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Definizione agevolata: stop al processo tributario

Un contenzioso fiscale relativo alla deducibilità di interessi passivi, originato da una ristrutturazione societaria e qualificato come abuso del diritto dall’Agenzia delle Entrate, giunge in Cassazione. Nonostante i due gradi di merito favorevoli al contribuente, il processo si conclude con una declaratoria di estinzione. La causa è la scelta della società di aderire alla definizione agevolata delle liti pendenti, uno strumento che ha interrotto il giudizio prima di una decisione sul merito della questione.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione Agevolata: Come Chiudere una Lite Fiscale in Cassazione

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione evidenzia l’impatto decisivo degli strumenti di pacificazione fiscale, come la definizione agevolata, sull’esito dei contenziosi tributari. Una complessa disputa su un’operazione di ristrutturazione societaria, giunta fino all’ultimo grado di giudizio, si è conclusa non con una sentenza sul merito, ma con una declaratoria di estinzione del processo. Vediamo come l’adesione a una sanatoria ha prevalso sulla prosecuzione della battaglia legale.

I fatti del caso: una ristrutturazione societaria sotto la lente del Fisco

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento notificato a una società a responsabilità limitata. L’Agenzia delle Entrate contestava l’illegittima deduzione di interessi passivi relativi a un prestito obbligazionario sottoscritto dai soci. Secondo l’Ufficio, tale operazione, avvenuta nel contesto di una più ampia ristrutturazione, configurava un caso di abuso del diritto ai sensi dell’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973. L’amministrazione finanziaria sosteneva che la società avesse scelto una via fiscalmente più vantaggiosa (interessi passivi deducibili) per distribuire riserve ai soci, anziché utilizzare la forma naturale dei dividendi (non deducibili).

Il percorso nei gradi di merito

La società ha impugnato l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, che ha accolto il ricorso. I giudici di primo grado hanno ritenuto non applicabile la normativa sull’abuso del diritto, sottolineando anche che l’Ufficio non aveva indicato un percorso alternativo legittimo per raggiungere lo stesso obiettivo economico.

L’Agenzia delle Entrate ha quindi presentato appello, ma la Commissione Tributaria Regionale ha confermato la decisione di primo grado, rigettando il gravame e condannando l’Ufficio al pagamento delle spese.

L’appello in Cassazione e l’impatto della definizione agevolata

Non soddisfatta, l’Amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione, basandosi su due motivi principali: la nullità della sentenza d’appello per essersi pronunciata su questioni non contestate e l’omesso esame di un fatto decisivo, ovvero la stretta connessione tra l’acquisizione delle partecipazioni e l’emissione del prestito obbligazionario.

Tuttavia, durante il giudizio di legittimità, è intervenuto un fatto nuovo e risolutivo: la società contribuente ha aderito alla definizione agevolata della controversia, come previsto da una specifica normativa (art. 6 del d.l. 119/2018). Questa scelta ha cambiato radicalmente le sorti del processo.

Le motivazioni della Corte

La Corte di Cassazione, preso atto dell’avvenuta adesione alla definizione agevolata da parte della società, ha semplicemente verificato la sussistenza dei presupposti di legge. Poiché l’Ufficio non ha opposto alcun diniego e non è stata presentata istanza per la prosecuzione del giudizio entro i termini, i giudici non hanno potuto fare altro che dichiarare l’estinzione del processo. La decisione, quindi, non entra nel merito delle complesse questioni tributarie sollevate dall’Agenzia delle Entrate, ma si limita a prendere atto dell’effetto estintivo prodotto dalla scelta del contribuente.

Le conclusioni: l’effetto tombale della definizione agevolata

Questa ordinanza dimostra la portata degli strumenti di pacificazione fiscale. La definizione agevolata si configura come un’opzione strategica per il contribuente, in grado di porre fine a contenziosi lunghi e dall’esito incerto, anche quando questi pendono dinanzi alla Corte Suprema. L’estinzione del giudizio comporta la chiusura definitiva della lite, senza vincitori né vinti sul piano del diritto sostanziale. Per quanto riguarda le spese processuali, la Corte ha stabilito che ciascuna parte debba farsi carico delle proprie, secondo il principio della compensazione in caso di estinzione.

Cosa succede a un processo tributario in Cassazione se il contribuente aderisce alla definizione agevolata?
Il processo viene dichiarato estinto. Ciò significa che la Corte non emette una sentenza sul merito della controversia, ma chiude formalmente il procedimento a causa dell’accordo raggiunto tra il contribuente e l’amministrazione finanziaria.

Qual era l’accusa principale mossa dall’Agenzia delle Entrate alla società?
L’Agenzia contestava un’ipotesi di abuso del diritto, sostenendo che la società avesse utilizzato uno strumento finanziario (un prestito obbligazionario) al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale indebito, ovvero la deducibilità degli interessi passivi, invece di distribuire utili sotto forma di dividendi non deducibili.

In caso di estinzione del giudizio per definizione agevolata, chi paga le spese legali?
Secondo l’ordinanza, le spese restano a carico della parte che le ha anticipate. In pratica, ogni parte coinvolta nel processo (in questo caso, l’Agenzia delle Entrate e la società) paga i propri avvocati e i costi sostenuti.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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