Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 23857 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 23857 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 14168/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con socio unico , in liquidazione, in persona del legale rappresentante e liquidatore pro tempore NOME COGNOME rappresentata e difesa, per procura speciale in calce al ricorso, dall’avv. NOME COGNOME (pec: EMAIL;
– ricorrente –
contro
Oggetto : TRIBUTI – IVA – contratto preliminare – deposito cauzionale
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato (pec: EMAIL), che la rappresenta e difende;
– resistente –
avverso la sentenza n. 2350/12/2017 della Commissione tributaria regionale della TOSCANA, depositata in data 30/10/2017; udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24 giugno 2025 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE con socio unico, in liquidazione, in data 19/06/2008 stipulò con la RAGIONE_SOCIALE un contratto preliminare di compravendita di immobili in costruzione ed in data 18/12/2008 un analogo contratto con la società RAGIONE_SOCIALE versando complessivamente l’importo di euro 4.087.758,40 a titolo di ‘deposito cauzionale’.
I contratti vennero successivamente risolti consensualmente.
L’Agenzia delle entrate, riqualificati i predetti ‘depositi cauzionali’ in acconti sui corrispettivi pattuiti, non fatturati, emise nei confronti della società contribuente un avviso di contestazione di sanzioni per omessa regolarizzazione di acquisti ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. n. 471 del 1997.
La società contribuente impugnò l’atto impositivo dinanzi la CTP di Prato che accolse il ricorso.
La sentenza venne riformata dalla CTR della Toscana che accolse l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate. I giudici di appello, richiamato l’insegnamento impartito da Cass. n. 4411/2004 e una pronuncia del Tribunale di Modena del 27/07/2007, sulla distinzione tra deposito cauzionale e caparra confirmatoria, sostennero
che « tutti i versamenti cauzionali erano di notevole entità, in cifre prossime al prezzo degli immobili da acquistare. Inoltre, in tutti i preliminari era previsto che i versamenti della promissoria acquirente dovevano esserle restituiti dopo l’adempimento delle obbligazioni da questa assunte. Solo in due contratti era precisato che i versamenti erano ‘a garanzia” dell’adempimento. Non era chiarito, tuttavia, in qual modo tali versamenti garantissero l’adempimento. Inoltre non era precisato che i versamenti costituissero garanzia di adempimento dell’eventuale obbligazione di risarcimento del danno conseguente ad inadempimento del contratto preliminare da parte del promissario acquirente. In altri termini, non è dato comprende in qual modo i versamenti di cifre cospicue garantissero genericamente un generico adempimento delle obbligazioni dei preliminari, sicché ad essi non è possibile riconoscere la qualità di deposito cauzionale. A conferma di tale conclusione deve considerarsi che, secondo i preliminari, il procedimento di estinzione delle cauzioni era estremamente macchinoso ed economicamente incoerente. Infatti il promissario acquirente avrebbe dovuto versate al momento della formazione dell’atto notarile di acquisto l’intero prezzo dell’immobile, costituendo ciò la sua obbligazione principale prevista nel preliminare, per ottenere poi dal promissario venditore la restituzione della cauzione la quale era di misura di poco inferiore al prezzo stesso. Da una valutazione eseguita nella prospettiva appena evidenziata risulta che, al di là del nomen juris attribuito dalle parti agli accordi negoziali alfine di eludere l’applicazione dell’imposta di registro, la vera operazione economica realizzata al momento della rogitazione dei contrati di vendita sarebbe consista nel pagamento da parte del promissario acquirente del conguaglio tra quanto già versato al momento del preliminare, con il nome di cauzione. Ciò conferma che i versamenti, qualificati
impropriamente dalle parti contraenti come cauzione, costituivano in realtà versamenti di acconti del prezzo, come sostenuto dall’Agenzia ».
Avverso tale statuizione la società contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui l’intimata non replica per iscritto.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la società ricorrente deduce, la «nullità della sentenza impugnata in ordine alla erronea pronuncia relativa all’effettiva interpretazione dell’intenzione dei contraenti violazione o falsa applicazione delle norme di diritto (art. 1362 c.c,) ex art, 360 n. 3 c.p.c.».
