Sentenza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 5912 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 5 Num. 5912 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
Revocazione decreto estinzione per definizione agevolata- Diniego- Sgravio della cartella-Rilevanza ai fini del computo delle somme da versare-Insussistenza
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 26259/2021 R.G. proposto da: COGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC EMAIL
-ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che le rappresenta e difende;
-controricorrente – nonché
AGENZIA DELLE ENTRATE RISCOSSIONE
-intimata –
avverso la sentenza n. 2241/2021, pronunciata dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia il 4/02/2021, e pubblicata l’8 /03/2021;
nonché
sul ricorso successivo proposto da
NOMECOGNOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME che ha indicato recapito PEC EMAILordineavvocaticataniaEMAIL;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore , domiciliata in Roma alla INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende;
-controricorrente -avverso il diniego di definizione agevolata emesso con provvedimenti n. 77110 e n. 77111 notificati il 23/04/2024 e per la revocazione del decreto di estinzione n. 6474/2024 depositato in data 12/03/2024; udita la relazione della causa tenuta nella pubblica udienza del 29/11/2024 dal consigliere dott. NOME COGNOME udito il sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso del contribuente contro il diniego della definizione agevolata, il rigetto della revocazione proposta da ll’ Agenzia delle entrate contro il decreto di estinzione del 7 marzo 2024; udito l’avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura generale dello Stato; udito l’avv. NOME COGNOME per NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME narrava di aver conseguito un estratto di ruolo relativo alla propria posizione contributiva, e di avere così appreso della
pendenza a suo carico di due pretese tributarie relative all’omesso pagamento dell’Irpef, riportate in altrettanti avvisi di accertamento esecutivi attinenti a gli anni 2007 e 2008, periodi d’imposta in relazione ai quali non aveva presentato alcuna dichiarazione dei redditi.
Il contribuente proponeva quindi ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Catania contestando, in primo luogo, l’omissione della notificazione degli atti impositivi e la conseguente prescrizione.
La CTP, preso atto che la tardiva costituzione in giudizio dell’Ente impositore non consentiva di esaminare la documentazione prodotta fuori termine dall’Amministrazione finanziaria, riteneva non provata la notificazione degli avvisi di accertamento e pertanto annullava gli atti impositivi.
L’Agenzia delle Entrate spiegava appello avverso la decisione sfavorevole che la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia accoglieva; in particolare i giudici del gravame ritenevano la regolarità della procedura di notificazione degli atti impositivi (avvenuta ai sensi dell’art. 140 cod. proc. civ.) , rigettando la doglianza per cui non vi sarebbe stata corrispondenza tra i ruoli impugnati e gli avvisi di accertamento prodotti, identiche essendo le imposte (per tipo, importo e annualità) e le sanzioni; riteneva poi non maturata la decadenza/prescrizione dei crediti tributari.
Avverso la decisione assunta dalla CTR ha proposto ricorso per cassazione il contribuente, affidandosi a due strumenti di impugnazione.
Resiste mediante controricorso l’Amministrazione finanziaria.
L’Agenzia delle Entrate Riscossione non ha svolto attività difensiva.
Il ricorrente ha poi depositato memoria, domandando la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 5 della legge n. 130 del 2022.
Con ordinanza interlocutoria la Corte ha sospeso di conseguenza il processo fino al 16/01/2023.
In data 8/02/2023 l’Agenzia delle entrate ha depositato istanza di trattazione non avendo il ricorrente dato seguito alla domanda di definizione agevolata ai sensi dell’art. 5 citato.
In data 6/10/2023 il contribuente ha depositato la domanda di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss. , della legge n. 197 del 2022, alla quale non si accompagnava alcun pagamento, in quanto, a seguito di istanza di parte, l’Agenzia aveva comunicato che le cartelle erano state interamente sgravate, chiedendo l’estinzione del giudizio.
