Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22921 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22921 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14423/2016 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME
-intimato-
avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA CALABRIA n. 2310/2015 depositata il 18/12/2015.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/06/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Calabria ( hinc: CTR), con sentenza n. 2310/15 depositata in data 18/12/2015, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate contro la sentenza n. 5/07/12, con cui la Commissione provinciale di Cosenza aveva accolto il ricorso proposto da COGNOME NOME contro l’avviso di accertamento con il quale era stata rettificata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2004.
La CTR, in sede di verifica della ritualità dell’appello, ha evidenziato che non era stata prodotta alcuna prova della ricevuta di spedizione dell’atto per raccomandata a mezzo del servizio postale, tanto più che nell’atto d’appello non veniva fatto alc un riferimento a tale deposito. Tale omissione non poteva ritenersi sanata dalla produzione dell’avviso di ricevimento della raccomandata unitamente alla copia del ricorso in appello. Il mancato deposito della ricevuta è sanzionato con l’inammissibilità dell’impugnazione, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del processo. L’omesso deposito della ricevuta della raccomandata postale nel termine di legge non risponde, infatti, allo schema legale previsto ed è inidoneo al raggiungimento dello scopo, da individuare nella tempestiva costituzione in giudizio dell’appellato e nel l’impedimento del passaggio in giudicato della sentenza impugnata.
2.1. La CTR ha, poi, ritenuto che il mancato deposito nel termine di trenta giorni dalla spedizione a mezzo posta del ricorso in appello e della ricevuta della spedizione della raccomandata non può essere
sanato ex post con la tardiva produzione del documento mancante all’udienza di trattazione.
Contro la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso in cassazione con un motivo.
La parte intimata non si è costituita.
…
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso è stata denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 53, comma 2, 22, comma 1, d.lgs. n. 546 del 1992, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.
1.1. La ricorrente rileva che la CTR ha dichiarato inammissibile l’appello in ragione della mancata produzione della ricevuta di spedizione, ritenendo che tale documento fosse necessario per verificare la tempestività non solo dell’impugnazione, ma anche della costituzione della parte appellante e che il termine di trenta giorni previsto nell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 decorr esse dalla data di spedizione e non da quella di ricezione del ricorso. Tale conclusione contrasta, tuttavia, con l’orientamento d ella giurisprudenza di legittimità.
1.2. La CTR ha poi ritenuto irrilevante la produzione dell’avviso di ricevimento -prodotto unitamente al ricorso -da cui risultava che l’atto era stato spedito il 06/12/2012 e ricevuto il 07/12/2012, ben prima del termine di scadenza per la proposizione dell’impugnazione (considerato che la sentenza di primo grado era stata depositata il 30/04/2012).
1.3. La parte ricorrente ha, quindi, rilevato che, se la funzione processuale della ricevuta di spedizione postale del ricorso è quella di consentire la verifica della tempestività dell’impugnazione, la pronuncia di inammissibilità può conseguire non per il fatto che tale
ricevuta non sia stata depositata unitamente al ricorso, ma per il fatto che il ricorso non risulti effettivamente proposto nel termine di legge. Il mancato deposito della ricevuta di spedizione, al momento della costituzione in giudizio dell’appellante, non costit uisce, di per sé, prova della non tempestività del ricorso, tale da giustificare la dichiarazione di inammissibilità. La presenza (o meno) agli atti della ricevuta di spedizione è processualmente ininfluente, ove sia stato prodotto tempestivamente l’avviso di ricevimento del plico che, secondo la giurisprudenza di legittimità, è normalmente idoneo ad assolvere le funzioni proprie di quello di spedizione.
2. In via preliminare, occorre dare atto della ritualità e tempestività della notificazione del ricorso in cassazione. La sentenza impugnata risulta, infatti, depositata in data 18/12/2015 e il ricorso è stato oggetto di due notificazioni: una prima notificazione eseguita, in data 01/06/2016, nei confronti del contribuente (rimasto contumace nel giudizio d’appello) presso l’avv. NOME COGNOME presso il cui studio era domiciliato (come risulta dall’intestazione della sentenza di primo grado della CTP e da q uanto affermato nell’incipit di quest’ultima) e un’altra notificazione eseguita direttamente nei confronti del contribuente, dapprima con esito negativo (in data 16/06/2016) e, successivamente, con esito positivo, a seguito del tentativo di a ccesso dell’ufficiale giudiziario presso la residenza anagrafica (in data 18/07/2016), seguito dalla consegna della raccomandata ex art. 140 cod. proc. civ. al familiare convivente, in data 21/07/2016.
