Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 24782 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 24782 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24719/2017 R.G. proposto da : RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentata e difeso dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO . (NUMERO_DOCUMENTO) che la rappresenta e difende
-resistente- avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. DEL LAZIO n. 1493/2017 depositata il 21/03/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Commissione Tributaria Provinciale di Roma rigettava il ricorso della contribuente avverso un avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, con riferimento all’anno d’imposta 2008, accertava maggiori importi dovuti a titolo di IRES, IRAP e IVA, irrogando altresì una sanzione amministrativa pecuniaria. La RAGIONE_SOCIALE era stata sottoposta a verifica fiscale in relazione alla predetta annualità. La verifica si concludeva con la consegna, in data 6 maggio 2011, di un processo verbale di constatazione (PVC), nel cui ambito l’Ufficio ricostruiva l’ammontare dei ricavi realizzati dalla società nell’anno di verifica sulla base della quantità di acqua minerale acquistata, ricavando da tale dato il numero presumibile di pasti somministrati alla clientela. Tale ricostruzione veniva effettuata anche attraverso un’analisi a campione delle ricevute e delle fatture emesse, tenendo conto della stagionalità dell’attività svolta dalla società. In particolare, veniva valorizzata la discrasia tra il maggior ammontare di litri di acqua minerale acquistata e destinata alla somministrazione e quello risultante effettivamente servito alla clientela del ristorante. Sulla scorta di tale differenza si completava la stima dei maggiori coperti gestiti nell’attività in questione, rispetto ai quali si individuava l’omessa contabilizzazione dei correlati ricavi.
Avverso la sentenza di primo grado, la società contribuente proponeva appello, deducendo la nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di una valida sottoscrizione. Secondo la contribuente, l’Ufficio avrebbe emesso l’atto in violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972, nonché del divieto di praesumptio de presumpto , formulando rilievi infondati e omettendo di ridurre i maggiori importi imponibili accertati in forza
di errori materiali e di calcolo. La Commissione Tributaria Regionale del Lazio respingeva l’appello, confermando la sentenza impugnata. Il ricorso per cassazione della contribuente è affidato a quattro motivi. L’Agenzia si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione ex art. 370, comma 1, c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 132, comma 1, n. 4, c.p.c., e 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione agli artt. 360, n. 4, c.p.c., e 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, censurando la sentenza impugnata in quanto la relativa motivazione è puramente apparente laddove ha rigettato il motivo di appello relativo alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento da parte del funzionario non regolarmente delegato ai sensi dell’art. 42 del d.P.R. n. 600 del 1973, limitandosi all’espressione di un giudizio di infondatezza nel merito di tale motivo di appello senza illustrazione dell’ iter logico giuridico che ha condotto il giudice ad esprimere tale giudizio.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112 e 132, comma 1, n. 4, c.p.c., e 36 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in relazione agli artt. 360, n. 4, c.p.c., e 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, contestando la sentenza per la sua motivazione puramente apparente laddove ha rigettato il motivo di appello relativo all’infondatezza nel merito della pretesa impositiva, limitandosi all’espressione di un giudizio di infondatezza nel merito di tale motivo di appello senza illustrazione dell’ iter logico giuridico che ha condotto il giudice ad esprimere tale giudizio.
Con il terzo motivo di ricorso rubricato violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., dell’art. 39, comma 1, lett. d, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54, comma 2, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, nonché del divieto di praesumptio de presumpto , in relazione agli artt. 360, n. 3, c.p.c., e 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992, numero 546, censurando che la sentenza impugnata, recependo l’accertamento analitico induttivo oggetto di impugnazione, ha ritenuto assurgessero e dignità di prova presuntiva una serie di ‘congetture avversarie’ che violano il divieto di presunzioni di secondo grado.
Con il quarto motivo di ricorso si evidenzia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia e violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione agli artt. 360, n. 4, c.p.c., e 62 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, contestando la mancata pronuncia sui motivi di impugnazione formulati in via subordinata nel grado d’appello e con cui si domandava l’annullamento quantomeno parziale dell’avviso di accertamento impugnato.
Il primo motivo è fondato e va accolto.