Con decreto del Presidente della sezione tributaria n. 6474 pubblicato in data 12/03/2024 è stata dichiarata l’estinzione del giudizio, in considerazione dell’inserimento della controversia nell’elenco previsto dall’art. 40 , comma 3, d.l. n. 13 del 2023, attestante l’avvenuta presentazione della domanda di definizione agevolata ai sensi dell’art. 1, commi 186 e ss., della legge n. 197 del 2022 e l’assenza allo stato di diniego.
In data 7/05/2024 l’Agenzia delle Entrate ha presentato «istanza di revocazione ex lege 197/2022, art. 1, comma 201 del decreto di estinzione», sul presupposto che in data 2/04/2024 e 23/04/2024 l’Ufficio ha notificato il diniego della domanda di definizione agevolata , motivato in ragione della mancanza di alcun pagamento.
In data 19/06/2024 il contribuente ha depositato ricorso contro il diniego di definizione agevolata.
L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La causa è stata rimessa alla pubblica udienza del 29/11/2024, per la quale il contribuente ha depositato memoria.
Il PM, in persona del sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME, ha rassegnato conclusioni scritte per l’accoglimento del
ricorso contro il diniego della definizione agevolata e di conseguenza la pronuncia di estinzione del giudizio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso principale è affidato a due motivi
Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 29, comma 1, del d.l. n. 78 del 2010, come conv. dalla legge n. 122 del 2010, e degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., in cui è incorso il giudice dell’appello . Deduce che gli avvisi di accertamento prodotti dall’ufficio (nn. TYS01B103444 e TYS01B101756) con la prova della relativa notificazione non sarebbero quelli oggetto dell’estratto ruolo acquisito (n. NUMERO_CARTA e con il ruolo 2014/805966; n. NUMERO_CARTA con il ruolo 2014/8059661) e oggetto di ricorso, anche mancando la comunicazione dell’agente della riscossione della presa in carico dei ruoli, ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.l. n. 78 del 2010. La CTR avrebbe errato nel ritenere esistente tale correlazione a) avvalendosi di una presunzione semplice «al fine di valutare la connessione tra le somme iscritte a ruolo e gli accertamenti esecutivi»; b) mancando la comunicazione di presa in carico (mai prodotta dall’agente della riscossione, rimasto contumace) , con violazione altresì del principio di terzietà e indipendenza del giudice ex art. 111 Costituzione.
Mediante il suo secondo strumento di impugnazione, introdotto ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 60 del d.P.R. n. 600 del 1973, degli artt. 140148 cod. proc. civ. e dell’art. 2700 cod. civ., per avere la CTR ritenuto regolarmente notificato l’avviso di accertamento esecutivo relativo all’anno 2007 per cui è causa.
Il ricorso proposto dal contribuente contro il diniego di definizione agevolata censura tale atto per «nullità e infondatezza dei
dinieghi alla definizione agevolata della lite pendente innanzi alla Suprema Corte -insussistenza di somme dovute a titolo di definizione agevolata già certificata dalla stessa Agenzia delle Entrate -violazione dell’art. 1 comma 194 l. 197/2022 ».
Occorre esaminare in primo luogo il ricorso proposto dal contribuente contro il diniego di definizione agevolata notificatogli dall’Agenzia .
La decisione sul diniego di condono si pone in «stretto rapporto di pregiudizialità» rispetto a quella concernente l’atto impositivo. Infatti, come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 27/01/2016, n. 1518, il condono fiscale costituisce «una forma atipica di definizione del rapporto tributario, che prescinde da un’analisi delle varie componenti ed esaurisce il rapporto stesso mediante definizione forfettaria e immediata» e, pertanto, la definizione agevolata, incidendo sul rapporto sostanziale e processuale tra il contribuente e il fisco, assume carattere logicamente prevalente su quest’ultimo.
Non conduce invero a conclusioni diverse la parzialmente differente regolamentazione propria della legge condonistica rilevante nel caso di specie, la legge n. 197/2022.
3 .1. L’art. 1, commi 186 e ss., della legge n. 197 del 2022, ha previsto una nuova definizione agevolata delle controversie fiscali, introducendo una disciplina applicabile a tutti i giudizi in corso, siano essi pendenti nei gradi di merito quanto in sede di legittimità, e che non prevede differenze processuali significative a seconda del grado in cui penda la controversia, salvo quanto si dirà.