Sul punto va fatta applicazione, quanto alla prima notifica, del principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza 20/7/2016, n. 14916), secondo le quali, in tema di ricorso per cassazione avverso le sentenze delle commissioni tributarie regionali, si applica, con riguardo al luogo della sua
notificazione, la disciplina dettata dall’art. 330 c.p.c.; tuttavia, in ragione del principio di ultrattività dell’indicazione della residenza o della sede e dell’elezione di domicilio effettuate in primo grado, sancito dall’art. 17, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, è valida la notificazione eseguita presso uno di tali luoghi, ai sensi del citato art. 330, comma 1, seconda ipotesi, c.p.c., ove la parte non si sia costituita nel giudizio di appello, oppure, costituitasi, non abbia espresso al riguardo alcuna indicazione.
Passando all’esame del motivo di ricorso proposto, occorre richiamare, in via preliminare, il testo dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, dove si legge che: « il ricorrente, entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso, a pena d’inammissibilità deposita, nella segreteria della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado adita, o trasmette a mezzo posta, in plico raccomandato senza busta con avvi so di ricevimento, l’originale del ricorso notificato a norma degli artt. 137 e seguenti del codice di procedura civile ovvero copia del ricorso consegnato o spedito per posta, con fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione con raccomandata a mezzo del servizio postale» .
3.1. L’omesso deposito del ricorso notificato a mezzo del servizio postale nel termine di trenta giorni unitamente alla fotocopia della ricevuta di spedizione è sanzionato dal legislatore con l’inammissibilità, come tale insuscettibile di sanatoria (arg. ex Cas s., 20/01/2023, n. 1765).
La ratio dell’art. 22 d.lgs. n.546 del 1992 è quella di porre il giudice di seconde cure in grado di verificare, in limine litis , la tempestività della proposizione dell’atto d’appello, che nel caso di notificazione a mezzo del servizio postale, richiede il riscontro della data di consegna all’ufficio postale stesso. La disposizione in esame, sebbene funzionale ad assicurare l’ordinato e celere svolgimento del
giudizio d’appello, finisce per porre , tuttavia, un limite in ordine all’accesso al giudizio di impugnazione in capo alla parte risultata soccombente nel giudizio di primo grado. Ne consegue la necessità di verificarne l ‘interpretazione conforme (o comunque coordinata) con l’art. 6 CEDU (che costituisce parametro interposto di costituzionalità della norma interna quale è l’art. 22 d.lgs. n.546 del 1992 -in relazione all’art. 117 Cost. ), considerato (anche) il principio generale di sussidiarietà, di cui al preambolo della Convenzione Europea dei Diritt i dell’Uomo (come modificato a seguito dell’entrata in vigore del Protocollo XV ), secondo il quale spetta agli Stati contraenti il compito di garantire, all’interno dei rispettivi ordinamenti, i diritti tutelati dalla CEDU. Non vi possono essere dubbi sul fatto che all’attuazione di tale compito concorrano (anche) gli organi giurisdizionali, attraverso l’interpretazione del diritto interno in modo conforme alle disposizioni della CEDU o la rimessione degli atti alla Corte costituzionale nel caso in cui il c ontrasto della norma interna con l’art. 117 Cost., in relazione al parametro interposto costituito dalla norma convenzionale (C. cost. 24/10/2007, n. 348 e 349) non sia superabile neppure attraverso l’interpretazione costituzionalmente orientata.
4.1. A tal proposito occorre precisare che la norma convenzionale deve essere interpretata secondo il significato attribuito, o comunque ricostruibile in assenza di precedenti specifici, nell’ambito della giurisprudenza della Corte EDU, considerata la funzione interpretativa eminente che gli Stati contraenti hanno riconosciuto alla Corte europea, contribuendo con ciò a precisare i loro obblighi internazionali nella specifica materia (C. cost. n. 348 del 2007, considerato 4.6).
