Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 15707 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 15707 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/06/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 12171/2022 R.G. proposto da
Agenzia delle entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
COGNOME Paolo COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al controricorso (PEC: EMAILpecEMAILordineavvocaticatania.it);
-controricorrente e ricorrente incidentale – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 10433/06/2021, depositata il 23.11.2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 febbraio 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Catania rigettava il ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME esercente l’attività di commercio al dettaglio di carburanti per autotrazione, avverso l’avviso di accertamento, per imposte
Oggetto: Tributi – Accertamento induttivo cd. puro – Deducibilità costi – Detrazione IVA
dirette ed IVA, in relazione all’anno 2012 , con il quale era stato ricostruito il suo reddito d’impresa e il volume d’affari con metodo induttivo;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Sicilia accoglieva parzialmente l’appello proposto dal contribuente, rilevando, per quanto ancora qui interessa, che:
la ripresa era legittima con riguardo alle imposte dirette e alle sanzioni;
-l’accertamento era stato condotto con il metodo induttivo cd. puro, in quanto nel corso della verifica fiscale era emerso che non erano stati istituiti e tenuti i registri contabili obbligatori ai fini fiscali, la documentazione esibita dal contribuente era carente e non attendibile, non erano state presentate le dichiarazioni fiscali annuali; – a seguito della ricostruzione induttiva dei ricavi andavano comunque riconosciuti i costi che dovevano essere determinati induttivamente e non sulla base delle fatture esibite dal contribuente, non essendo una
possibile un riconoscimento analitico di costi a fronte di contabilità ‘globalmente inattendibile’;
sulla scorta della giurisprudenza unionale e di legittimità era, invece, fondata la doglianza dell’appellante circa il riconoscimento del diritto alla detrazione dell’IVA assolta sulle fatture passive esibite , essendo state contestate al contribuente solo violazioni di natura formale e dichiarativa, che non mettevano in dubbio l’effettivo assolvimento dell’imposta a monte ;
tutte le fatture di acquisto, peraltro, emesse dalla RAGIONE_SOCIALE, erano corredate dai corrispondenti DAS regolarmente vistati dall’Ufficio delle dogane;
-l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
il contribuente resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.
CONSIDERATO CHE
-Con il primo motivo del ricorso principale l’Agenzia deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 55 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 2697 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR errato nel riconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA assolta sulle fatture passive versate in atti , posto che non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della detraibilità, avendo il contribuente non solo omesso di presentare la dichiarazione annuale ai fini delle imposte dirette, IRAP e IVA, ma anche di istituire e tenere i prescritti registri contabili IVA e di effettuare le liquidazioni periodiche dell’IVA ; precisa che non si era in presenza di violazioni meramente formali, in quanto le fatture di acquisto erano state esibite in modo frammentario e non risultavano annotate nel prescritto registro IVA, non potendosi, quindi, evincere l’osservanza dei requisiti indispensabili per la detrazione;
-con il secondo motivo, l’Agenzia ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo e controverso, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riproponendo sotto altro profilo la medesima censura mossa con il primo motivo;
-i predetti motivi, che per connessione vanno esaminati congiuntamente, sono fondati nei termini di seguito indicati;
come hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U. 8 settembre 2016, n. 17757), “la neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale, l’eccedenza d’imposta risultante da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto –
sia riconosciuta dal giudice tributario se siano stati rispettati dal contribuente tutti i requisiti sostanziali per la detrazione; pertanto, in tal caso, il diritto di detrazione non può essere negato nel giudizio d’impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato, laddove, pur non avendo il contribuente presentato la dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, sia dimostrato in concreto – ovvero non controverso – che si tratti di acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati a IVA e finalizzati a operazioni imponibili” ;
le Sezioni Unite hanno osservato che «nel complesso normativo e nel formante giurisprudenziale dell’UE emerge (..) che il fatto costitutivo del rapporto tributario col fisco nazionale è ravvisato dalla effettività e liceità dell’operazione, mentre obblighi di registrazione, dichiarazione e consimili hanno una diversa funzione meramente illustrativa e riepilogativa dei dati contabili, finalizzata ad agevolare i controlli dell’Amministrazione finanziaria per l’esatta riscossione dell’imposta. L’esercizio del diritto di detrazione dell’eccedenza IVA, che deve essere tutelato in modo sostanziale ed effettivo, va dunque riconosciuto a fronte di una reale operazione sottostante, la cui prova certa può essere acquisita dai dati risultanti dalle fatture o da altro documento equivalente, come, ad esempio, la documentazione contabile, essendo, invece, a tal fine poco rilevante l’osservanza degli obblighi dichiarativi »;
-l’Amministrazione finanziaria non può, quindi, pretendere la restituzione dell’IVA per ragioni meramente formali, se non risultano mancanti anche i requisiti sostanziali del diritto alla detrazione, come viene richiesto anche dalla giurisprudenza unionale (causa C-590/13 RAGIONE_SOCIALE), secondo la quale «i requisiti sostanziali del diritto a detrazione sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti all’art.
