Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 22126 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 22126 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
ordinanza
sul ricorso iscritto al n. 16/2016 R.G. proposto da
Agenzia delle Entrate , rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’ avvocato NOME COGNOME come da procura speciale a margine del controricorso (PEC: EMAIL;
-controricorrente – e nei confronti di
Agenzia delle entrate -Riscossione (già RAGIONE_SOCIALE), rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME come da procura speciale in calce all ‘atto di costituzione (PEC: EMAIL)
-resistente – avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 2142/66/2015, depositata il 18.05.2015;
Oggetto:
Tributi
nonché sul ricorso successivo proposto da
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME come da procura speciale allegata al ricorso successivo (PEC: EMAIL
EMAIL);
-ricorrente –
Contro
Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso il provvedimento di diniego di definizione agevolata ex art. 6 del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv. con modif. nella l. 17 dicembre 2018, n. 136, notificato il 10 luglio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 aprile 2025 dal consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
La CTP di Bergamo rigettava, previa riunione, i ricorsi proposti dalla RAGIONE_SOCIALE (precedentemente denominata RAGIONE_SOCIALE) avverso due cartelle di pagamento, relative ad Iva ed altro, per l’ann o d’imposta 2006, notificate alla predetta contribuente, in qualità di cessionaria dell’azienda acquistata in data 25.08.2008 dalla RAGIONE_SOCIALE e quindi responsabile in solido con la cedente ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 472 del 1997 ;
con la sentenza indicata in epigrafe, la Commissione tributaria regionale della Lombardia accoglieva l’appello proposto dalla società contribuente, osservando, per quanto qui rileva, che:
il cessionario di una azienda risponde in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione del cedente, entro i limiti del
valore dell’azienda, per il pagamento delle imposte e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore;
nella specie, i tentativi di escussione preventiva, andati infruttuosi, operati da Equitalia Nord s.p.a., erano relativi a pendenze diverse da quelle riguardanti le cartelle impugnate, in quanto le attività esecutive nei confronti del cedente, come affermato da Equitalia Nord s.p.a., si erano svolte tra il 2008 e il 2010, mentre l’accertamento collegato alle cartelle impugnate era riferibile all’anno di imposta 2006, notificato solo nel 2012;
la responsabilità solidale del cessionario poteva sorgere solo a seguito del tentato recupero del credito nei confronti del cedente, ma nel caso di specie non vi era stata una preventiva escussione del cedente con riferimento alle cartelle di pagamento impugnate;
era pacifico, poi, che le cartelle impugnate facevano riferimento ad un avviso di accertamento, che non era stato notificato alla cessionaria alla quale, invece, l’Ufficio avrebbe dovuto notificare detto atto impositivo presupposto, emesso nei confronti del cedente, al fine di consentirgli di intervenire consapevolmente ad adiuvandum nel relativo giudizio, anche perché la motivazione delle cartelle faceva rinvio all’atto impositivo;
la responsabilità del cessionario era comunque limitata al debito tributario risultante dagli atti dell’Amministrazione finanziaria e degli Enti preposti all’accertamento all’atto del trasferimento dell’azienda;
l ‘Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;
la RAGIONE_SOCIALE resisteva con controricorso;
RAGIONE_SOCIALE (ora Agenzia delle entrate -Riscossione) si costituiva al solo fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione;
con successiva istanza del 28.05.2019, la società contribuente chiedeva la sospensione del giudizio, avendo presentato la domanda definizione agevolata della controversia, ai sensi dell’art. 6, commi 10 e 13, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv. con modif. nella l. 17 dicembre 2018, n. 136, senza effettuare alcun ulteriore versamento, in quanto la somma dovuta per la definizione era stata già versata in pendenza del giudizio, come da documentazione allegata all’istanza, e contestualmente insisteva nel l’estinzione del giudizio medesimo ;
con provvedimento notificato a mezzo PEC in data 10.07.2020, l’Agenzia delle entrate emetteva formale diniego di definizione agevolata della controversia atteso che la cartella notificata alla contribuente riguardava un atto di mera riscossione;
-con successivo ricorso, ai sensi dell’art. 6, comma 12, del d.l. n. 119 del 2018, la contribuente impugnava il menzionato atto di diniego con un unico motivo;
-l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso;
la contribuente e l’Agenzia delle entrate Riscossione depositavano le rispettive memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
CONSIDERATO CHE
-Deve preliminarmente rilevarsi che l’atto depositato da Equitalia Nord RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE (ora Agenzia delle entrate -Riscossione), non notificato alle controparti, non può qualificarsi come controricorso e la resistente, pure in presenza di regolare procura speciale ad litem , non è legittimata neppure a depositare memorie illustrative (Cass. n. 25735 del 2014); il principio, affermato con riferimento alla trattazione della causa in pubblica udienza, deve essere esteso anche al procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 380 bis.1 c.p.c.,
