Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 12465 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 12465 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24124/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avv. NOME COGNOME giusta delega in calce al ricorso per cassazione, con domicilio eletto presso lo Studio Legale RAGIONE_SOCIALE, in Roma, INDIRIZZO
PEC: EMAIL
– ricorrente- contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata, in Roma, INDIRIZZO. PEC: EMAIL
avverso la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del LAZIO n. 2562/23, depositata il 2 maggio 2023, non notificata; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO CHE
La Commissione tributaria regionale ha rigettato l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado avente ad oggetto la cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA per recupero di un minor credito Iva ed Ires, oltre a sanzioni ed interessi, per l’anno 2015, in relazione alla quale i giudici di primo grado avevano dichiarato la intervenuta cessazione della materia del contendere in relazione al ruolo n. 550259/2019 e rigettato il ricorso con riguardo alla richiesta dell’importo di euro 111.954,00 conseguente al ruolo n. 250787/2019.
I giudici di secondo grado, in particolare, hanno ritenuto che il credito di imposta, oggetto della cartella, era sorto nell’anno 2012 ed il suo corretto importo (anche se non indicato nella dichiarazione Iva/2013, ovvero nei termini previsti per la dichiarazione integrativa) doveva comunque essere dedotto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo, ovvero entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione Iva/2014 ; l’errore in cui era incorsa l a società non era mai stato rilevato mediante presentazione di dichiarazione integrativa e il credito ritenuto corretto era stato invece direttamente inserito in una successiva dichiarazione Iva, oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il
diritto era sorto, con la conseguente conferma della sentenza di primo grado.
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a due motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate.
CONSIDERATO CHE
Il primo mezzo deduce l’o messo esame di un fatto storico la cui esistenza risulti dal testo della sentenza e dagli atti processuali, che costituisce oggetto di discussione tra le parti e riveste carattere decisivo per la controversia ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. Il credito di imposta sorto nell’anno 2012 ed il suo corretto importo (anche se non indicato nella dichiarazione IVA/2013, ovvero nei termini previsti per la dichiarazione integrativa) poteva essere detratto, come di fatto avvenuto nel caso in esame, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione IVA/2015, per l’anno d’imposta 2014 e non come erroneamente dichiarato dalla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del LAZIO « … entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione IVA/2014 … » . Di qui l’errore commesso dalla CTR che, in contrasto con le disposizioni sopra richiamate, aveva ritenuto di rigettare il ricorso in appello, confermando la sentenza della CTP.
1.1 Senza prescindere dalla circostanza che, contrariamente a quanto affermato dalla società ricorrente i giudici di secondo grado hanno specificamente esaminato la sussistenza del diritto alla detrazione dell’Iva per una determinata annualità anche nel caso d i mancata presentazione della prescritta dichiarazione integrativa, ritenendo che l’errore concernente l’ammontare del credito Iva era stato realizzato nella dichiarazione Iva/2013, presentata per l’anno 2012, e solo nella dichiarazione Iva /2015 era stato indicato il credito di imposta corretto,
il motivo è inammissibile in relazione all’omesso esame di fatto decisivo, in costanza del principio della cd. doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c. e non avendo la parte attuale ricorrente specificato in ricorso le ragioni di fatto poste rispettivamente a fondamento della decisione di primo grado e di secondo grado, così dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 20 marzo 2024, n. 7442; Cass., 20 settembre 2023, n. 26934; Cass., 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass., 9 marzo 2022, n. 7724; Cass., 26 gennaio 2021, n. 1562; Cass., 11 maggio 2018, n. 11439); U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., Sez., 7 aprile 2014, n. 8053).
Il secondo motivo deduce, in subordine, la violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 360, comma primo, n. 3, c.p.c. La Corte di Giustizia di secondo grado, pur avendo correttamente individuato la norma applicabile alla fattispecie in oggetto, aveva applicato un termine incoerente con quanto disposto dalla norma stessa. Il termine entro il quale doveva essere dedotto il credito era quello corrispondente al termine previsto per la presentazione della dichiarazione IVA/2015, per l’anno d’imposta 2014 .
2.1 Il motivo è inammissibile in quanto si tratta di una doglianza diretta, con evidenza, a censurare una erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, dovendosi richiamare il principio statuito da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass., 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., 4 aprile2017, n. 8758; Cass., 2 agosto 2016, n. 16056; Cass., Sez. U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., 4 marzo 2021, n. 5987).
2.2 Peraltro, nel caso in esame, la censura si appalesa aspecifica, poiché non si confronta con il contenuto del provvedimento impugnato, che, esaminando specificamente le argomentazioni difensive della società appellante, ha affermato che il credito di imposta, oggetto della cartella, era sorto nell’anno 2012 ed il suo corretto importo (anche se non indicato nella dichiarazione Iva/2013, ovvero nei termini previsti per la dichiarazione integrativa) doveva comunque essere dedotto entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo, ovvero entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione Iva/2014; dunque , l’errore in cui era incorsa la società non era mai stato rilevato mediante presentazione di dichiarazione integrativa e il credito ritenuto corretto era stato invece direttamente inserito in una successiva dichiarazione Iva, oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto era sorto. 2.3 Ciò, peraltro, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato che « In caso di omessa presentazione della dichiarazione annuale IVA, è consentita l’iscrizione a ruolo dell’imposta detratta e la consequenziale emissione di cartella di pagamento, potendo il fisco operare, con procedure automatizzate, un controllo formale che non tocchi la posizione sostanziale della parte contribuente e sia scevro da profili valutativi e/o estimativi nonché da atti di indagine diversi dal mero raffronto con dati ed elementi dell’anagrafe tributaria, ai sensi degli artt. 54-bis e 60 del d.P.R. n. 633 del 1972, fatta salva, nel successivo giudizio di impugnazione della cartella, l’eventuale dimostrazione, a cura del contribuente, che la deduzione d’imposta, eseguita entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, riguardi acquisti fatti da un soggetto passivo d’imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili » (Cass., Sez.
U., 8 settembre 2016, n. 17758 e, più di recente, Cass., 23 febbraio 2018, n. 4392; Cass., 9 dicembre 2021, n. 39181; Cass. , 6 agosto 2024, n. 22241).
2.4 La sentenza impugnata ha, dunque, motivato secondo il prudente apprezzamento delle concrete circostanze acquisite al processo e nell’esercizio del potere giurisdizionale tipicamente attribuito al giudice del merito, che, come già detto, non è suscettibile di valutazione in sede di legittimità.
Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente va condannata al pagamento delle spese processuali, sostenute dalla Agenzia controricorrente e liquidate come in dispositivo, nonché al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.800,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis , dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, in data 27 marzo 2025.