La Corte EDU con riferimento all’interpretazione dell’art. 6 CEDU (sentenza 23/05/2024, NOME e altri c. Italia, § 69) ha precisato
che: « Dalla giurisprudenza della Corte si evince che il diritto di accesso ai tribunali non è assoluto bensì può essere sottoposto a limiti: essi sono implicitamente ammessi perché il diritto di accesso per sua stessa natura esige di essere disciplinato dallo Stato che sotto questo profilo gode di un certo margine di discrezionalità. Benché la decisione finale in merito all’osservanza dei requisiti della Convenzione spetti alla Corte, non fa assolutamente parte delle sue funzioni sostituire alla valutazione delle autorità nazionali altre valutazioni in ordine a quale potrebbe essere la migliore politica in tale ambito. Le limitazioni applicate, però, non devono restringere l’accesso di cui dispone la persona in modo e misura tale da compromettere la sostanza stessa del diritto. Inoltre, una limitazione non è compatibile con l’articolo 6 § 1 qualora non persegua un fine legittimo e non vi sia un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e i fini che si intende perseguire (si vedano COGNOME, sopra citata, § 78; COGNOME e altri, sopra citata, §§ 10910)».
4.2. La Corte EDU riconosce, quindi, che il diritto di accesso ai tribunali non è assoluto, ma può essere sottoposto a limiti, la cui individuazione è rimessa allo Stato che gode di un margine di discrezionalità, che non è, a sua volta, illimitato, ma risente di una duplice condizione.
La prima condizione è che le limitazioni al diritto di accesso a un tribunale non possono spingersi fino a svuotare l’essenza del diritto garantito dall’art. 6 CEDU.
La seconda condizione è che le limitazioni al diritto di accesso a un tribunale sono compatibili con l’art. 6 CEDU se perseguono un fine legittimo e vi è un ragionevole rapporto di proporzionalità tra i mezzi impiegati e i fini che si intendono perseguire. Sul punto occorre rilevare che la legittimità dello scopo e la proporzionalità tra mezzo
e fine sono due requisiti che devono essere presenti cumulativamente. Il riscontro di uno scopo legittimo che giustifichi la limitazione del diritto di accesso non è, quindi, sufficiente ad assicurare la conformità della disposizione normativa che prevede tale limitazione con l’art. 6 CEDU, se non è contestualmente ravvisabile un ragionevole rapporto di proporzionalità tra mezzo e fine.
4.3. Nel caso dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 tenuto conto di quanto rilevato supra, sub 4. -il legislatore, con l’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, persegue un fine legittimo, che è quello di assicurare l’ordinato e celere svolgimento del giudizio d’appello (e di attuare il principio della res iudicata ), mettendo il giudice di seconde cure in grado di riscontrare, in limine litis , l’eventuale tardività dell’impugnazione e di far passare , immediatamente, la causa in fase decisoria, nella misura in cui la questione di rito si riveli astrattamente idonea a definire il giudizio, dando atto della formazione del giudicato.
4.4. La compatibilità dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 con l’art. 6 CEDU si gioca, quindi, sulla verifica (oltre del fatto che l’adempimento formale non sia tale da determinare lo svuotamento dell’essenza del diritto garantito dall’art. 6 CEDU, anche) del rapporto di proporzionalità tra mezzo e fine. Tale verifica richiede, preliminarmente, la disamina degli orientamenti interpretativi della giurisprudenza di legittimità.
Le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U, 29/05/2017, n. 13452) hanno precisato che, nel processo tributario, non costituisce motivo d’inammissibilità del ricorso (o dell’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, il fatto che il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della
raccomandata da parte del destinatario, depositi l’avviso di ricevimento del plico e non la ricevuta di spedizione, purché nell’avviso di ricevimento medesimo la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. Solo in tal caso, infatti, l’avviso di ricevimento è idoneo ad assolvere la medesima funzione probatoria che la legge assegna alla ricevuta di spedizione; invece, in loro mancanza, la non idoneità della mera scritturazione manuale o comunemente dattilografica della data di spedizione sull’avviso di ricevimento può essere superata, ai fini della tempestività della notifica del ricorso (o dell’appello), unicamente se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza).
5.1. Successivamente questa Corte (Cass., 27/10/2022, n. 31879) ha precisato che nel processo tributario è inammissibile il ricorso (o l’appello), che sia stato notificato direttamente a mezzo del servizio postale universale, ove il ricorrente (o l’appellante), al momento della costituzione, non abbia depositato la ricevuta di spedizione del plico, o l’elenco delle raccomandate recante la data ed il timbro dell’ufficio postale, o l’avviso di ricevimento nel quale la data di spedizione sia asseverata dall’ufficio postale con stampigliatura meccanografica ovvero con proprio timbro datario. In difetto della produzione di tali documenti contestualmente alla costituzione il giudice, se non sussistono i presupposti della rimessione in termini, non può sanare l’inammissibilità ordinandone la successiva esibizione ai sensi dell’art. 22, comma 5, del d.lgs. n. 546 del 1992, ed il tempestivo perfezionamento della notifica a mezzo posta del ricorso (o dell’appello) può ritenersi provato soltanto se la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale
come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza).
