Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 26971 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 5 Num. 26971 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2024
Oggetto:
diniego
definizione – compensazione
credito inesistente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. NUMERO_DOCUMENTO/2022 R.G. e sul ricorso iscritto al n. R.G. n. 8785/2024 proposti entrambi da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentato e difeso come da procura speciale in atti dall’AVV_NOTAIO (con indirizzo PEC: EMAIL);
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore pro tempore e rappresentata e difesa come per legge dall’avvocatura generale dello Stato con domicilio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO (con indirizzo PEC: EMAIL)
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte n. 34/04/22 depositata in data 07/01/2022, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 11/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che:
NOME impugnava l’atto di recupero notificatogli per l’anno 2016 in forza dell’indebito utilizzo, secondo l’Ufficio, di credito di imposta;
la CTP rigettava il ricorso;
appellava il contribuente; nelle more del giudizio di secondo grado, con il patrocinio di altro difensore, questi riconosceva la fondatezza del recupero del credito e chiedeva l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni nella misura del 30%;
la CTR RAGIONE_SOCIALE rigettava l’appello;
ricorre a questa Corte RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE con atto affidato a due motivi; resiste l’RAGIONE_SOCIALE con controricorso;
nelle more del giudizio di cassazione, il contribuente ha proposto istanza ex L. n. 197 del 2022, alla quale l’Ufficio competente ha opposto diniego;
RAGIONE_SOCIALE, quindi, ha proposto autonomo ricorso a questa Corte avverso tale diniego, ricorso iscritto al n. r.g. NUMERO_DOCUMENTO;
resiste a tale ultimo ricorso, con proprio controricorso, l’RAGIONE_SOCIALE;
Considerato che:
va preliminarmente riunito, ai sensi dell’art. 274 c.p.c., per evidenti ragioni di connessione, il ricorso proposto avverso il diniego di definizione pronunciato dall’RAGIONE_SOCIALE iscritto al n. r.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO con l’autonomo giudizio iscritto al n. r.g. NUMERO_DOCUMENTO, quest’ultimo riguardante la pretesa oggetto del diniego di definizione;
inoltre, per evidenti ragioni logiche deve essere innanzitutto esaminato il ricorso iscritto al n. rNUMERO_DOCUMENTOg. 8785/2014 proposto da RAGIONE_SOCIALE ed avente per oggetto il diniego di definizione reso dall’Ufficio competente avverso l’istanza istanza di definizione ex art. 1 commi 186 e seguenti della L. n. 197 del 2002 in quanto dall’accoglimento di tale ricorso renderebbe superfluo l’esame dell’autonomo ricorso a suo tempo
proposto avverso l’atto di recupero oggetto del giudizio iscritto al n. r.g. 16335NUMERO_DOCUMENTO;
nel proprio atto di diniego, l’RAGIONE_SOCIALE ritiene che la controversia in oggetto non possa essere definita in maniera agevolata con applicazione della modalità di definizione al comma 191, seconda parte, dell’art. 1 della L. n. 197 del 2022 senza il versamento di alcun importo in quanto le sanzioni, unico oggetto di impugnazione, contenute nell’atto di recupero crediti n. NUMERO_DOCUMENTO, sono collegate a un tributo (il credito recuperato, appunto) che non è stato definito/versato. Neppure, secondo il provvedimento di diniego qui impugnato, può dirsi valida la precedente domanda n. NUMERO_DOCUMENTO, presentata in data 07/07/2023, poi sostituita dalla domanda n. NUMERO_DOCUMENTO. Anche questa risulta non corretta, secondo l’Ufficio, in quanto la controversia non poteva essere definita in maniera agevolata con applicazione della modalità di definizione di cui al comma 186 dell’art. 1 della L. n. 197 del 2022 in quanto il versamento effettuato in data 20/06/2023, quale prima rata, è insufficiente;
ricorre avverso tale atto di diniego il contribuente con un solo motivo di gravame;
resiste l’Amministrazione Finanziaria con proprio controricorso;
la sola censura dedotta ritiene illegittimo il diniego in quanto il contribuente, a fronte della iscrizione a ruolo di quanto indicato in atto di recupero, aveva dato corso alla dilazione di pagamento del ruolo; dilazione poi sospesa in occasione della formulazione dell’istanza di definizione; ancora, secondo il ricorrente, la normativa relativa alla ‘definizione RAGIONE_SOCIALE liti pendenti’ -vale a dire dell’art. 6 del d.L. 119 del 2018 – non può che essere applicata previa sua interpretazione correlata ad altra definizione agevolata (vale a dire alla normativa relativa alla c.d. ‘rottamazione dei ruoli);
il ricorso è infondato;
trova invero qui applicazione l’art. 1, comma 3, del d. L. 119 del 2018 il quale prevede che le controversie relative esclusivamente alle sanzioni non collegate al tributo possono essere definite con il
