Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24513 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24513 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10378/2024 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato DI NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA II GRADO LAZIO n. 1379/2024 depositata il 27/02/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/06/2025 dal Consigliere COGNOME
Fatti di causa
La società RAGIONE_SOCIALE formulava appello avverso la sentenza con cui la CGT di primo grado di Roma aveva respinto il ricorso dalla stessa proposto avverso l’atto di contestazione n. TK7CO0200506/2019 dell’Agenzia delle entrate notificato alla contribuente in data 20 dicembre 2019, emesso a seguito di un PVC redatto dalla Guardia di Finanza in data 4 dicembre 2018. In particolare, i militari operanti ipotizzavano che la società ora appellante rivestisse il ruolo di ‘ buffer’ nell’ambito di una frode ‘carosello’ finalizzata ad evadere l’IVA, perpetrata attraverso l’utilizzo di fatture per operazioni soggettivamente ed oggettivamente inesistenti emesse da missing trader nazionali. Il giudice di primo grado ha respinto il ricorso della contribuente. La Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado ha dichiarato inammissibile l’appello della contribuente, che ora formula ricorso per cassazione incentrato su due motivi. Resiste l’Agenzia con controricorso.
Ragioni della decisione
Co il primo motivo si contesta l’illegittimità della Sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e 53 del D.lgs. 546/1992 in relazione alle specifiche tecniche disciplinate dall’art. 10 del Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 4 agosto 2015 nonché dell’art. 19 bis del Provv. Resp. DGSIA 16 aprile 2014 e dell’art. 11 della L. 53/1994, (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.).
Con il secondo motivo si adombra l’illegittimità della sentenza impugnata per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 comma 1 n.
5 c.p.c.), avendo il giudice d’appello trascurato di considerare che il venir meno della pretesa tributaria in ragione della sentenza n. 6918/2023, emessa dalla Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, ciò travolgeva anche la pretesa sazionatoria.
Il primo motivo non coglie nel segno e va disatteso, ancorché la motivazione della sentenza d’appello vada corretta, ai sensi dell’art. 384, comma 2, c.p.c., nei termini che appresso si diranno.
La CGT2, invero, ha testualmente osservato che ‘In via preliminare, va esaminata l’eccezione di inammissibilità dell’appello sollevata dall’Agenzia delle Entrate sul presupposto che il deposito in giudizio dell’appello del 15 dicembre 2022 sarebbe avvenuto oltre il termine di 30 gg. indicati dall’art. 53 del d.lgs n. 546 del 1992, risultando all’Ufficio che la notifica dell’atto sia stata effettuata in data 19 ottobre 2022. Sul punto, la società appellante, pur non negando di aver effettuato una prima notifica dell’atto di appello il 19 ottobre 2022 (come risulta all’Agenzia delle Entrate) -come ribadito durante la pubblica udienza -, sostiene tuttavia di aver effettuato, entro i termini di decadenza per l’impugnazione, una seconda notifica dello stesso in data 15 dicembre 2022, coincidente con la data di deposito presso questa Corte di giustizia tributaria; al riguardo, sempre la società appellante deposita in giudizio una copia, in formato “PDF.”, del messaggio PEC inviato in quella data (15 dicembre 2022) all’Agenzia delle Entrate nonchè la relazione di notifica firmata digitalmente dal precedente procuratore di parte appellante ‘. La Corte di secondo grado ha soggiunto: ‘ l’appellante, per provare l’avvenuta notifica dell’atto di appello in data 15 dicembre 2022, ha riprodotto la prova dell’adempimento in formato “PDF.” e non in quello “.eml” che dà contezza non solo della data della notifica ma anche della documentazione allegata ovvero l’atto da notificare alla controparte. A ciò si aggiunga che la stessa relazione di notifica con l’attestazione del (precedente) patrocinatore della causa in appello
redatta in data 15 dicembre 2022, a differenza della precedente del 19 ottobre 2022, non reca alcun riferimento alla sentenza impugnata e, comunque, all’oggetto dell’atto di appello, contenuto invece in quella di ottobre 2022. Sul punto, la Corte di Cassazione ha specificato più volte che le riproduzioni in formato PDF non hanno il valore sufficiente a fornire la prova dell’avvenuta notifica, poiché non provano che il messaggio contiene effettivamente l’atto che si dice di aver notificato. L’avviso di consegna, invero, potrebbe al massimo dimostrare la consegna di un messaggio a mezzo PEC, ma non è idoneo a provare che a quel messaggio vi è allegato uno specifico documento: tale prova può essere fornita dal mittente solamente con l’esibizione del documento nel formato informatico”.eml”. ‘
In realtà, la CTR indugia su un profilo marginale ed eccentrico rispetto alla fattispecie, nell’economia della quale non rileva la questione riguardante, a valle, il deposito del ricorso notificato in PDF, anziché nel formato informatico . eml .
A monte spiccano, invero, le seguenti tre pacifiche circostanze: i. una prima notifica dell’atto di appello in data 19 ottobre 2022; ii. la rinotifica del medesimo atto d’appello in data 15 dicembre 2022; iii. il deposito in pari data dell’atto di appello.