6. Il quadro interpretativo dell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 sin qui delineato deve ritenersi conforme all’interpretazione della recente giurisprudenza della CEDU, nella misura in cui, da un lato, la norma interna -nel prevedere, in caso di notifica dell’atto di appello a mezzo del servizio postale, la produzione, a pena di inammissibilità, della fotocopia della ricevuta di deposito o della spedizione con raccomandata a mezzo del servizio postale – impone un onere formale che non svuota l’essenza del diritto di accesso a un tribunale, trattandosi di un documento che è nella diretta disponibilità della stessa parte appellante, al quale viene direttamente consegnato al momento della presentazione dell’atto di appello presso l’ufficio postale . Tanto più che è interesse dello stesso notificante curarsi del la consegna di tale ricevuta da parte dell’ufficio postale, trattandosi del documento idoneo ad attestare l’inizio del procedimento di notificazione dell’atto di appello prima della scadenza dei termini di legge e a provare di aver fatto tutto quanto in proprio potere per instaurare il giudizio di impugnazione ed evitare il passaggio in giudicato della sentenza impugnata. Di conseguenza, ciò che viene richiesto di produrre, in caso di notifica dell’atto di appello a mezzo del servizio postale, è un documento che la parte appellante consegue immediatamente al momento in cui dà impulso alla notificazione mediante la presentazione dell’atto da notificare all’ufficio postale. Si tratta, quindi, di un onere formale che non pone alla parte particolari difficoltà e, al contempo, costituisce il documento idoneo a rendere il giudice di appello in grado di verificare la tempestiva instaurazione del giudizio di impugnazione.
Dall’altro lato, l’eventuale ed eccessivo formalismo tale da non assicurare un rapporto ragionevole di congruità tra mezzi e scopo –
viene arginato dagli orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che rendono equipollente alla formalità prevista nell’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992 la produzione dell’avviso di ricevimento recante la stampigliatura meccanografica con timbro datario o la presentazione dell’elenco delle raccomandate recante la data e il timbro dell’ufficio postale, a meno che la ricezione del plico sia certificata dall’agente postale come avvenuta entro il termine di decadenza per l’impugnazione dell’atto (o della sentenza). Sarebbe, infatti, contrario al principio di proporzionalità in ragione dell’ evidente eccedenza del mezzo rispetto allo scopo, alla luce dell’interpretazione della norma interna in modo conforme all’art. 6 CEDU, nel significato attribuito o ricostruibile secondo la giurisprudenza della Corte EDU -ritenere inammissibile l’appello proposto solo perché non è stata prodotta la ricevuta di spedizione rilasciata dall’ufficio postale, quando la parte produca l’avviso di ricevimento recante l’apposizione del timbro postale, l a cui data certifichi la tempestiva proposizione dell’impugnazione , poiché anteriore al termine di scadenza per la presentazione di quest’ultima .
Delineato il quadro normativo di riferimento, interno e convenzionale, occorre evidenziare che, nel caso di specie:
a.l’avviso di ricevimento prodotto dalla parte appellante (odierna parte ricorrente) reca il timbro postale del 07/12/2012, data di consegna dell’atto (oltre alla sottoscrizione del consegnatario e dell’agente postale ), in presenza di un’impugnazione il cui termine scadeva il 14/12/2012;
b.secondo quanto risulta dall’attestazione della segreteria prodotta dalla ricorrente sub doc. 3, l’avviso di ricevimento (attestante l’avvenuta consegna in data 07/12/2012 e recante il timbro postale con la medesima data) è stato allegato all’atto di appello ed è stato depositato in data 28/12/2012, cioè entro il
termine di trenta giorni previsto dall’art. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, per la cui decorrenza occorre considerare la data di consegna dell’atto notificato (07/12/2012). A tal proposito occorre precisare che, secondo questa Corte, qualora la notificazione del ricorso introduttivo abbia avuto luogo mediante spedizione a mezzo posta, il termine entro il quale, ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, dev’essere effettuato il deposito presso la segreteria della commissione tributaria decorre non già dalla data della spedizione, bensì da quella della ricezione dell’atto da parte del destinatario: la regola, desumibile dall’art. 16, ultimo comma, secondo cui la notificazione a mezzo del servizio postale si considera effettuata al momento della spedizione, in quanto volta ad evitare che eventuali disservizi postali possano determinare decadenze incolpevoli a carico del notificante, si riferisce infatti ai soli termini entro i quali la notificazione stessa deve intervenire, ed avendo carattere eccezionale non può essere estesa in via analogica a quelli per i quali il perfezionamento della notificazione rappresenta il momento iniziale, trovando in tal caso applicazione il principio generale secondo cui la notificazione si perfeziona con la conoscenza legale dell’atto da parte del destinatario (Cass., 15/05/2008, n. 12185 e, in senso conforme, Cass., 21/03/2023, n. 8104; sul punto, giova richiamare ancora Cass., Sez. U, n. 13452/17, secondo cui nel processo tributario il termine di trenta giorni per la costituzione in giudizio del ricorrente (o dell’appellante), che si avvalga per la notificazione del servizio postale universale, decorre non dalla data della spedizione diretta del ricorso a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento, ma dal giorno della ricezione del plico da parte del destinatario (o dall’evento che la legge considera equipollente alla ricezione).
