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Definizione agevolata: stop al ricorso e spese compensate

Una società, dopo aver impugnato alcuni avvisi di accertamento fino alla Corte di Cassazione, ha aderito alla definizione agevolata della lite. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per sopravvenuto difetto di interesse, stabilendo che la definizione agevolata estingue la materia del contendere. Crucialmente, ha disposto la compensazione delle spese legali per non disincentivare l’uso di tali strumenti deflattivi del contenzioso.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione agevolata: la Cassazione chiarisce gli effetti sul ricorso e sulle spese

L’adesione alla definizione agevolata durante un contenzioso tributario pendente in Cassazione determina l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di interesse. In questi casi, le spese legali vanno compensate tra le parti. È quanto ha stabilito la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, fornendo chiarimenti cruciali sulla ratio delle norme che mirano a ridurre il contenzioso fiscale.

I Fatti del Caso: La Controversia Fiscale

Una società si trovava coinvolta in una disputa con l’Agenzia delle Entrate a seguito di tre avvisi di accertamento relativi agli anni 2007, 2008 e 2009. L’Amministrazione finanziaria contestava l’annotazione in contabilità di fatture ritenute in parte oggettivamente e in parte soggettivamente false.

La contribuente aveva impugnato gli atti impositivi, ma i suoi ricorsi erano stati respinti sia dalla Commissione Tributaria Provinciale che da quella Regionale. Non dandosi per vinta, la società aveva proposto ricorso per cassazione, portando la questione all’ultimo grado di giudizio.

La Svolta: L’Adesione alla Definizione Agevolata

Durante la pendenza del giudizio di legittimità, la società ha deciso di avvalersi della definizione agevolata delle controversie, uno strumento previsto dalla legge per chiudere le liti fiscali in modo tombale. La società ha quindi presentato la domanda, pagato integralmente le somme dovute secondo i calcoli forniti dall’Agenzia delle Entrate e depositato la relativa documentazione in Cassazione. Questo atto ha di fatto segnato la volontà della contribuente di porre fine alla controversia, rinunciando implicitamente a una decisione nel merito.

La Decisione della Corte sulla Definizione Agevolata

La Corte di Cassazione ha preso atto dell’avvenuta definizione della lite. Sebbene la documentazione prodotta non permettesse di verificare la perfetta corrispondenza tra le cartelle pagate e gli avvisi di accertamento oggetto del giudizio, la Corte ha sottolineato che la difesa della società aveva rinunciato al ricorso e che l’Agenzia delle Entrate non aveva contestato l’intervenuta definizione. Di conseguenza, il Collegio ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per “sopravvenuto difetto di interesse”, poiché la contribuente non aveva più alcun interesse a proseguire il giudizio.

Le Motivazioni

La parte più interessante della pronuncia risiede nelle motivazioni relative alla gestione delle spese processuali e all’inapplicabilità del cosiddetto “doppio contributo unificato”.

In primo luogo, la Corte ha disposto la compensazione delle spese. La motivazione di questa scelta si fonda sulla ratio stessa della definizione agevolata. Condannare il contribuente che rinuncia al ricorso a pagare le spese legali della controparte sarebbe un disincentivo ad aderire a questi strumenti deflattivi. La finalità del legislatore è proprio quella di incoraggiare i contribuenti a chiudere le liti pendenti. Pertanto, per coerenza con questo obiettivo, le spese devono essere compensate, anche se l’ente impositore non accetta formalmente la rinuncia.

In secondo luogo, la Corte ha escluso l’applicazione del doppio contributo unificato. Questa sanzione pecuniaria è prevista solo per i casi tipici di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso decisi nel merito. La sua natura, assimilabile a una sanzione, non ne consente un’applicazione estensiva o analogica a situazioni diverse, come quella dell’estinzione del giudizio a seguito di definizione agevolata. La controversia non si è conclusa con una soccombenza, ma con una risoluzione consensuale della lite.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione offre due importanti principi pratici. Primo: l’adesione alla definizione agevolata è un atto che chiude definitivamente la partita con il Fisco, rendendo inutile e improcedibile la continuazione del giudizio. Secondo: il contribuente che sceglie questa strada non rischia né la condanna alle spese legali né il pagamento del doppio contributo unificato. Questa interpretazione rafforza l’efficacia degli strumenti di composizione delle liti fiscali, garantendo al contribuente un quadro di certezze e convenienza economica nel momento in cui decide di porre fine al contenzioso.

Cosa succede a un ricorso in Cassazione se il contribuente aderisce alla definizione agevolata?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile (o improcedibile) per sopravvenuto difetto di interesse, poiché la materia del contendere si è estinta con il pagamento e la definizione della lite.

In caso di definizione agevolata, chi paga le spese del giudizio di Cassazione?
Le spese legali vengono compensate. Ciò significa che ogni parte sostiene i propri costi. La Corte ha chiarito che condannare il contribuente alle spese sarebbe contrario allo scopo della norma, che è quello di incentivare la chiusura delle liti.

Se il ricorso viene dichiarato inammissibile a seguito di definizione agevolata, si deve pagare il doppio contributo unificato?
No. La Corte ha stabilito che il doppio contributo unificato è una misura sanzionatoria applicabile solo nei casi tipici di rigetto o inammissibilità del gravame, e non può essere estesa ai casi in cui il processo si estingue per via di una definizione concordata della controversia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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