Rebus sic stantibus , a venire in apice è, dunque, il principio alla luce del quale l’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992 – il quale richiama l’art. 22 del medesimo decreto – postula che l’onere di deposito dell’atto notificato entro trenta giorni dalla proposizione del ricorso concerne esclusivamente l’atto d’appello originario, e non anche le eventuali successive rinotifiche dello stesso, tanto ove siano disposte d’ufficio dal giudice, quanto ove sia, come accaduto nel caso di specie, effettuate spontaneamente dalla parte appellante.
Tale interpretazione è la sola intonata alla ratio del combinato disposto degli artt. 53 e 22 richiamati, che è quella, da un lato, di consentire essenzialmente al giudice adito di avere tempestiva
contezza della proposizione dell’impugnazione, dall’altro, di determinare la pendenza del giudizio di secondo grado, permettendo il corretto esercizio della funzione giurisdizionale.
Questa Corte (v. Cass. n. 5347 del 2015; Cass. n. 22639 del 2014; Cass. n. 12861 del 2014; Cass. n. 15432 del 2015; Cass. n. 3442 del 2016; Cass. n. 24289 del 2018) ha, d’altronde, più volte ribadito che ” in tema di contenzioso tributario, qualora il ricorso in appello non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, in quanto prescritto dall’art. 53, comma 2, seconda parte, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, a pena d’inammissibilità dell’appello, deve aver luogo entro il termine perentorio di trenta giorni, indicato dalla prima parte della medesima disposizione, attraverso il richiamo all’art. 22, comma 1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione “ad quem”, trattandosi di attività finalizzata al perfezionamento del gravame e che tale inammissibilità è rilevabile d’ufficio “. La ratio della disposizione in buona sostanza risponde allo scopo assorbente di rendere nota al giudice l’impugnazione della sentenza. In tale quadro, questa Corte ha coerentemente già chiarito che il termine per il deposito presso la segreteria della Commissione tributaria deve ritenersi riferito unicamente alla notifica primigenia dell’atto introduttivo dell’impugnazione, restando irrilevante – ai fini della sua decorrenza – la data di eventuali rinotifiche (cfr. Cass. n. 28177 del 2024).
Sotto questo profilo, la seconda notifica, ad opera della parte contribuente, dell’atto di appello e il suo deposito in pari data, il 15 dicembre 2022, non è valso a superare l’avvenuta violazione del termine di trenta giorni per il deposito, in quanto agganciato alla precedente notifica del gravame, coincidendo il dies a quo con la data del 19 ottobre 2022. La decorrenza del termine in parola non era suscettibile, in altri termini, di essere incisa, infatti, al lume
della ratio evidenziata, né dal profilo – se del caso sub judice della ritualità della prima notifica verso la parte privata, né dalla circostanza dell’esecuzione per scelta di parte di una seconda notifica.
Il secondo motivo, con cui si deduce che la pretesa tributaria a monte dell’atto sanzionatorio impugnato era venuta meno, è inammissibile.
La censura, formulata ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, individuandolo, in particolare, nella sentenza n. 6918/2023 della Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado del Lazio, che avrebbe accertato l’insussistenza della pretesa tributaria e, per l’effetto, determinato il venir meno anche della correlata pretesa sanzionatoria.
Tale doglianza non coglie nel segno. Innanzitutto, la sentenza richiamata riguarda un diverso periodo d’imposta, e pertanto si riferisce a circostanze fattuali e giuridiche ontologicamente distinte rispetto a quelle oggetto del presente giudizio. In secondo luogo, e soprattutto, il provvedimento giudiziario evocato dalla parte ricorrente non rientra nella nozione di ‘fatto storico’ rilevante ai fini dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Ai fini della configurabilità del vizio in esame, il ‘fatto decisivo’ deve consistere in un accadimento storico, un dato materiale o un episodio fenomenico dotato di autonoma rilevanza, suscettibile di incidere direttamente sulla decisione di merito, e non già in un precedente giurisprudenziale che, riguardando un diverso atto d’imposta e una correlativamente separata pretesa fiscale, rimane eccentrico rispetto all’alveo del presente giudizio.
La sentenza n. 6918/2023, in altri termini, non rappresenta un ‘fatto storico’ in senso tecnico, bensì un provvedimento giudiziario concernente una diversa annualità, privo di refluenza nella presente controversia.
Questa Corte ha chiarito che il fatto storico prospettato, inteso come un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, deve essere decisivo, ovvero per potersi configurare il vizio è necessario che la sua assenza conduca, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, ad una diversa decisione, in un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data, vale a dire un fatto che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass., 8 ottobre 2014, n. 21152; Cass., 14 novembre 2013, n. 25608). Con ogni evidenza i precedenti giudiziali collegati ad anni d’imposta differenti rispetto a quello oggetto dell’odierna controversia esulano dalla natura e dalla nozione di ‘ fatto oggetto di controversia ‘.
Il ricorso va, in ultima analisi, rigettato. Le spese sono regolate dalla soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 18.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 11/06/2025.