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Definizione agevolata: spese legali compensate

Una società e i suoi soci, dopo aver perso nei primi due gradi di giudizio contro l’Agenzia delle Entrate per un avviso di accertamento relativo a società di comodo, hanno aderito alla definizione agevolata durante il ricorso in Cassazione. La Suprema Corte ha dichiarato estinto il giudizio e compensato le spese legali, affermando che condannare il contribuente alle spese contrasterebbe con la finalità della legge sulla definizione agevolata, che mira a incentivare la chiusura delle liti.

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Pubblicato il 19 dicembre 2025 in Diritto Tributario, Giurisprudenza Tributaria

Definizione Agevolata: la Cassazione Conferma Stop alle Spese Legali

L’adesione alla definizione agevolata durante un contenzioso tributario pendente in Cassazione porta non solo all’estinzione del giudizio, ma anche alla compensazione delle spese legali. Con l’ordinanza in commento, la Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale a tutela del contribuente, volto a non vanificare la ratio delle norme sulla chiusura delle liti fiscali. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni della Suprema Corte.

I fatti del caso: dall’accertamento per società di comodo al ricorso in Cassazione

La vicenda trae origine da una serie di avvisi di accertamento notificati dall’Agenzia delle Entrate a una società in accomandita semplice e ai suoi soci. L’amministrazione finanziaria contestava, per l’anno d’imposta 2006, la mancata inclusione della società nel test di operatività per la verifica delle cosiddette ‘società di comodo’, oltre ad altre irregolarità contabili. Di conseguenza, veniva accertato un maggior reddito imponibile.

I contribuenti impugnavano gli atti, ma sia la Commissione Tributaria Provinciale che la Commissione Tributaria Regionale confermavano la legittimità degli accertamenti. Ritenendo errata la decisione di secondo grado, la società e i soci proponevano ricorso per cassazione.

La svolta processuale: l’adesione alla definizione agevolata

Mentre il giudizio era pendente dinanzi alla Suprema Corte, i contribuenti decidevano di avvalersi della definizione agevolata delle controversie, prevista dall’art. 6 del D.L. n. 193/2016. Presentavano quindi domanda, pagavano le somme dovute e chiedevano formalmente alla Corte di dichiarare l’estinzione del giudizio per cessata materia del contendere. L’Agenzia delle Entrate, a sua volta, confermava l’avvenuta definizione e aderiva alla richiesta di estinzione, chiedendo la compensazione delle spese.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha accolto la richiesta congiunta delle parti, dichiarando estinto il giudizio. Il punto centrale dell’ordinanza, tuttavia, riguarda la regolamentazione delle spese processuali. La Corte ha chiarito che, in tema di definizione agevolata delle controversie tributarie, non si applica la regola generale sulla soccombenza.

Secondo i giudici, la ratio della normativa sulla definizione agevolata è quella di incentivare i contribuenti a chiudere le liti pendenti. Se un contribuente che aderisce alla sanatoria venisse poi condannato a pagare le spese legali della controparte, questo rappresenterebbe un onere ulteriore e un disincentivo, andando contro lo scopo stesso della legge. La condanna alle spese, infatti, contrasterebbe con la finalità della procedura, dissuadendo di fatto i contribuenti dall’utilizzarla.

Richiamando un proprio precedente consolidato (Cass. n. 10198/2018), la Corte ha stabilito che, anche qualora l’Amministrazione Finanziaria non accetti esplicitamente la rinuncia al ricorso, le spese devono essere compensate. L’adesione del contribuente alla procedura speciale prevale, imponendo la compensazione come soluzione processuale più coerente con il sistema.

Infine, la Corte ha specificato che non sussistono i presupposti per il pagamento del cosiddetto ‘doppio contributo unificato’, in quanto tale misura sanzionatoria si applica solo in caso di rigetto, inammissibilità o improcedibilità del ricorso, e non in caso di estinzione del giudizio come in questa fattispecie.

Le conclusioni

Questa pronuncia consolida un orientamento giurisprudenziale di grande importanza pratica. I contribuenti che scelgono di chiudere una lite fiscale attraverso la definizione agevolata possono contare su un esito certo per quanto riguarda le spese processuali del giudizio di legittimità: queste verranno compensate. Tale certezza rende lo strumento della definizione agevolata ancora più appetibile, eliminando il rischio di dover sostenere costi aggiuntivi e imprevisti legati alla chiusura del contenzioso in Cassazione. La decisione riafferma la volontà del legislatore e della giurisprudenza di favorire soluzioni conciliative, alleggerendo il carico dei tribunali e fornendo ai contribuenti una via d’uscita chiara e prevedibile dalle controversie fiscali.

Cosa succede a un processo tributario se il contribuente aderisce alla definizione agevolata?
Il processo viene dichiarato estinto, ponendo fine alla controversia legale senza una decisione nel merito.

Aderendo alla definizione agevolata, il contribuente deve pagare le spese legali all’Agenzia delle Entrate?
No. Secondo la Corte di Cassazione, in caso di estinzione del giudizio per definizione agevolata, le spese legali vengono compensate. Questo significa che ogni parte sostiene i propri costi.

Perché le spese legali vengono compensate in caso di definizione agevolata?
La compensazione delle spese serve a non scoraggiare i contribuenti dall’aderire a queste procedure. Condannare il contribuente al pagamento delle spese legali della controparte sarebbe un onere aggiuntivo che andrebbe contro lo scopo della legge, che è quello di incentivare la chiusura delle liti fiscali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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