I commi 197 e 198, della legge n. 197 del 2022, come modificati dall’art. 20, comma 1, lett. c), d.l. n. 34 del 2023, dispongono che il contribuente che intende aderire alla definizione agevolata delle controversie pendenti ha l’onere di depositare, entro il 10 ottobre 2023, «presso l’organo giurisdizionale innanzi al quale pende la controversia,
copia della domanda di definizione e del versamento degli importi dovuti o della prima rata» e, in tal caso, «il processo è dichiarato estinto con decreto del presidente della sezione o con ordinanza in camera di consiglio se è stata fissata la data della decisione. Le spese del processo restano a carico della parte che le ha anticipate».
Ai sensi del comma 200 dell’art. 1 cit. «L’eventuale diniego della definizione agevolata deve essere notificato entro il 30 settembre 2024 con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali. Il diniego è impugnabile entro sessanta giorni dalla notificazione del medesimo dinanzi all’organo giurisdizionale presso il quale pende la controversia. Nel caso in cui la definizione della controversia è richiesta in pendenza del termine per impugnare, la pronuncia giurisdizionale può essere impugnata dal contribuente unitamente al diniego della definizione entro sessanta giorni dalla notifica di quest’ultimo ovvero dalla controparte nel medesimo termine».
Ai limitati fini del giudizio di cassazione, peraltro, occorre evidenziare la previsione dell’art. 40, comma 3, del d.l. n. 13 del 2023, sopra citato, che dispone che «Al fine di conseguire gli obiettivi di riduzione del numero dei giudizi pendenti dinnanzi alla Corte di Cassazione di cui alla Riforma 1.7 “Giustizia tributaria” della Missione 1, Componente 1, Asse 2, del Piano nazionale di ripresa e resilienza mediante la riduzione dei tempi per la dichiarazione di estinzione dei giudizi di legittimità ai sensi dell’articolo 1, comma 198, della legge 29 dicembre 2022 n. 197 e dell’articolo 391 del codice di procedura civile, l’Agenzia delle entrate, fermi restando gli oneri posti a carico del contribuente, provvede a depositare entro il 31 ottobre 2023 presso la cancelleria della Corte di cassazione un elenco delle controversie per le quali è stata presentata domanda di definizione, con l’indicazione dei relativi versamenti previsti dal comma 197 del medesimo articolo 1».
Il comma 201, infine, prevede che «Per i processi dichiarati estinti ai sensi del comma 198, l’eventuale diniego della definizione è impugnabile dinanzi all’organo giurisdizionale che ha dichiarato l’estinzione. Il diniego della definizione è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione pronunciato ai sensi del comma 198 e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego. Il termine per impugnare il diniego della definizione e per chiedere la revocazione è di sessanta giorni dalla notificazione di cui al comma 200».
3.2. Questa Corte ha già chiarito che la definizione agevolata in esame, a differenza di quelle previste da leggi antecedenti, determina l’estinzione del giudizio alla sola condizione del deposito della domanda di definizione agevolata e della prova del pagamento di quanto dovuto o della prima rata (Cass. 11/06/2024, n. 16240; Cass. 01/03/2024, n. 5534), senza dover attendere il termine assegnato all’Agenzia per la emissione e notificazione del diniego.
La recentissima Corte Cost. n. 189 del 2024 ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 53 e 111 Cost., dell’art. 1, comma 198, della legge n.197 del 2022, laddove dispone che il processo è dichiarato estinto in caso di deposito di copia della domanda di definizione agevolata e del versamento degli importi dovuti o della prima rata, in quanto frutto di una scelta non irragionevole nell’ottica di favorire l’immediata chiusura delle controversie tributarie pendenti e di incentivare i pagamenti non ancora eseguiti, ed evidenziando che essa neppure comporta alcun effetto preclusivo del processo.