La contribuente ha dedotto, in modo specifico e autosufficiente, la nullità dell’avviso di accertamento per mancanza di una valida delega che abilitasse il sottoscrittore dell’atto. Tale profilo, pur essendo stato reiterato in appello, non risulta adeguatamente scrutinato dalla Commissione Tributaria Regionale, che si è limitata ad affermarne l’infondatezza, senza alcuna verifica in ordine all’effettiva esistenza della delega, alla sua natura (di firma o di funzioni), al contenuto specifico della stessa e alla sua idoneità a legittimare la sottoscrizione.
La motivazione della sentenza impugnata si rivela, pertanto, meramente apparente, non essendo dato comprendere il percorso logico -giuridico seguito dal giudice d’appello. Come affermato da questa Corte, la motivazione è solo apparente e la sentenza è nulla per error in procedendo quando, pur graficamente esistente, non
consente di percepire il fondamento della decisione, recando argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., Sez. U., 3 novembre 2016, n. 22232; Cass., 5 luglio 2022, n. 21302; Cass., 8 settembre 2022, n. 26477).
In materia tributaria, l’art. 42 del D.P .R. n. 600/1973 impone, a pena di nullità, che l’avviso di accertamento sia sottoscritto dal capo dell’ufficio o da altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che la delega alla sottoscrizione ha natura di delega di firma, non di funzioni, e può essere conferita anche mediante ordini di servizio, purché sia possibile verificare ex post la corrispondenza tra il sottoscrittore e il destinatario della delega (Cass., 29 marzo 2019, n. 8814; Cass., 17 maggio 2022, n. 15898; Cass., 28 luglio 2022, n. 23651).
Nel caso di specie, la CTR si è limitata ad affermare che l’avviso era stato sottoscritto dal Capo Area Imprese Minori e Lavoratori Autonomi su delega del Direttore Provinciale, senza alcuna verifica documentale sull’effettiva esistenza della delega, sulla sua portata e sui limiti oggettivi. Né risulta che l’Amministrazione abbia prodotto in giudizio l’atto di delega, come richiesto in caso di contestazione, in ossequio al principio di vicinanza della prova.
La sentenza impugnata, dunque, tralascia di accertare un elemento decisivo della controversia, limitandosi ad una formula apodittica che non consente di comprendere se il soggetto sottoscrittore fosse effettivamente legittimato. In tal modo, essa si pone in contrasto con l’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c., e con l’art. 36, comma 2, n. 4, del D.Lgs. n. 546/1992, integrando un vizio di motivazione apparente rilevante ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.
Il secondo motivo di ricorso, con cui si denuncia la nullità della sentenza per motivazione apparente, non può essere accolto.
La censura si fonda sull’assunto che la sentenza d’appello abbia rigettato il motivo relativo all’infondatezza della pretesa impositiva
senza illustrare l’iter logico -giuridico seguito, limitandosi ad una formula assertiva. Tuttavia, tale assunto non trova riscontro nel testo della decisione impugnata.
La motivazione della sentenza d’appello, pur sintetica, consente di cogliere la ratio decidendi , articolandosi in una trama argomentativa che, seppur essenziale, è idonea a sorreggere la decisione sul piano logico e giuridico. Come testualmente evidenziato dalla Commissione Tributaria Regionale, ‘la ricostruzione presuntiva dei ricavi d’impresa può essere legittimamente fondata anche sulla base della valutazione di consumi unitari di determinate materie sussidiarie o beni di consumo’. In tale prospettiva, il giudice d’appello ha valorizzato il riferimento alla giurisprudenza di legittimità sul c.d. ‘tovagliometro’, quale metodo induttivo fondato su presunzioni gravi, precise e concordanti, idonee a giustificare la rettifica dei ricavi anche in presenza di contabilità formalmente regolare (cfr. Cass. nn. 8822/2019 e 20060/2014).
In proposito, va ricordato che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., operata dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. con modif. dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili in sede di legittimità le censure di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, essendo il sindacato della Corte limitato alla verifica del rispetto del ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost.
Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 7090/2022; Cass. n. 22598/2018), tale minimo è violato solo quando la motivazione sia totalmente mancante, meramente apparente, fondata su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, perplessa o obiettivamente incomprensibile.