17 della sesta direttiva» (punto 41), mentre «i requisiti formali del diritto a detrazione disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione. Tali requisiti sono contenuti negli artt. 18 e 22 della sesta direttiva» (punto 42). Pertanto, «per quanto riguarda gli acquisti intracomunitari di beni imponibili, i requisiti sostanziali esigono, come emerge dall’art. 17, paragrafo 2, lettera d) della sesta direttiva, che tali acquisti siano stati effettuati da un soggetto passivo, che quest’ultimo sia parimenti debitore dell’IVA attinente a tali acquisti e che i beni di cui trattasi siano utilizzati ai fini di proprie operazioni imponibili» (punto 43);
– il principio sopra richiamato è stato ulteriormente precisato nel senso che il diritto alla detrazione deve essere riconosciuto anche nel caso di violazione di requisiti formali di cui agli artt. 18 e 22 della direttiva n. 77/388/CEE (cd. sesta direttiva) – quali la mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, ovvero l’omessa tenuta del registro IVA acquisti – qualora il contribuente dimostri, mediante fatture o altra idonea documentazione contabile, il rispetto dei requisiti sostanziali di cui all’art. 17 della citata direttiva, purché detto diritto venga esercitato entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi dell’art. 8, comma 3, del d.P.R. n. 322 del 1998 (Cass. 27 luglio 2018, n. 19938);
– la regola della prevalenza dei requisiti sostanziali su quelli formali trova un limite solo in due casi: il primo ricorre quando l’inosservanza di alcuni requisiti formali abbia prodotto l’effetto di impedire l’acquisizione della prova certa del rispetto dei requisiti sostanziali, mentre il secondo si configura quando il soggetto passivo abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale (Corte Giust., 17
ottobre 2019, C-653/18, Unitel sp. z.o.o. ; Corte Giust, 28 luglio 2016, C-332/15, NOME COGNOME ; Cass. n. 143 del 5/01/2022);
la questione investe, dunque, il piano probatorio, nel senso che occorre verificare se, nonostante il mancato rispetto dei requisiti formali (omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, omessa tenuta della regolare contabilità, omessa presentazione delle dichiarazioni IVA periodiche), il contribuente, in quanto acquirente, sia in grado di provare di avere diritto di recuperare l’imposta pagata a titolo di rivalsa, dimostrando in concreto che gli acquisti sono stati fatti da un soggetto passivo d’imposta in possesso di fattura, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili (Cass. n. 17757/2016 cit.);
a tale proposito occorre ribadire che, se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna, grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto a detrazione, negando la corrispondenza della realtà effettuale a quella rappresentata nelle scritture contabili, l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova; mentre, se a tali obblighi non si attiene, spetta al contribuente fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta (Cass. n. 7576 del 15/04/2015; Cass. n. 6921 del 17/03/2017);
-il diritto alla detrazione dell’eccedenza IVA, in caso di mancata redazione delle dichiarazioni periodiche o di quella annuale, è consentito, ma non senza limiti temporali, dovendo il contribuente dimostrare di averlo esercitato entro il termine di decadenza previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello nel quale è sorto ai sensi dell’art. 8, comma 3, del
d.P.R. n. 322/1998, ratione temporis vigente (Cass. 27 luglio 2018, n. 19938; Cass. 3 aprile 2018, n. 8131);
tale limite temporale è conforme al diritto unionale, avendo la Corte di Giustizia UE chiarito che il diritto alla detrazione può essere esercitato anche oltre il periodo di imposta, purché ciò avvenga nel rispetto delle normative di diritto interno, non potendo il diritto di detrazione essere esercitato senza limiti di tempo (Corte di Giustizia UE, C-332/15 cit., punti 32 e 33), per cui non osta al diritto dell’Unione una norma di diritto interno che preveda che il diritto di detrazione sia sottoposto a decadenza, purché sia rispettato il principio di equivalenza (Corte di Giustizia UE, 14 ottobre 2021, C45/20 e C-46/20, punti 59 -62);
al riguardo occorre precisare che, trattandosi di decadenza stabilita dalle leggi fiscali in favore dell’Amministrazione finanziaria, la stessa è pacificamente rilevabile d’ufficio, persino in sede di legittimità in quanto attinente a situazioni indisponibili determinate dall’esigenza di assicurare la stabilità delle entrate tributarie entro un periodo di tempo definito (Cass. n. 20617 del 29/09/2020; n. 16432 del 12/06/2024);
