettiva tra imposte dirette ed IVA (come evidenziato dall’ordinanza rescindente), si rivela meramente astratta ed assertiva, non riproducendo con congrua ampiezza la motivazione della sentenza n. 1870/1/2017, onde render conto delle specifiche ragioni della riconosciuta deducibilità del costo e, oltre, della loro attitudine ad essere ulteriormente valutate, con egual esito, ai fini dell’anelata detraibilità dell’IVA.
3.2. Fatta tale premessa, è a rilevarsi che la CTR, anzitutto, ha espressamente richiamato i principi enunciati dall’ordinanza rescindente in punto di negazione della detrazione dell’IVA per manifesta e macroscopica antieconomicità dell’operazione, evidenziando come Cass. n. 18904 del 2018, da cui l’ordinanza rescindente ha tratto conferma di detti principi, sia viepiù pertinente, in quanto relativa ad ‘un caso un caso analogo a quello di cui si discute’, siccome impingente sulla ‘questione della detraibilità dell’IVA relativa al premio di consumo corrisposto da RAGIONE_SOCIALE società dello stesso gruppo a cui appartiene RAGIONE_SOCIALE
La CTR, in appresso, facendo piana applicazione di tali principi, ha evidenziato gli elementi che -posti a fondamento dall’accertamento – denotano la ‘macroscopica antieconomicità’ dell’operazione. Essa, in particolar modo, richiama i risultati dello
‘studio finalizzato alla determinazione della redditività ‘, segnatamente evidenziando come, a termini di questo, per un verso, ‘i ricavi percepiti da RAGIONE_SOCIALE, al netto del premio riconosciuto a RAGIONE_SOCIALE, appaiono ‘non assolutamente congrui e sufficienti a remunerare i fattori della produzione’ e, per altro verso, ‘RAGIONE_SOCIALE , solo grazie all’introito del premio di consumo, ha evitato di chiudere in perdita l’esercizio’.
Siffatti due profili suggellano il giudizio in fatto – attinto dalla CTR -dell’essersi ‘in presenza di un’operazione macroscopicamente antieconomica’. La CTR aggiunge che ‘tali dati oggettivi non sono stati in alcun modo confutati dalla società contribuente’, limitatasi ‘a descrivere il particolare rapporto in essere con RAGIONE_SOCIALE in termini esclusivamente astratti e teorici’, senza pertanto riuscire ‘a superare l’ampio e consolidato impianto probatorio fornito dall’Ufficio.
Ora, siffatto ‘modus opinandi’ della CTR rende conto dell’infondatezza, anzitutto, del secondo motivo, palese essendo che la CTR ha evinto la conclusione della macroscopica antieconomicità dagli elementi fattuali somministrati dall’Ufficio, il quale dunque ha adempiuto ai propri oneri allegatorio e probatorio. Né il rilievo della mancata confutazione, ad opera della contribuente, di ‘tali dati oggettivi’ integra il denunciato sovvertimento dei criteri di cui all’art. 2697 cod. civ., criteri cui anzi presta pacificamente ossequio: invero, a fronte dell’avere l’Ufficio, secondo la CTR, fornito la prova della macroscopica antieconomicità, proprio in ragione dell’art. 2697 cod. civ., era onere della contribuente fornire la controprova, dimostrando la non antieconomicità. Alla richiesta di siffatta controprova, peraltro, si è limitata la CTR, senza affatto richiedere, né testualmente né concettualmente, la prova, per così dire positiva, dell’economicità (come invece erroneamente assunto nel secondo motivo). La CR ha
pertanto fatto piana applicazione degli oneri probatori, nei termini da ultimo cristallizzati dalla giurisprudenza: ‘In tema di IVA, il diritto alla detrazione dell’imposta va escluso, ferma la non immediata applicazione dei principi espressi con riguardo all’imposizione diretta, se l’Amministrazione finanziaria dimostri l’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, come tale esulante dal normale margine di errore di valutazione economica, che assume rilievo quale indizio di non verità della fattura, e, dunque, di non verità dell’operazione stessa o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all’utilizzo per operazioni assoggettate ad IVA; in tal caso spetterà all’imprenditore dimostrare che la prestazione del bene o servizio è reale ed inerente all’attività svolta’ (Cass. n. 27961 del 2021).
Ciò detto, il superiore ‘modus opinandi’ della CTR rende conto dell’infondatezza, altresì, del primo motivo.
Invero, come visto, la CTR, ben lungi dall’applicare schemi di valutazione dell’inerenza propri dell’ambito delle imposte dirette, secondo quanto in esso denunciato, muove invece ‘expressis verbis’ dalla necessità, tipicamente involta dalla questione della detraibilità dell’IVA, di verificare la macroscopica antieconomicità dell’operazione, secondo le indicazioni sia dell’ordinanza rescindente che di Cass. n. 18904 del 2018: ‘ome rilevato dalla Corte di cassazione, l’eventuale detraibilità dell’IVA deve essere esaminata anche sotto un profilo quantitativo . L’antieconomicità dell’operazione deve essere ‘macroscopica ”), in effetti evidenziando, di poi, che l’operazione era manifestamente antieconomica, alla luce dei due richiamati e non specificamente contestati profili, ed ulteriormente chiudendo il
cerchio con la considerazione che essa non aveva altra giustificazione se con quella di recuperare fiscalmente il costo in capo alla contribuente e di finanziare senza carico fiscale RAGIONE_SOCIALE con un ricavo esentato da imposta: ‘ in presenza di un’operazione macroscopicamente antieconomica che perseguiva fini ulteriori e diversi rispetto all’inerenza il premio versato a RAGIONE_SOCIALE consentiva a RAGIONE_SOCIALE di portare in deduzione il relativo costo, così riducendo il proprio utile ed il carico fiscale, mentre RAGIONE_SOCIALE poteva ottenere un ricavo che, di fatto, non veniva assoggettato ad imposta (e che, come già detto, ha evitato alla società di chiudere in perdita ‘.
Talché, avendo la CTR individuato il vantaggio fiscale e finanziario in capo all’intero gruppo quale (unico) vantaggio indebito dell’operazione, ciò che sottrae consistenza ad alcuna giustificazione sostanziale delle note di credito in contestazione palesando il presupposto per il recupero dell’IVA altrettanto indebitamente detratta secondo le indicazioni della giurisprudenza unionale già esaminata nell’ordinanza rescindente (cui si rinvia), non coglie nel segno neppure quella parte delle censure, di cui al secondo motivo in disamina, volte a rivendicare la contestualizzazione del ruolo di RAGIONE_SOCIALE nel gruppo societario mettente capo alla contribuente: ora – in disparte la non autosufficienza del motivo per non indicare donde, tra gli atti e documenti dei giudizi di merito, emergerebbe l’esistenza di un gruppo involgente la contribuente e RAGIONE_SOCIALE con le rispettive posizioni ed operatività in esso pretese – la CTR non ha affatto pretermesso di confrontarsi con la logica di gruppo ritenuta essenziale dalla contribuente, giungendo, anzi, proprio su questo versante, a trarre espressa conferma della ritenuta macroscopica antieconomicità. Né al riguardo il motivo nulla oppone in contrario.
In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con le statuizioni consequenziali come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia le spese di lite, liquidate in euro 5.900,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso stesso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso a Roma, lì 12 dicembre 2024.