1.1. Preliminarmente la ricorrente si diffonde nell’esame delle pronunce citate dai giudici di appello a supporto della decisione assunta, evidenziandone la non perfetta applicabilità al caso di specie per le differenti fattispecie concrete in relazione alle quali erano stati affermati quei principi, nessuno dei quali inerenti a compravendite immobiliari, che invece sono quelle oggetto del presente giudizio. Sostiene, quindi, che la sentenza impugnata ha omesso di fare corretta applicazione dei principi dettati dagli art. 1362 e ss. c.c. in tema di interpretazione del contratto, secondo gli insegnamenti offerti da questa Suprema Corte, in base ai quali deve darsi prevalenza al tenore letterale delle clausole. « Secondo la giurisprudenza dominante, l’art. 1362, pur prescrivendo all’interprete di non limitarsi all’analisi del significato letterale delle parole, non relega tale criterio al rango di strumento interpretativo del tutto sussidiario e secondario, ma lo colloca, al contrario, nella posizione di «mezzo prioritario e fondamentale» per la corretta ricostruzione della comune intenzione dei contraenti, con la conseguenza che il giudice, prima di accedere ad altri, diversi parametri di interpretazione, è tenuto a fornire compiuta e articolata motivazione della ritenuta equivocità ed insufficienza del
dato letterale, a meno che tale equivocità non risulti, ictu oculi, di assoluta e non contestabile evidenza (C. 12082/2015; C. 21797/2008; C. 10218/2008; C. 2759/2008; C, 15949/2004; C. 14495/2004; C. 10972/2004; C. 4129/2003: C. 11609/2002; C. 10250/2000; C. 10106/2000; C. 13104/1999; C. 11574/1997; C. 5715/1997; C. 2372/1996; C. 1487/1994; C. 5406/1991); ovvero, nel caso in cui le espressioni si presentino univoche secondo il linguaggio corrente, il giudice può attribuire alle parti una volontà diversa soltanto individuando le ragioni per le quali i contraenti, pur avendole impiegate, abbiano inteso in realtà manifestare una volontà diversa, ed esplicitando tali ragioni (C. 11609/2002). In altri termini, dal carattere prioritario e fondamentale della regola fissata dall’art. 1362 discende che al giudice è preclusa la ricerca di una ratio diversa e – a fortiori -la sovrapposizione della propria opinione soggettiva all’effettiva volontà dei contraenti (C. 21797/2008) ».
1.2. Sostiene che il tenore letterale della clausola contrattuale in esame non si prestava ad alcun equivoco di sorta e che « anche il comportamento tenuto dalle parti successivamente alla stipula del più volte citato preliminare di compravendita, come peraltro documentalmente dimostrato e riconosciuto dalla stessa CTR Fiorentina, ha puntualmente confermato l’esattezza e l’univocità delle espressioni utilizzate nel preliminare de quo anche nella parte in cui la dazione della somma di denaro veniva qualificata quale deposito cauzionale ».
Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., la nullità della sentenza impugnata per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che avevano costituito oggetto di discussione tra le parti, ovvero:
espressa indicazione in tutti i preliminari di compravendita della pattuizione di restituzione in sede di stipula del rogito notarile delle somme versate a titolo di deposito cauzionale;
avvenuta risoluzione di tutti e tre i preliminari in epoca antecedente alle contestazioni mosse dall’Ufficio, nelle quali veniva confermata la qualifica di deposito cauzionale impressa dalle parti ai versamenti delle somme in parola;
conferma dei versamenti effettuati da Le.Gi a titolo di deposito cauzionale per i tre contratti preliminari de quibus anche nella nota integrativa relativa al bilancio di esercizio 2008;
attuale (anche all’epoca dei fatti sottesi al presente giudizio) crisi del mercato immobiliare, e, in genere, probabilità di default delle società operanti nel settore, che imponevano (ed impongono) al promittente venditore di cautelarsi in ordine a probabili e possibili inadempienze del promittente l’acquisto, chiedendo allo stesso un concreto segno di garanzia (e di solvibilità) tanto più in un caso come quello di specie di vendita di cosa futura dilazionata nel tempo; anche dal punto di vista del promittente acquirente, il versamento di una somma a titolo di deposito cauzionale rappresentava una tutela delle ragioni del medesimo, posto che il promittente venditore non poteva incamerare la somma che, quindi, non entrava a far parte della disponibilità di quest’ultimo, così cautelandosi, a propria volta, in caso di inadempimento dello stesso;
della lontananza delle epoche previste per la stipula dei contratti definitivi rispetto alle date di sottoscrizione dei preliminari.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente, sono ammissibili e fondati.
Sotto il primo profilo va osservato che la ricorrente si è attenuta, nella proposizione dei motivi, alla giurisprudenza di legittimità in materia, avendo censurato l’interpretazione del contratto, effettuata
dal giudice di merito, sotto il profilo della violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, con la specifica indicazione nel ricorso del modo in cui il ragionamento del giudice si è discostato dai suddetti canoni (arg. da Cass. n. 353 del 08/01/2025, Rv. 673743 – 01).
Nel merito, osserva il Collegio che l’orientamento giurisprudenziale cui ha fatto riferimento la ricorrente è stato recentemente ribadito da questa Corte, che ha affermato che « Nell’interpretazione del contratto, il primo strumento da utilizzare è il senso letterale delle parole e delle espressioni adoperate, mentre soltanto se esso risulti ambiguo può farsi ricorso ai canoni strettamente interpretativi contemplati dall’art. 1362 all’art. 1365 c.c. e, in caso di loro insufficienza, a quelli interpretativi integrativi previsti dall’art. 1366 c.c. all’art. 1371 c.c. » (Cass. n. 6444/2025).