nella specie, il giudice di appello ha accertato che i requisiti sostanziali erano stati dimostrati dal contribuente, mediante la produzione delle fatture di acquisto, dalle quali si evinceva il suo diritto alla detrazione. La CTR ha sul punto precisato che l’attendibilità intrinseca delle fatture di acquisto esibite si evinceva dal fatto che erano tutte corredate dai DAS (documento di accompagnamento semplificato), regolarmente vistati dall’Ufficio doganale, trattandosi di acquisti di prodotti petroliferi, per cui non si poteva dubitare dell’effettivo assolvimento dell’IVA esposta nelle fatture;
la sentenza impugnata, tuttavia, non ha verificato la tempestività dell’esercizio della detrazione, avendo il contribuente omesso per
diversi anni di presentare le prescritte dichiarazioni annuali ai fini IVA, imposte dirette e IRAP, sicchè su tale punto il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo esame;
-passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo il contribuente deduce la violazione ed errata applicazione dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per non avere la CTR riconosciuto la deducibilità dei costi certificati dalle fatture di acquisto del contribuente, peraltro poste a fondamento dell’integrale detraibilità dell’IVA e mai contestate dall’Ufficio, sull’errato presupposto che l’applicazione di una detrazione analitica dei costi sarebbe incompatibile con l’accertamento induttivo puro;
– il motivo è infondato;
-è pacifico che l’Amministrazione finanziaria ha effettuato nei confronti del contribuente un accertamento induttivo cd. puro ai sensi dell’art. 39, comma 2, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, per cui doveva tenere conto, in ossequio al principio di capacità contributiva, non solo dei maggiori ricavi accertati, ma anche della incidenza percentuale dei costi relativi (Corte costituzionale n. 225 del 2005);
questa Corte ha sul punto più volte affermato che «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, tanto che, qualora per alcuni proventi non sia possibile accertare i costi, questi possono essere determinati induttivamente, perché diversamente si assoggetterebbe ad imposta, come reddito d’impresa, il profitto lordo, anziché quello netto, in contrasto con il parametro costituzionale della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost .» (Cass. n. 3995 del 2009;
Cass. n. 23314 del 2013; Cass. n. 25317 del 2014; Cass. n. 26748 del 2018);
-da ciò si evince che nell’accertamento induttivo cd. puro il contribuente può sempre fornire la prova dell’effettivo esborso della spesa, dovendo l’Amministrazione altrimenti determinare comunque i costi in modo forfetario;
-i presupposti per procedere all’accertamento induttivo, infatti, non precludono il riconoscimento di costi effettivamente sostenuti che devono essere, tuttavia, provati dal contribuente;
i giudici di appello si sono attenuti, nella sostanza, ai richiamati principi, avendo escluso la possibilità di riconoscere in modo analitico i costi di acquisto del carburante, in considerazione della contabilità ‘globalmente inattendibile’ che precludeva ‘una ricostruzione analitica e puntuale dei ricavi’ , con ciò disconoscendo la valenza degli elementi di prova forniti dal contribuente; dal foglio 7 del PVC richiamato dell’avviso di accertamento, riprodotto per autosufficienza dalla ricorrente Agenzia nel testo del ricorso per cassazione (p. 10) risulta, peraltro, che le fatture di acquisto erano state ‘esibite in modo frammentario’ e che per le stesse, non essendo state annotate nel prescritto registro IVA, non era possibile verificare l’osservanza dei requisiti della competenza economica, dell’inerenza e della determinabilità;
occorre, infine, dare atto che il ricorrente incidentale ha depositato in data 19.05.2022 istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato;
sul punto va precisato che è evidente che non è la Corte di cassazione a dover provvedere su tale istanza;
l’art. 124 del d.p.r. n. 115 del 2002 (« Organo competente a ricevere l’istanza» stabilisce che: «1. L’istanza è presentata esclusivamente dall’interessato o dal difensore, ovvero inviata, a
mezzo raccomandata, al consiglio dell’ordine degli avvocati. 2. Il consiglio dell’ordine competente è quello del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il processo, ovvero, se il processo non pende, quello del luogo in cui ha sede il magistrato competente a conoscere del merito. Se procede la Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, ovvero le sezioni riunite o le sezioni giurisdizionali centrali presso la Corte dei conti, il consiglio dell’ordine competente è quello del luogo ove ha sede il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato ».