introdotto dal d.l. 31 agosto 2016 n. 168 conv. in legge 25 ottobre 2016 n. 197 (Cass. n. 26974 del 2017; Cass. n. 24422 del 2018); – ciò posto, con il primo motivo di ricorso, proposto avverso le cartelle di pagamento, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 14 d.lgs. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere la CTR ritenuto erroneamente che la previa escussione del cedente sia la fonte della responsabilità solidale del cessionario che, quindi, non può sussistere fino a quando non sia stato tentato il recupero del credito nei confronti del primo, sicché la mancata preventiva escussione del cedente determinerebbe l’ illegittimità delle cartelle notificate al cessionario, senza considerare che il beneficio di escussione esplica la sua efficacia limitatamente alla fase esecutiva;
con il secondo motivo, deduce la violazione dell’art. 14 d.lgs. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per aver la CTR ritenuto che fosse necessaria, ai fini della legittimità delle cartelle di pagamento, la previa notifica al cessionario del l’atto impositivo emesso nei confronti del cedente, da cui scaturiva il debito tributario del quale il cessionario era chiamato a rispondere in via solidale e ciò al fine di consentir e a quest’ultimo di intervenire consapevolmente ad adiuvandum nel giudizio eventualmente instaurato dal cedente;
-con il terzo motivo, deduce la violazione dell’art. 14 d.lgs. 472/1997, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. per avere la CTR limitato la responsabilità del cessionario al debito risultante alla data del trasferimento dell’azienda , dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli enti preposti all’accertamento dei tributi, anziché di tutti i debiti fiscali del cedente, relativi al triennio anteriore a detto trasferimento, non avendo la contribuente chiesto l’attestazione dei carichi pendenti del cedente;
con l’unico motivo proposto con il ricorso successivo, riguardante il diniego di condono, la RAGIONE_SOCIALE deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.l. n. 119/2018, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ. , per avere l’Agenzia delle entrate erroneamente qualificato la lite pendente come controversia relativa ad atti di mera riscossione;
in via pregiudiziale e per il suo carattere assorbente, va esaminato il ricorso avverso il provvedimento di diniego di definizione agevolata, proposto dalla contribuente;
detto ricorso è fondato;
secondo la giurisprudenza di questa Corte, « In tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella emessa in sede di controllo automatizzato ex art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, qualora la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva » (Cass. S.U. n. 18298 del 25/06/2021);
come ha recentemente statuito questa Corte, la controversia tributaria è suscettibile di definizione, ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, ogni qual volta la cartella di pagamento ricevuta dal contribuente costituisca il primo e unico atto con il quale l’Amministrazione finanziaria comunichi allo stesso la pretesa impositiva; ciò avviene normalmente, oltre che nei casi di controllo automatico o formale previsti dagli artt. 36bis e 36ter del d.P.R. n. 600 del 1973 e dall’art. 54bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633,
anche nei casi di responsabilità solidale, in cui è consentita la notifica al coobbligato solidale della cartella di pagamento come primo e unico atto impositivo (Cass. n. 18107 del 2023);
q uest’ultima ipotesi si è verificata anche nel caso di specie, laddove al cessionario di azienda, responsabile in solido con il cedente, è stata (legittimamente) notificata unicamente la cartella di pagamento oggetto di impugnazione; cartella che, quindi, non costituisce un atto esclusivamente riscossivo, come sostenuto da ll’Agenzia delle entrate , ma è anche il primo atto impositivo ricevuto dal cessionario;
-avverso detta cartella, pertanto, deve ritenersi consentita al cessionario la definizione agevolata della pretesa tributaria, sicché l’Amministrazione finanziaria ha errato nel ritenere non definibile la controversia;
-l’accoglimento del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE avverso il diniego di definizione agevolata implica l’estinzione del giudizio relativo all’impugnazione delle cartelle di pagamento, in ragione della intervenuta definizione della lite, dato che la contribuente aveva già versato, a suo tempo, l’importo dovuto per la definizione, come risulta anche dalla ricevuta dell’Agenzia delle entrate, allegata alla domanda di definizione (nella quale è indicato, come ‘importo netto dovuto’, quello di ‘€ 0,00’ ), e comunque si tratta di dato non contestato dall’Agenzia delle entrate;
-è, pertanto, superfluo l’esame dei motivi di ricorso proposto dall’Agenzia delle entrate;
-in conclusione, va accolto l’unico motivo di ricorso avverso il diniego di definizione agevolata e va, quindi, dichiarata l’estinzione del giudizio concernente l’impugnazione delle cartelle di pagamento;
il complessivo esito della lite e la relativa novità della questione giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso avverso il diniego di definizione agevolata e dichiara estinto il giudizio concernente l’impugnazione avverso le cartelle di pagamento; dichiara interamente compensate tra le parti le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale dell’8 aprile 2025