3.3. Nel giudizio in esame viene in rilievo il connesso tema determinato dalla previsione della «revocazione» del decreto di estinzione a seguito del diniego di definizione emesso dall’ufficio, revocazione cui il comma 201 attribuisce gli effetti di rimozione del
decreto di estinzione e di attivazione della prosecuzione del giudizio sul merito della lite, e del contestuale ricorso del contribuente contro il provvedimento di diniego.
Il testo del comma 201 sul punto è inequivoco; nella sua prima proposizione esso prevede che, ove sia stato emesso provvedimento di estinzione, l’eventuale diniego sia impugnabile davanti allo stesso organo giurisdizionale che l’ha pronunciata; successivam ente dispone che il «diniego è motivo di revocazione del provvedimento di estinzione e la revocazione è chiesta congiuntamente all’impugnazione del diniego».
Nel sistema così descritto la revocazione condonistica, pur se rivolta contro un provvedimento idoneo a definire il processo, presenta caratteristiche peculiari in quanto trova il suo presupposto in un atto emesso da una delle parti del giudizio ed è rivolto nei confronti di un provvedimento immune da vizi o comunque adottato in presenza dei presupposti che la legge stessa prevede; essa è finalizzata alla rimozione della dichiarazione di estinzione e a consentire la ripresa del giudizio di impugnazione dell’atto impositivo, ripresa resasi necessaria alla luce dell’intervenuto diniego della definizione agevolata.
Come evidenziato da Corte Cost. n. 189 del 2024, il tenore letterale peraltro non esclude che l’amministrazione finanziaria possa attivare il rimedio della revocazione per il caso di diniego, senza attendere le iniziative del contribuente.
La Corte Costituzionale ha inoltre espressamente evidenziato che «la scelta di affidare contestualmente il giudizio di impugnazione del diniego di definizione e la revocazione del provvedimento dichiarativo dell’estinzione alla competenza funzionale del giudice che ha reso quest’ultimo, essendo peraltro le impugnazioni accomunate anche dalla decorrenza del termine di proponibilità, conferma la stretta connessione tra la domanda di definizione e la lite fiscale già pendente,
segnato dapprima dall’estinzione del processo per effetto della presentazione della domanda di definizione e del pagamento dell’importo, anche rateale, stabilito e poi, ove necessario, dalla prosecuzione della controversia in conseguenza del provvedimento di diniego della definizione. Si tratta di scelta che non appare né arbitraria né manifestamente irragionevole attesi gli effetti che sulla sorte del giudizio principale estinto è in grado di dispiegare la soluzione sia dell’impugnativa del diniego di definizione sia della revocazione dell’estinzione stessa. Tale scelta risulta altresì in linea con precedenti interventi legislativi di analoga portata e appare giustificata dalla stretta connessione ravvisabile tra domanda di definizione e controversia pendente (Corte Cost. n. 107 del 2007)».
3.4. L’amministrazione ha eccepito l’ intempestività del ricorso contro il diniego in quanto quest’ultimo è stato notificato in data 2/04/2024 all’intermediario nominato nella domanda oltre che poi alla parte di persona in data 23/04/2024; il ricorso è stato notificato in data 14/06/2024 per cui sarebbe stato proposto oltre il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 201 della legge 197/2022, termine decorrente dalla notificazione del diniego.
L’eccezione , sebbene ammissibile, non potendosi condividere il rilievo di inammissibilità sollevato dal PM, non è fondata.
3.4.1. L’eccezione è ammissibile in quanto non occorre, ai fini della sua specificità, alcuna trascrizione integrale degli atti e in particolare della domanda di condono, che è invece allegata al ricorso ed anche all ‘ istanza di revocazione della difesa erariale.
E’ noto del resto che il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. -quale corollario del requisito di specificità dei motivi – anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021 – non deve essere interpretato in modo eccessivamente
formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non può pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, onere che può ritenersi insussistente laddove nel ricorso sia però puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., Sez. U., n. 8950/2022).
3.4.2. L’eccezione di intempestività però è infondata.
La notificazione del diniego deve avvenire nelle forme previste per la notificazione degli atti processuali (art. 1, comma 200, della legge n. 197/2022).