-l’art. 138 del d.P.R. cit. (‘ Commissione del patrocinio a spese dello Stato ‘) prevede poi che: « 1. Presso ogni commissione tributaria è costituita una commissione del patrocinio a spese dello Stato composta da un presidente di sezione, che la presiede, da un giudice tributario designato dal presidente della commissione, nonché da tre iscritti negli albi o elenchi di cui all’articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modificazioni, designati al principio di ogni anno a turno da ciascun ordine professionale del capoluogo in cui ha sede la commissione e dalla direzione regionale delle entrate….. ».
-l’art. 139 del medesimo d.P.R. (‘ Funzioni della commissione ‘) stabilisce che: « 1. Le funzioni che gli articoli 79, 124, 126, 127 e 136 attribuiscono, anche in modo ripartito, al consiglio dell’ordine degli avvocati e al magistrato sono svolte solo dalla commissione del patrocinio a spese dello Stato; l’istanza respinta o dichiarata inammissibile dalla commissione non può essere proposta al magistrato davanti al quale pende il processo o competente a conoscere il merito »;
dal combinato disposto delle disposizioni sopra richiamate deriva che, ove l’interessato intenda proporre ricorso per cassazione, deve presentare l’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato
alla Commissione per il patrocinio a spese dello Stato, costituita presso la Commissione tributaria (ora Corte di Giustizia tributaria) che ha emesso il provvedimento impugnato;
in conclusione, va accolto il ricorso principale e rigettato quello incidentale; la sentenza impugnata va cassata, in relazione ai motivi del ricorso principale, nei termini di cui in motivazione, con rinvio alla competente Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, che provvederà ad un nuovo esame e alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
-stante l’esito del ricorso incidentale, occorre dare atto, ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, COGNOME NOME Giovanni, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto;
come è stato affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. n. 4315/2020), infatti, «La debenza di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione è normativamente condizionata a “due presupposti”, il primo dei quali di natura processuale – è costituito dall’aver il giudice adottato una pronuncia di integrale rigetto o di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione, mentre il secondo -appartenente al diritto sostanziale tributario – consiste nella sussistenza dell’obbligo della parte che ha proposto impugnazione di versare il contributo unificato iniziale con riguardo al momento dell’iscrizione della causa a ruolo. L’attestazione del giudice dell’impugnazione, ai sensi all’art. 13, comma 1-quater, secondo periodo, T.U.S.G., riguarda solo la sussistenza del primo presupposto, mentre spetta all’amministrazione giudiziaria accertare la sussistenza del secondo »;
la Corte ha altresì precisato che: «Poiché l’obbligo di versare un importo “ulteriore” del contributo unificato è normativamente dipendente – ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, T.U.S.G. – dalla sussistenza dell’obbligo della parte impugnante di versare il contributo unificato iniziale, ben può il giudice dell’impugnazione attestare la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento del doppio contributo, condizionandone la effettiva debenza alla sussistenza dell’obbligo di versare il contributo unificato iniziale»;
-spetterà, quindi, all’Amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per l’inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento, in relazione all’esito dell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presentata dal ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso principale e rigetta quello incidentale; cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi del ricorso principale e nei termini di cui in motivazione, e rinvia la causa alla Corte di Giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così d eciso in Roma, nell’adunanza camerale del 28 febbraio 2025
Il Presidente NOME COGNOME