Ne deriva che:
la costituzione della parte appellante, in data 28 dicembre 2012, è sicuramente tempestiva perché il relativo termine di trenta giorni decorre dalla ricezione in data 7 dicembre 2012 della raccomandata contenente l’appello;
l’avviso di ricevimento reca la data di spedizione (06/12/2012) apposta con il datario. Tuttavia, il medesimo avviso di ricevimento reca altresì il timbro postale del 07/12/2012 -in cui si è perfezionata la consegna dell’atto. Sul punto le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che ove sull’avviso di ricevimento manchino in tutto in parte ovvero siano d’incerta paternità – i dati alfanumerici sulla data e l’ufficio postale di accettazione, essi sono surrogati, con efficacia di atto pubblico anche in difetto di sottoscrizione, dal timbro datario dell’ufficio postale di partenza che attesti l’avvenuta consegna (Cass., Sez. U, n. 13452 del 2017; Cass., n. 31879 del 2022; Cass., 26/02/2024, n. 4992);
la tempestività dell’appello non può venire in discussione attesa la evidente e documentata ricezione della raccomandata il 7 dicembre 2012, ovverosia entro il termine lungo del novellato art. 327 cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis trattandosi di giudizio introdotto dopo il 4 luglio 2009 avverso la sentenza di primo grado depositata dal giudice di prime cure in data 30/04/2012). Tenuto conto che nel 2012 il termine di sospensione feriale era pari a quarantasei giorni, l’impugnazione è da consider are, appunto, tempestiva.
Nel caso di specie, dunque, non ricorre la causa di inammissibilità dell’appello ai sensi degli artt. 22 d.lgs. n. 546 del 1992, secondo l’interpretazione conforme alla giurisprudenza della Corte EDU sull’art. 6 CEDU . Difatti, la presenza del timbro postale contenuto
nell’avviso di ricevimento recante una data anteriore (07/07/2012) alla scadenza del termine per proporre impugnazione (14/12/2012) ha consentito al giudice di seconde cure di verificare, in limine litis , che al momento dell’impugnazione la sentenza di primo grado non era passata in giudicato.
La sentenza impugnata ha, quindi, errato là dove, con riferimento alla mancata prova della ricevuta di spedizione dell’atto – ha affermato che: « Tale omissione non può ritenersi sanata dall’avvenuto deposito della copia della ricevuta dell’avviso di ricevimento della raccomandata unitamente alla copia del ricorso in appello». L’avviso di ricevimento recava, infatti, un timbro postale, che attestava il compiuto perfezionamento della notificazione entro il termine di scadenza per la proposizione dell’impug nazione. L’interpretazione formalistica data dal giudice di seconde cure finisce, quindi, per creare, secondo quanto precisato dalla Corte EDU, una specie di barriera che impedisce ai litiganti di ottenere una determinazione nel merito della causa da parte di un tribunale competente (Zubac c. Croazia, 05/04/2018, § 98; COGNOME e altri c. Italia, 23/05/2024, § 94) , con un’evidente eccedenza del mezzo rispetto allo scopo.
Il ricorso è, pertanto, fondato e deve essere accolto nei termini di cui in motivazione, con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia di secondo grado della Calabria, in diversa composizione, cui viene demandato di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
…
P.Q.M.
accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione;
cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia di secondo grado della Calabria in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 12/06/2025.