Dalla visione della domanda di definizione agevolata non risulta affatto un ‘ elezione di domicilio presso NOME COGNOME, valida ai sensi dell’art. 141 cod. proc. civ., come sostenuto dalla difesa erariale, bensì la indicazione di un mero recapito digitale (EMAIL, mentre il diniego è stato notificato all’indirizzo p .e.c., diverso da quello indicato, EMAIL
Il ricorso è quindi tempestivo, dovendosi far riferimento, ai fini della decorrenza del termine per proporlo (sessanta giorni dalla notifica del diniego, art. 1, comma 201, della legge n. 197 del 2022), alla data di notifica alla parte personalmente, avvenuta il 23/04/2024.
3.5. Occorre pertanto esaminare nel merito il ricorso contro il diniego erariale, motivato, come visto, sulla circostanza che non sia avvenuto alcun pagamento a corredo della domanda.
3.5.1. Il ricorrente , con l’unico motivo, assume la violazione dell’art. 1 , comma 194, della legge n. 197/2022 che prevede che «Qualora non ci siano importi da versare, la definizione si perfeziona con la sola presentazione della domanda»; il diniego sarebbe quindi erroneo laddove assume che la definizione presentata dal sig. COGNOME
non si è perfezionata perché «non risulta alcun pagamento» quando, in realtà, la stessa Agenzia delle Entrate aveva, su istanza del contribuente intesa a «certificare/attestare gli sgravi e/o le imputazioni di pagamento intervenuti nel tempo sugli atti impugnati nn. NUMERO_CARTA e NUMERO_CARTA all’inequivoco fine di procedere al calcolo di quanto dovuto ai fini della definizione agevolata», certificato che nessuna somma era dovuta in quanto le cartelle erano state integralmente sgravate.
In sintesi, l’assunto è che ai fini della definizione non dovesse versarsi nulla in quanto gli importi di cui agli atti impugnati erano stati sgravati , come comunicato dall’Agenzia .
3.5.2. L’amministrazione assume invece che l’ intervenuto sgravio dei ruoli di cui alle certificazioni prodotte dalla controparte non ha alcun tipo di valenza nel giudizio instaurato in Cassazione, in quanto gli sgravi sono stati operati sulla base della sentenza di primo grado sfavorevole all’Amministrazione, quale atto dovuto in esecuzione della suddetta pronuncia; r esta fermo, di contro, che l’importo in contestazione è quello contenuto nei due avvisi di accertamento esecutivi, impugnati unitamente ai ruoli, per cui appare evidente come gli sgravi eseguiti su sentenza provvisoriamente esecutiva non determinano affatto l’azzeramento degli importi in contestazione, a meno che l’Ufficio abbia adottato un formale provvedimento di autotutela, ciò che nella fattispecie non è avvenuto. Dalla motivazione dei provvedimenti di sgravi o prodotti dall’ufficio emergerebbe chiaramente tale circostanza, peraltro non in contestazione tra le parti. Dunque, il valore di definizione della lite indicato a «zero» dalla parte è stato erroneamente determinato sulla scorta di una altrettanto erronea lettura di quanto comunicato dall’Agenzia delle Entrate di Catania, la quale ha unicamente attestato la situazione riscossiva delle cartelle, senza riguardo agli importi in contestazione nella causa.
3.5.3. Il PG ha evidenziato l’inammissibilità delle difese erariali in quanto non contenute nell’originario diniego, motivato in ragione del mancato pagamento di alcuna somma, evidenziando che le motivazioni contenute nel diniego non potessero essere integrate in corso di causa.
3.5.4. Tutto ciò premesso, deve ritenersi che il ricorso contro il diniego sia infondato.
In primo luogo, occorre evidenziare che questa Corte (Cass. n. 16724/2010 e Cass. n. 2448/2018) ha già affermato il principio per cui il diniego deve essere congruamente motivato e le ragioni esposte nel diniego vincolano l’amministrazione che non potrà , nel giudizio avverso il diniego, introdurre nuove ragioni; coerentemente anche il giudizio contro il diniego ha natura di impugnazione e il giudice è vincolato ai motivi esposti dal ricorrente, non potendo annullare il diniego per motivi diversi; il caso esaminato da Cass. n. 16724/2010 rende però evidente il senso dei principi ora espressi: il diniego era motivato in base alla non condonabilità dell’atto e in giudizio l’amministrazione aveva invece eccepito l’ erronea detrazione, in sede di condono, di somme versate per altre imposte.