5.1. Peraltro, Cass. n. 10967/2023 aveva già precisato al riguardo che « L’art. 1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile ».
5.2. Ciò posto, osserva il Collegio che i giudici d’appello non si sono attenuti a detti criteri là dove hanno ritenuto di attribuire alla dazione di una parte del prezzo della compravendita, indicata nella relativa clausola contrattuale come effettuata ‘a titolo di deposito cauzionale’, natura di acconto sul prezzo della compravendita, diversa da quella stabilita dalle parti, adducendo al riguardo una serie di argomentazioni che tendevano a superare quello che era la volontà delle parti espressa in maniera chiara ed inequivocabile nella relativa clausola.
5.3. Peraltro, sulla natura del pagamento di parte del prezzo della compravendita, l’orientamento di questa Corte è consolidato nel ritenere che « La somma di denaro consegnata da un contraente all’altro al momento della conclusione del contratto ha natura di caparra confirmatoria se risulta che le parti hanno inteso perseguire gli scopi di cui all’art. 1385 c.c., attribuendole funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento, mentre ha natura di deposito cauzionale se sia stata conferita a garanzia di un eventuale obbligo di risarcimento del danno cagionato dall’inadempimento del cauzionante, consentendo al creditore di soddisfarsi sulla somma consegnata per l’ammontare del danno concretamente subito » (Cass. n. 8989/2024; in termini già Cass. n. 4411/2004 e n. 6966/2007).
5.4. Nella specie, la funzione di garanzia attribuita alla parte di prezzo, ancorché cospicua, versata dal promissario acquirente, era chiaramente esplicitata, diversamente da quanto si sostiene nella sentenza impugnata, in tutti i preliminari oggetto del presente giudizio, per come risulta dai contratti allegati al ricorso e, comunque, dalle pattuizioni contrattuali in esso riprodotte per autosufficienza (pag. 24).
5.5. A ciò aggiungasi che le circostanze che i giudici di appello indicano in sentenza per giustificare la diversa natura attribuita a quelle dazioni di danaro, non sono affatto risolutive. Non lo è, ad esempio, la cospicua entità della somma pattuita a titolo di deposito cauzionale, atteso che analoga considerazione si sarebbe potuta fare ritenendo quella somma data a titolo di acconto sul prezzo o di caparra confirmatoria. Non è, poi, comprensibile l’affermazione dei giudici di appello secondo cui nella clausola contrattuale in esame « non era chiarito, tuttavia, in qual modo tali versamenti garantissero l’adempimento ». Quanto al « procedimento di estinzione delle cauzioni », che i giudici di appello hanno ritenuto « macchinoso », in
realtà la pattuizione in esame è perfettamente aderente al meccanismo proprio del deposito cauzionale.
A ben vedere, dal contenuto motivazionale della sentenza impugnata emerge chiaramente che l’esame della vicenda processuale è stata condotta sotto la prospettiva di una elusione fiscale. Si legge, infatti, nella sentenza che « Da una valutazione eseguita nella prospettiva appena evidenziata risulta che, al di là del nomen iuris attribuito dalle parti agli accordi negoziali al fine di eludere l’applicazione dell’imposta di registro, la vera operazione economica realizzata al momento della rogitazione dei contratti di vendita sarebbe consistita nel pagamento da parte del promissario acquirente del conguaglio fra quanto già versato al momento del preliminare, con il nome di cauzione, ed il prezzo dell’immobile di poco superiore alla predetta cauzione ».
6.1. Ma al riguardo è sufficiente osservare che l’amministrazione finanziaria non ha mai contestato alla parte, né è stato mai dedotta la sussistenza di una elusione fiscale ex art. 37-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ora sostituito dall’art. 10 bis della legge n. 212 del 2000.
A quanto fin qui detto e tenuto conto del fatto incontestato dell’avvenuta risoluzione dei contratti preliminari, pare opportuno aggiungere che è orientamento di questa Corte quello secondo cui « In tema di IVA, la diversità di funzioni che la corresponsione di caparra confirmatoria può assumere nell’ambito della stipula di preliminare di compravendita immobiliare – anticipazione del prezzo finale ovvero risarcimento forfetario – impone di distinguere, ai fini dell’assoggettabilità all’imposta, tra due ipotesi: nel caso di regolare esecuzione del contratto, la caparra è imputata in acconto sul prezzo dei beni oggetto del definitivo, soggetti ad IVA, andando ad incidere sulla relativa base imponibile e, prima ancora, ad integrare il presupposto impositivo in base all’art. 6, comma 4, d.P.R. n. 633 del
1972; l’inadempimento del preliminare, invece, ne propizia il trattenimento, risarcendo, in tal modo, il promittente venditore e, di conseguenza, non fa parte della base imponibile dell’IVA » (Cass. n. 17878/2021).
Alla stregua di tutte le considerazioni svolte il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, anche per la regolamentazione delle spese processuali del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24 giugno 2025.