pagamento del quindici per cento del valore della controversia in caso di soccombenza dell’RAGIONE_SOCIALE nell’ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull’ammissibilità dell’atto introduttivo del giudizio, depositata alla data di entrata in vigore del presente decreto, e con il pagamento del quaranta per cento negli altri casi. In caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione . La circolare esplicativa n. 6 dell’1/04/2019 specifica, sia pur non risultando essa in alcun modo vincolante per il giudice, nelle note 5 e 6, che di norma, le sanzioni non collegate al tributo corrispondono a quelle stabilite per violazioni che non incidono sulla determinazione o sul versamento del tributo e che Per converso, le sanzioni collegate al tributo sono quelle stabilite per le violazioni che incidono sulla determinazione o sul pagamento del tributo (ad esempio, sanzioni per omessa o infedele dichiarazione) ;
– va quindi esaminata e chiarita la qualificazione della sanzione prevista dall’art. 13, comma 5, d. Lgs. n. 471 del 1997, unico oggetto della lite, come sanzione collegata o meno al tributo. La questione in argomento è già stata recentemente scrutinata da questa Corte che ha ritenuto ammissibile l’istanza di definizione agevolata ex art. 6, d.L. n. 119 del 2018 (convertito, con modifiche, in L. n. 136 del 2018) per le controversie relative a sanzioni collegate al tributo, tali dovendosi intendere quelle irrogate per violazioni sostanziali che incidono sulla determinazione nel quantum ovvero sul pagamento del tributo, per il cui recupero viene emesso contestualmente un avviso di accertamento o di rettifica, e tra le quali rientra ad esempio la sanzione per omesso pagamento RAGIONE_SOCIALE ritenute alla fonte ex art. 13, comma 1, d. Lgs. n. 471 del 1997 (Cass. n. 36886/2021);
la nozione di sanzioni collegate al tributo trova un diretto riferimento normativo nell’art. 17, comma 1, d. Lgs. n. 472 del 1997, secondo il quale «le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono sono
irrogate, senza previa contestazione … con atto contestuale all’avviso di accertamento o di rettifica». Pur in assenza di un’esplicita definizione, dalla norma si ricavano alcune utili indicazioni atteso che le violazioni sono direttamente riferibili a un tributo quando, per il recupero di quest’ultimo, viene emesso, in contestualità, un avviso di accertamento o di rettifica; cosa che avviene nella fattispecie in esame;
la violazione, quindi, presuppone che la condotta abbia dato luogo, in concreto, ad una evasione d’imposta o, comunque, abbia arrecato un pregiudizio per l’imposizione. Se la condotta, invece, si sia limitata a cagionare un pregiudizio per le azioni di controllo da parte dell’Ufficio, l’illecito non si associa ad una ripresa dell’imponibile, né, in ogni caso, produce un danno per l’erario (ulteriore rispetto all’inosservanza dell’adempimento) e ciò anche se la violazione sia idonea, in potenza, ad arrecare un simile sostanziale pregiudizio. In altri termini, assumono rilievo, ai fini della nozione in esame, le violazioni che incidono sulla determinazione ovvero sul pagamento del tributo, ossia le violazioni sostanziali e non quelle di natura formale;
– ciò vale, a maggior ragione, in caso di sanzione irrogata per l’omesso versamento del tributo (ex art. 13 d. Lgs. n. 471/1997, in argomento Cass. Sez. Trib. N. 21301 del 2023) che, strutturalmente, costituisce una violazione collegata all’imposta non versata, analogamente a quanto avviene nel caso di compensazione del tributo con credito inesistente. Ritiene la Corte invero che anche tale secondo comportamento costituisce nella sostanza una violazione collegata all’imposta, dal momento che il quantum del tributo viene illegittimamente ridotto nell’ammontare effettivamente versato, configurandosi quindi illecito vantaggio per il pagatore e speculare danno per l’Erario, in quanto il contribuente opera una compensazione del tutto disconnessa dalla realtà, per l’appunto inesistente tanto quanto è inesistente il credito azionato in compensazione;
una volta ritenuto che la sanzione sia collegata al tributo e quindi suscettibile di definizione anche a zero, occorre evidenziare che questa Corte ha già ritenuto che la definizione a zero della sanzione postuli
che il rapporto relativo al tributo sia stato definito e cioè che sia stato risolto mediante l’estinzione in modo satisfattivo per il creditore dell’obbligazione tributaria principale, secondo le diverse modalità previste dalle norme di tributarie, che comprendono, fra l’altro, l’annullamento dell’atto impositivo, la conciliazione giudiziale o stragiudiziale, la definizione agevolata e il pagamento tout court del tributo (Cass. n. 36037/2021; Cass. n. 13232/2022; Cass. n. 26757/2022; Cass. n. 36473/2022);
e nel caso di specie costituisce circostanza pacifica -anche alla luce della pendenza dell’autonomo giudizio tra le parti iscritto al n. r.g. 16335/2022 -quella della mancata definizione, nel senso sopra correttamente inteso, del rapporto giuridico principale, quello avente per oggetto la pretesa per tributi a fronte della quale sono state irrogate le sanzioni di cui al presente giudizio;
tale mancata definizione del tributo preclude quindi legittimamente la definizione RAGIONE_SOCIALE sanzioni;
pertanto, il ricorso proposto nel giudizio n. r.g. 8785/2024 va rigettato; – alla luce di tale decisione, si deve procedere alla disamina dei motivi di ricorso proposti dal contribuente nel giudizio iscritto al n. r.g.