Nel caso di specie, invece, il diniego è chiaramente e univocamente formulato in base al mancato versamento di alcuna somma; quanto dedotto dall ‘ Agenzia, in sede di controricorso al ricorso contro il diniego, non costituisce un ‘integrazione postuma dell’atto bensì la difesa rispetto alle ragioni poste dal ricorrente, che aveva invocato di non dover versare nulla in base alla comunicazione di avvenuto sgravio della cartella, sgravio di cui la difesa erariale assume invece l ‘ irrilevanza.
Ciò premesso, l ‘art. 1 , comma 186, della legge n. 197/2022 prevede che le controversie in cui è parte l’Agenzia delle entrate possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l’atto introduttivo del giudizio o di chi vi è subentrato o ne ha la
legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia, valore che è stabilito ai sensi del comma 2 dell’art. 12 del d. lgs. n. 546/1992 e cioè al netto di sanzioni e interessi.
Il comma 194 prevede che la definizione agevolata si perfezioni con la presentazione della domanda di cui al comma 195 e con il pagamento degli importi dovuti o della prima rata entro il 30 settembre 2023, oppure della sola domanda, ove non vi siamo importi da versare.
Poi, il comma 196 prevede che dagli importi dovuti ai fini della definizione agevolata si scomputano quelli già versati a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio.
Il comma 191 prevede, infine, che la definizione a zero è altresì prevista in caso di sanzioni collegate al tributo qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione agevolata.
Dall’insieme di tali disposizioni appare evidente che occorre guardare, da un lato, al valore della controversia ancora effettivamente pendente, come determinatosi a seguito di circostanze (processuali o extraprocessuali) in grado di inci dere in via definitiva sull’oggetto della lite, e, dall’altro, che l’unico importo che possa essere scomputato da quanto dovuto è quello «versato» a qualsiasi titolo in pendenza di giudizio, salvo il caso di controversia su sanzioni collegate al tributo.
Tale interpretazione trova conferma nella circolare applicativa dell’Agenzia delle entrate, n. 6E del 2023, che ha precisato che ai fini della determinazione dell’effettivo valore della controversia vanno comunque esclusi gli importi di cui all’atto impugnato che eventualmente non formano oggetto della materia del contendere, come avviene, in particolare, in caso di contestazione parziale dell’atto impugnato, di formazione di un giudicato interno, di conciliazione o mediazione perfezionate, che non abbiano definito per intero la lite, ovvero in caso di parziale annullamento dell’atto a seguito di esercizio
del potere di autotutela da parte dell’ufficio, formalizzato tramite l’emissione di apposito provvedimento, cioè di situazioni che abbiano definitivamente inciso sull’oggetto della lite ( vedi per es. per la valenza del giudicato interno, Cass. n. 34706/2022).
Nel caso di specie, la domanda di definizione agevolata si riferisce a due avvisi di accertamento, impugnati a seguito dell ‘ acquisizione di un estratto ruolo, e tale è univocamente l’oggetto del processo.
Dai documenti di sgravio prodotti dalla difesa erariale emerge chiaramente che lo sgravio della cartella (cartella cui, occorre rilevare, si riferisce esplicitamente la comunicazione dell’Agenzia invocata dal contribuente) sia avvenuto in ragione della sentenza di primo grado favorevole al contribuente.