Nel caso di specie, nessuno di tali vizi è riscontrabile nel testo della sentenza impugnata, che risulta intellegibile, coerente e conforme ai principi consolidati in materia tributaria. La motivazione,
pertanto, non scende al di sotto del minimo costituzionale e si sottrae al vizio denunciato.
Il terzo motivo è infondato.
Per il suo tramite si denuncia la violazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972, nonché del divieto di praesumptio de presumpto (ossia il divieto di fondare una presunzione su un’altra presunzione), è infondato.
La censura si fonda sull’assunto che la sentenza impugnata abbia recepito un impianto presuntivo privo di gravità, precisione e concordanza, elevando a dignità di prova presuntiva mere congetture, in violazione del divieto di presunzioni di secondo grado ( praesumptio de presumpto : non è consentito basare una presunzione su un’altra presunzione). Tuttavia, tale assunto non trova riscontro nel contenuto della decisione impugnata.
La sentenza d’appello si è conformata ai principi affermati da questa Corte, secondo cui ‘ in tema di accertamento tributario, sia presuntivo del reddito d’impresa, a norma dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, sia induttivo in materia di IVA, ai sensi dell’art. 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, è legittima la ricostruzione dei ricavi di un’impresa di ristorazione sulla base del consumo di acqua minerale, costituendo lo stesso un ingrediente fondamentale, se non addirittura indispensabile, nelle consumazioni effettuate ‘ (Cass. n. 17408/2010).
In tale prospettiva, il giudice d’appello ha fatto corretta applicazione del metodo analitico -induttivo, valorizzando elementi di fatto oggettivi e documentati, idonei a fondare presunzioni di primo grado, logicamente collegate al fatto ignoto da dimostrare (i ricavi non contabilizzati), e non già presunzioni derivate da altre presunzioni.
Non si è dunque in presenza di una praesumptio de presumpto (presunzione basata su un’altra presunzione), ma di un ragionamento presuntivo fondato su dati concreti e verificabili, quali il consumo di beni di uso ricorrente nell’attività di ristorazione, secondo un criterio già ritenuto legittimo dalla giurisprudenza di legittimità.
La motivazione della sentenza impugnata, pertanto, resiste alle censure sollevate, essendo conforme ai principi normativi e giurisprudenziali in materia di accertamento tributario.
Il quarto motivo di ricorso, con cui si denuncia la nullità della sentenza impugnata per omessa pronuncia, è inammissibile.
L’omessa pronuncia si verifica quando il giudice non affronta nel merito una domanda o un’eccezione proposta dalle parti, lasciando quindi incompleta la decisione su questioni rilevanti per la causa. La censura si fonda sull’assunto che la Commissione Tributaria Regionale non si sarebbe pronunciata sui motivi di impugnazione formulati in via subordinata nel grado d’appello, con i quali si chiedeva l’annullamento, almeno parziale, dell’avviso di accertamento. Tale assunto, tuttavia, non trova riscontro nel contenuto della sentenza impugnata, che ha esaminato integralmente la legittimità dell’accertamento, rilevando che esso è pienamente conforme alle norme e alla metodologia accertativa, che i funzionari verificatori hanno adattato i risultati della metodologia alle caratteristiche dell’impresa sottoposta a controllo e che la percentuale di sfrido è stata aumentata per tenere conto dell’attività banchettistica, che comporta un maggior consumo d’acqua. Tali affermazioni dimostrano che la CTR ha affrontato e respinto tutte le doglianze della parte contribuente. In conformità alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, non sussiste vizio di omessa pronuncia quando la sentenza esamina in modo completo le questioni di merito proposte dalle parti, mentre il vizio può riguardare esclusivamente questioni di merito e non eccezioni
pregiudiziali di rito. Pertanto il motivo è inammissibile, atteso che la sentenza impugnata contiene un pronunciamento chiaro e completo su tutte le doglianze formulate.
Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi fondato il primo motivo di ricorso. Al contrario, i restanti motivi – secondo, terzo e quarto – risultano infondati o inammissibili, per le ragioni esposte.
Ne consegue la cassazione della sentenza impugnata, avuto riguardo al profilo accolto, con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, affinché proceda a nuovo esame della controversia in conformità ai principi di diritto enunciati, provvedendo altresì alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il primo motivo di ricorso; rigetta i motivi secondo, terzo e quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 09/07/2025.