Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 20464 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 20464 Anno 2025
Presidente: COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18243/2018 R.G. proposto da :
COMUNE DI COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. SARDEGNA n. 488/2017 depositata il 5/12/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione tributaria regionale della Sardegna, con la sentenza n. 488/04/2017, rigettava l’appello proposto dal Comune di Dorgali, confermando la sentenza di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento relativo ad un esercizio alberghiero di proprietà della RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto Tarsu annualità 2010, disapplicando la delibera n.76 del 2010 del suddetto ente.
I giudici territoriali rilevavano che, come affermato dal primo giudice le cui conclusioni non risultavano inficiate dalle censure mosse, la suddetta delibera, posta a fondamento dell’atto impositivo, era priva di adeguata motivazione in relazione all’a dozione delle nuove tariffe.
Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, sulla base di quattro motivi, il Comune di Dorgali.
La società contribuente RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso il Comune di Dorgali deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., violazione del giudicato esterno derivante dalla sentenza della C.T.P. n. 27/03/2010 assumendo che i giudici di appello avrebbero dovuto tener conto di tale pronuncia che, con riferimento all’annualità TARSU 2009 relativa alla medesima struttura alberghiera di proprietà della società contribuente, aveva accertato la legittimità della analoga delibera tariffaria n. 50/2009 adotta dal Comune.
Con il secondo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 c.p.c. e 2909 c.c. assumendo che la C.T.R. aveva omesso di esaminare le specifiche censure in forza della quali era stato evidenziato il contrasto fra la sentenza impugnata e un precedente giudicato attestante la legittimità della delibera tariffaria erroneamente disapplicata dai giudici di merito.
Con il terzo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. assumendo che il giudice di appello aveva confermato la tesi dell’insussistenza di motivazione della deliber a tariffaria ritenendo che le ragioni esplicitate – finalizzate a suffragare la adeguatezza della motivazione della delibera tariffaria – non fossero contenute nella stessa deliberazione ma solamente avanzate dalla difesa del Comune per la prima volta nell’atto di appello, da ciò derivando che la C.T.R. aveva confermato acriticamente le motivazioni della sentenza impugnata, operando un travisamento della prova offerta con la citata delibera n. 76/2010 il cui contenuto non era stato esaminato, pur a fronte di specifiche censure sul punto.
Con il quarto motivo lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. deducendo che i giudici appello aveva omesso di considerare le specifiche censure finalizzate a comprovare l’insussistenza di vizi della delibera oggetto di disapplicazione.
Il primo motivo è infondato atteso che, come desumibile dalla medesima prospettazione di parte ricorrente, non sussiste alcun giudicato esterno vincolante per il giudice di appello e da questo non valutato.
L’ente impositore ha invocato, infatti, un mero precedente interpartes (la sentenza C.T.P di Nuoro n. 27/03/2010) avente ad oggetto altra annualità ed altra delibera tariffaria, da ciò discendendo che tale sentenza certamente non poteva dispiegare alcun effetto ai sensi dell’art. 2909 c.c.
Vanno, quindi, esaminati per ragioni di ordine logico, congiuntamente -in quanto fra loro connessi -il terzo ed il quarto motivo di ricorso da ritenere fondati per le ragioni appresso specificate, con assorbimento del secondo motivo.
Premesso che la C.T.R. ha ritenuto di dover disapplicare la tariffa TARSU 2010 in quanto non adeguatamente motivata va premesso
che in ordine alla motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, questa Corte, con orientamento costante, ha affermato che non è configurabile alcun obbligo di motivazione dal momento che tale delibera, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (ex plurimis, Cass., Sez. 5, n. 7437 del 2019; Sez. 6-5, n. 16165 del 2018).
Con riguardo, poi, al potere di disapplicare l’atto amministrativo in relazione alla decisione del caso concreto che spetta al giudice tributario, la giurisprudenza di questa Corte ha anche affermato che la disapplicazione può conseguire solo alla dimostrazione della sussistenza di ben precisi vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere) e che la contestazione della validità dei criteri seguiti dal Comune nell’adottare la delibera non è sufficiente per pervenire alla dichiarazione (incidentale) d’illegittimità della stessa, dovendo, al riguardo rilevarsi che, nell’ambito degli atti regolamentari dei comuni, esiste uno spazio di discrezionalità di orientamento politico amministrativo, insindacabile in sede giudiziaria.(Cass., sez. 5, n. 7044 del 26/03/2014; v. altresì, sez. 5, n. 5355 del 27/02/2020, Rv. 657361 – 01).