Ebbene, deve certamente escludersi che lo sgravio disposto in provvisoria esecuzione della sentenza di primo grado favorevole al contribuente prima della presentazione dell’appello, ai sensi dell’art. 68, comma 2, d.lgs. n. 546 del 1992, sia assimilabile all’annullamento in autotutela, in base alla costante giurisprudenza di questa Corte secondo cui esso non comporta acquiescenza alla sentenza, preclusiva quindi dell’impugnazione, trattandosi di comportamento che può essere fondato anche sulla mera volontà di evitare le eventuali ulteriori spese di precetto e dei successivi atti di esecuzione (Cass. n. 1963/2012; Cass. n. 24064/2012; Cass. n. 11769/2012; Cass. n. 21385/2012; principio ripreso di recente anche da Cass. n. 34539/2021; Cass. n. 18976/2019; Cass. n. 15182/2020; Cass. n. 9151/2023; Cass. n. 6533/2023; Cass. n. 32030/2023).
Del resto, se così fosse, in ogni ipotesi di contribuente vittorioso in primo grado, ove l’amministrazione abbia sgravato il ruolo in forza della sentenza ad essa sfavorevole, la parte potrebbe sempre procedere alla definizione agevolata a zero, il che sarebbe una conseguenza del tutto irragionevole e contraria alle stesse disposizioni che regolano l’importo
del quantum dovuto ai fini della definizione in ragione dei vari esiti processuali.
Il ricorso contro il diniego, il cui unico motivo è dato dalla violazione delle norme che regolano la somma da versare ai fini della definizione agevolata, deve quindi essere respinto e la causa va esaminata nel merito.
Passando all’esame del ricorso contro la sentenza della CTR, appare incontroverso che la causa abbia ad oggetto il ruolo e i carichi di cui si è avuta conoscenza attraverso l’acquisizione di un estratto ruolo.
Sul punto, come è noto, è intervenuto il legislatore, il quale, con l’art. 3bis del d.l. n. 146 del 2021, inserito in sede di conversione dalla l. n. 215 del 2021, novellando l’art. 12 del d.P.R. n. 602 del 1973, intitolato alla «Formazione e contenuto dei ruoli», in cui ha inserito il comma 4bis , successivamente modificato dall’art. 12, comma 1, d.lgs. 29/07/2024, n. 110, a decorrere dall’8 agosto 2024, ai sensi di quanto disposto dall’art. 19, comma 1, del medesimo d.lgs. n. 110/2024, ha stabilito non soltanto che «L’estratto di ruolo non è impugnabile», ma anche che «Il ruolo e la cartella di pagamento che si assume invalidamente notificata sono suscettibili di diretta impugnazione nei casi in cui il debitore che agisce in giudizio dimostri che dall’iscrizione a ruolo possa derivargli un pregiudizio: a) per effetto di quanto previsto dal codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 31 marzo 2023, n. 36; b) per la riscossione di somme allo stesso dovute dai soggetti pubblici di cui all’articolo 1, comma 1, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 18 gennaio 2008, n. 40, anche per effetto delle verifiche di cui all’articolo 48-bis del presente decreto; c) per la perdita di un beneficio nei rapporti con una pubblica amministrazione; d) nell’ambito delle procedure previste dal codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di
cui al decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14; e) in relazione ad operazioni di finanziamento da parte di soggetti autorizzati; f) nell’ambito della cessione dell’azienda, tenuto conto di quanto previsto dall’articolo 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472».