16335/2022;
il primo motivo di impugnazione censura la pronuncia gravata per omesso esame di fatto decisivo della controversia ex art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c. per avere il giudice del merito, senza alcuna motivazione in punto intervenuto pacifico riscontro da parte dell’Amministrazione della mera insussistenza cartolare del credito usato in compensazione, rilevato che il credito in argomento era inesistente, omettendo di esaminare il fatto decisivo ai fini della determinazione corretta dell’importo della sanzione irrogabile;
il motivo è inammissibile;
nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348 – ter, comma 5, c.p.c., che qui ricorre, il ricorso per cassazione proposto per il motivo di cui al n. 5) dell’art. 360 c.p.c. è inammissibile se esso non indica, trascrivendole in ricorso, le ragioni di fatto poste a base,
rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5497 del 2023). Va considerato, inoltre, che il motivo di ricorso di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve riguardare un fatto storico considerato nella sua oggettiva esistenza, senza che possano considerarsi tali né le singole questioni decise dal giudice di merito, né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, né le mere ipotesi alternative, né le singole risultanze istruttorie, ove comunque risulti un complessivo e convincente apprezzamento del fatto svolto dal giudice di merito sulla base RAGIONE_SOCIALE prove acquisite nel corso del relativo giudizio (Cass. n. 10525 del 2022);
il secondo motivo si incentra sulla violazione falsa applicazione dell’art. 13 c. 5 del d. Lgs. n. 471 del 1997 per essersi i giudici dell’appello limitati ad affermare che ‘ non può non rilevare che il credito compensato era inesistente’, confermando, così, la statuizione di primo grado, che però sul punto non si era espressa;
il motivo è inammissibile, per più ragioni;
in primo luogo, nel profilo in cui contesta la motivazione della sentenza impugnata, risulta precluso dalla giurisprudenza di questa Corte che limita l’ammissibilità di tali censure ai soli casi in cui la motivazione risulta al di sotto del c.d. ‘ minimo costituzionale ‘ (per tutte, Cass. Sez. Un. sent. n. 8053/2014); in questo contesto, il semplice accertamento in ordine all’inesistenza del credito espresso in motivazione colloca la stessa al di sopra di tale limite;
in secondo luogo, lo stesso cozza contro l’accertamento di fatto operato dalla sentenza impugnata, la quale così come il giudice di primo grado ha ritenuto provata l’inesistenza del credito oggetto della compensazione; parte ricorrente, allora, tende in concreto a sollecitare questa Corte a un riesame del fatto, operazione che non è consentita al Giudice della Legittimità;
infine, e in ogni caso, non sussiste alcuna violazione in diritto dal momento che la disposizione richiamata nel motivo di ricorso, l’art. 13 c. 5 del d. Lgs. n. 471 del 1997, trova applicazione (nel prevedere
l’applicazione RAGIONE_SOCIALE sanzioni nella misura effettivamente erogata dall’ufficio e non in quella più mite richiesta dal contribuente) proprio nei casi in cui il credito sia inesistente, come avviene nella fattispecie che ci occupa;
come è noto, per credito ‘inesistente’ ai sensi dell’art. 13, comma 5, terzo periodo, d. Lgs. n. 471 del 1997 (introdotto dall’art. 15, d.lgs. n. 158 del 2015) deve intendersi il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli artt. 36-bis e 36- ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e all’art. 54-bis del d.P.R. n. 633 del 1972 (così Cass. n. 34444 del 16/11/2021);
conclusivamente, anche il ricorso proposto nel giudizio n. r.g. 16335/2022 va rigettato;
la soccombenza regola le spese che sono liquidate come in dispositivo;
p.q.m.
rigetta i ricorsi riuniti; condanna parte ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali che liquida in euro 4.300 oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 dei 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della i. n. 228 del 2012, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, con onere a carico RAGIONE_SOCIALE parti ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, l’11 settembre 2024.