7.1. Ciò considerato va ricordato che in tema di categoria tariffaria per gli esercizi alberghieri:
il d.lgs. n. 507 del 1993, per quel che qui rileva, disponeva nei seguenti termini: – “1. La tassa può essere commisurata o in base alla quantità e qualità medie ordinarie per unità di superficie imponibile dei rifiuti solidi urbani interni ed equiparati producibili nei locali ed aree per il tipo di uso, cui i medesimi sono destinati, e al costo dello smaltimento oppure, per i comuni aventi popolazione inferiore a 35.000 abitanti, in base alla qualità, alla quantità effettivamente prodotta, dei rifiuti solidi urbani e al costo dello
smaltimento. 2. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune, secondo il rapporto di copertura del costo prescelto entro i limiti di legge, moltiplicando il costo di smaltimento per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l’anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti.” ( art. 65, commi 1 e 2);
-“1. Per l’applicazione della tassa i comuni sono tenuti ad adottare apposito regolamento che deve contenere:
la classificazione delle categorie ed eventuali sottocategorie di locali ed aree con omogenea potenzialità di rifiuti e tassabili con la medesima misura tariffaria;
le modalità di applicazione dei parametri di cui all’art. 65;
L’articolazione delle categorie e delle eventuali sottocategorie è effettuata, ai fini della determinazione comparativa delle tariffe, tenendo conto, in via di massima, dei seguenti gruppi di attività o di utilizzazione:
…
locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri;” (art. 68, commi 1 e 2);
“2. Ai fini del controllo di legittimità, la deliberazione deve indicare le ragioni dei rapporti stabiliti tra le tariffe, i dati consuntivi e previsionali relativi ai costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica…” (art. 69, comma 2).
Dalla disciplina, così, posta con riferimento ai criteri di legittimità del prelievo tributario deve, quindi, dedursi che la tassa può essere commisurata, in relazione al «costo di smaltimento», alla potenzialità di produzione di rifiuti (ed alla loro qualità) ovvero alla quantità di rifiuti effettivamente prodotta dai detentori (art. 65, comma 1); che, ancora, la classificazione in categorie (ed eventuali sottocategorie) dei produttori di rifiuti, – operata in relazione ad una «omogenea potenzialità di rifiuti», – va articolata tenendo conto di
«gruppi di attività o di utilizzazione» che, «in via di massima», fanno riferimento (anche) a «locali ed aree ad uso abitativo per nuclei familiari, collettività e convivenze, esercizi alberghieri» (art. 68, commi 1 e 2, lett. c, cit.).
7.2. Orbene, la disciplina in discorso, secondo un consolidato indirizzo interpretativo, è stata da questa Corte interpretata nel senso che deve ritenersi legittima «la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce, infatti, un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. n. 22 del 1997, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore”; e, con riferimento ai rapporti tra le tariffe, indicati tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera (d.lgs. n. 507 del 1993, art. 69), si è, più specificamente, rilevato che detti rapporti vanno riferiti, – piuttosto che alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, – alla “relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica» (quella stessa istituita, dunque, ai sensi del combinato disposto dell’art. 65, commi 1 e 2, e dell’art. 68, commi 1 e 2; v. Cass., 12 marzo 2007, n. 5722 cui adde , Cass., 6 agosto 2019, n. 20970; Cass., 4 aprile 2018, n. 8308; Cass., 7 dicembre 2016, n. 25214; Cass., 3 agosto 2016, n. 16175; Cass., 19 agosto 2015, n. 16972; Cass., 15 luglio 2015, n. 14758; Cass., 23 luglio 2012, n. 12859; Cass., 12 gennaio 2010, n. 302; Cass., 28 maggio 2008, n. 13957).