Questa Corte (Cass., Sez. U., n. 26283/2022) ha recentemente affermato, ex art. 363 cod. proc. civ., i seguenti principi di diritto:
in tema di riscossione a mezzo ruolo, l’art. 3bis del d.l. 21/10/2021, n. 146, inserito in sede di conversione dalla l. 17/12/2021, n. 215, col quale, novellando l’art. 12 del d.P.R. 29/09/1973, n. 602, è stato inserito il comma 4bis , si applica ai processi pendenti, poiché specifica, concretizzandolo, l’interesse alla tutela immediata a fronte del ruolo e/o della cartella non notificata o invalidamente notificata; sono manifestamente infondate le questioni di legittimità costituzionale della norma, in riferimento agli artt. 3, 24, 101, 104, 113, 117 Cost., quest’ultimo con riguardo all’art. 6 della CEDU e all’art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 della Convenzione;
in tema di impugnazione dell’estratto di ruolo, l’art. 12, comma 4bis , del d.P.R. n. 602 del 1973 (introdotto dall’art. 3bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito dalla l. n. 215 del 2021), selezionando specifici casi in cui l’invalida notificazione ingenera di per sé il bisogno di tutela giurisdizionale, ha plasmato l’interesse ad agire, condizione dell’azione avente natura dinamica che, come tale, può assumere una diversa configurazione, anche per norma sopravvenuta, fino al momento della decisione; la citata disposizione, dunque, incide sulla pronuncia della sentenza e si applica anche nei processi pendenti, nei quali lo specifico interesse ad agire deve essere dimostrato, nelle fasi di merito, attraverso il tempestivo ricorso alla rimessione nei termini (istituto applicabile anche al processo tributario), nel grado di legittimità, mediante deposito di documentazione ex art. 372 cod. proc. civ. o fino all’udienza di discussione (prima dell’inizio della relazione) o
fino all’adunanza camerale oppure, qualora occorrano accertamenti di fatto, nel giudizio di rinvio.
A tale arresto hanno fatto seguito tra le tante: Cass. nn. 3400 e 3425 del 2023; Cass. nn. 8330, 8374 e 8377 del 2023; Cass. n. 9765/2023 e Corte Cost. n. 190 del 2023 ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 12, comma 4 -bis , del d.P.R. n. 602 del 1973, come modificato dall’art. 3 -bis del d.l. n. 146 del 2021, come convertito.
Nel caso di specie la ricorrenza di uno degli elementi specificativi dell’interesse ad agire non risulta dagli atti né alcunché ha dedotto il ricorrente.
Deve altresì escludersi la presenza di un giudicato interno derivante dalla statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, presente in atti, relativa all’ammissibilità della impugnazione ai sensi di Cass. 19704/2015, in considerazione del successivo appello presentato dall’ufficio che contestava il presupposto della tutela recuperatoria, cioè la invalidità della notifica, alla cui cognizione si è fermata la CTR; per fermo orientamento della Corte, il giudicato interno non si determina sul fatto ma su una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza rappresentata da fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia, sicché l’impugnazione motivata con riguardo ad uno soltanto degli elementi di quella statuizione riapre la cognizione sull’intera questione che essa identifica, così espandendo nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene ad essa coessenziali, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame (Cass. n. 30728/2022; Cass. n. 24783/2018 e per fattispecie in parte analoga Cass. n. 21007/2024).
Pertanto, decidendo sul ricorso, la sentenza va cassata senza rinvio, dichiarando inammissibile il ricorso originario.
Concludendo, il decreto di estinzione va pertanto revocato, il ricorso contro il diniego va respinto, con conseguente esame nel merito del ricorso, nel quale la sentenza va cassata senza rinvio, pronunciando l ‘ inammissibilità del ricorso originario.
In relazione al ricorso contro la sentenza della CTR, il sopravvenuto intervenuto normativo e della suindicata sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione giustificano l’integrale compensazione delle spese dell’intero giudizio. Trattandosi di causa sopravvenuta di inammissibilità relativa all’originario ricorso non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater d.P.R. n. 115 del 2002 ( Cass. n. 36336/2023; Cass. n. 27227/2023; Cass. n. 28330/2023).
Le spese del ricorso successivo contro il diniego seguono invece la soccombenza; ed in relazione a tale ricorso successivo contro il diniego occorre, a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, d are atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte revoca il decreto di estinzione n. 6474 depositato in data 12/03/2024; rigetta il ricorso contro i dinieghi notificati al contribuente in data 23/04/2024 e condanna NOME COGNOME al pagamento delle spese in favore dell’Agenzia delle entrate, in relazione al ricorso successivo, spese che liquida in euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito;
decidendo sul ricorso, cassa senza rinvio la sentenza impugnata e dichiara inammissibile il ricorso originario del contribuente; compensa le spese dei gradi di merito e di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente successivo contro il diniego , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 29 novembre 2024.