Il criterio legale di commisurazione delle tariffe della Tarsu alla capacità di produzione di rifiuti (effettiva o potenziale), quale emergente dal dettato normativo nazionale, ha trovato, poi, riscontro anche nella giurisprudenza unionale che, come già rilevato da questa Corte (v. Cass., 15 marzo 2019, n. 7437; Cass., 4 aprile 2018, n. 8308), ha statuito che:
risultando «spesso difficile, persino oneroso, determinare il volume esatto di rifiuti urbani conferito da ciascun ‘detentore’», «ricorrere a criteri basati, da un lato, sulla capacità produttiva dei «detentori», calcolata in funzione della superficie dei beni immobili che occupano nonché della loro destinazione e/o, dall’altro, sulla natura dei rifiuti prodotti, può consentire di calcolare i costi dello smaltimento di tali rifiuti e ripartirli tra i vari «detentori», in quanto questi due criteri sono in grado di influenzare direttamente l’importo di detti costi»;
«Sotto tale profilo, la normativa nazionale che preveda, ai fini del finanziamento della gestione e dello smaltimento dei rifiuti urbani, una tassa calcolata in base ad una stima del volume dei rifiuti generato e non sulla base del quantitativo di rifiuti effettivamente prodotto e conferito non può essere considerata, allo stato attuale del diritto comunitario, in contrasto con l’art. 15, lett. a), della direttiva 2006/12»;
«il principio «chi inquina paga» non osta a che gli Stati membri adattino, in funzione di categorie di utenti determinati secondo la loro rispettiva capacità a produrre rifiuti urbani, il contributo di ciascuna di dette categorie al costo complessivo necessario al finanziamento del sistema di gestione e di smaltimento dei rifiuti urbani.»;
-«… al fine del calcolo di una tassa sullo smaltimento dei rifiuti, una differenziazione tributaria fra categorie di utenti del servizio di raccolta e di smaltimento di rifiuti urbani, alla guisa di quella operata dalla normativa nazionale di cui trattasi nella causa principale fra le aziende alberghiere e i privati, in funzione di criteri obiettivi aventi
un rapporto diretto col costo di detto servizio, quali la loro capacità produttiva di rifiuti o la natura dei rifiuti prodotti, può risultare adeguata per raggiungere l’obiettivo di finanziamento di detto servizio.»;
«Anche se la differenziazione tributaria così operata non deve andare al di là di quanto necessario per raggiungere tale obiettivo di finanziamento, va tuttavia sottolineato che, nella materia in esame e allo stato attuale del diritto comunitario, le competenti autorità nazionali dispongono di un’ampia discrezionalità per quanto concerne la determinazione delle modalità di calcolo di siffatta tassa.» (Corte di Giustizia, 16 luglio 2009, RAGIONE_SOCIALE e a., causa C-254/08, punti 49 ss.).
Una volta legittimamente individuata la categoria degli esercizi alberghieri, – quale categoria che non può che essere oggetto di considerazione unitaria siccome espressiva di una «omogenea potenzialità di rifiuti», in quanto tale distinta da quella riferibile agli immobili ad uso abitativo, – non è, quindi, conforme al ripercorso assetto normativo una disarticolazione della categoria fondata (esclusivamente) su generici rapporti di affinità (con altra categoria), piuttosto che sui criteri legali di ripartizione del prelievo fiscale (criteri dettati dalla «relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica»).
Non pare, quindi, che possa acquisire rilevanza la distinzione, nell’ambito dell’esercizio alberghiero, tra zone più o meno produttive di una maggiore quantità di rifiuti, posto che il sopra richiamato principio di legittimità deve intendersi riferito all’esercizio dell’attività alberghiera nel suo complesso.
Del resto, è anche dalla gestione, e pulizia, delle camere dell’albergo che deriva la maggiore quantità di rifiuti prodotti; e, considera la Corte, non è dato rinvenire, nel sistema, alcuna disposizione che distingua, all’interno della struttura ricettiva, zone produttive di
rifiuti in misura differenziata, come avviene, ad esempio, per gli stabilimenti industriali.
7.3. Risulta, quindi, evidente che la C.T.R., nel pervenire alle proprie conclusioni, ha ritenuto di dover disapplicare la delibera TARSU n. 76/2020, per un verso, senza tenere in alcun modo conto della disciplina sopra indicata per come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte e, sotto altro profilo, omettendo di valutare le specifiche deduzioni e allegazioni sul punto avanzate dall’ente impositore.
In conclusione disatteso il primo motivo di ricorso, accolti il terzo ed il quarto ed assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sardegna, in diversa composizione, che procederà anche alla regolamentazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo e quarto motivo di ricorso, assorbito il secondo, e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sardegna in diversa composizione, cui demanda anche la regolamentazione delle spese di questo grado di giudizio.
Così deciso nella camera di consiglio della sezione tributaria, in data