Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 5 Num. 10053 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 5 Num. 10053 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10126/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del direttore pro tempore , rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliato in Roma INDIRIZZO
-ricorrente- contro
RAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE -intimati- per la cassazione della sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania n. 576/2023, depositata il 17 gennaio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
-Con avviso di rettifica n. 608636/2001, l’Agenzia delle entrate accertava a carico della società contribuente RAGIONE_SOCIALE una maggiore imposta IVA per l’anno 1996, per euro 308.335,10, con applicazione di sanzioni per euro 385.419,00.
La società ricorreva avverso l’avviso di rettifica.
In pendenza del giudizio, l’Agenzia fiscale provvedeva alla iscrizione a ruolo, riportato nella cartella di pagamento n. 071 2002 0088380737, della sola maggiore imposta accertata per euro 308.335,10 (lire 597.020,000) oltre interessi. La società, al fine di evitare di essere sottoposta a procedure esecutive, effettuava il pagamento della somma a titolo di imposta, oltre interessi di mora e compensi esattoriali, per complessivi euro 604.836,34.
Il ricorso avverso l’avviso di rettifica veniva dichiarato inammissibile dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza 323/09/2003.
Sull’appello della società , la Commissione tributaria regionale di Napoli, con sentenza 90/51/2009, depositata in data 22 maggio 2009, rigettava il gravame.
Avverso detta pronuncia, fu proposto ricorso per cassazione.
A seguito della sentenza di appello, l’Agenzia, che aveva già riscosso l’intero ammontare dell’IVA accertata, ai sensi dell’art.68 del d.lgs. 472/97, iscrisse a ruolo, in data 29 ottobre 2009, in via provvisoria, le sole sanzioni irrogate con il predetto avviso d rettifica n.608636/2001 per euro 385.418,87, riportate nella cartella di pagamento n. 071/20092259662240/00.
A seguito del rilascio di un ‘estratto di ruolo’, in data 29 marzo 2010, la sRAGIONE_SOCIALE venne a conoscenza di tale iscrizione a ruolo che impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Napoli per sentirne dichiarare la sua nullità per
inesistenza della notificazione ai sensi dell’art. 19 co. 3 d.lgs. 546/92, in relazione all’art. 26 d.P.R. 602/73.
Si sono così venuti a creare due distinti procedimenti: uno avverso l’avviso di rettifica IVA, l’altro avverso l’iscrizione a ruolo delle sanzioni collegate.
Il primo giudizio si concluse con la sentenza della Cassazione del 30 marzo 2016 n. 6090 che dichiarò l’inammissibilità del ricorso della contribuente.
Nel secondo, invece, la Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 597/12/2012 del 20 settembre 2012, accolse il ricorso, ritenuta l ‘ inesistenza della notificazione della cartella di pagamento. Detta sentenza fu riformata in appello con sentenza della Commissione tributaria regionale Campania n. 4217/28/2015 del 7 maggio 2015.
Avverso detta pronuncia fu proposto ricorso per cassazione (RG n. 29405/2015).
In pendenza della controversia relativa alla cartella di pagamento n. 071/2009/02259662240/00, intervenivano le disposizioni agevolative per la definizione delle controversie tributarie di cui al d.l. 23 ottobre 2018 n. 119, art. 6.
Sulla base di tale normativa, la società -risultando definito il rapporto relativo ai tributi, attraverso il pagamento dell’imposta IVA per l’anno 1996 avvenuto in data 24 luglio 2008, in epoca antecedente alla pronuncia della Suprema Corte del 2016 col quale si era concluso il giudizio, e ritenendo che le sanzioni contenute nella cartella di pagamento n. 071 2009 02259662240 00 fossero collegate a tale tributo, essendo state irrog ate per l’omesso versamento dell’Iva anno 1996 richiesta con l’avviso in rettifica presentava domanda di definizione agevolata, ritenendo di non dover versare alcun importo per la definizione.
Con atto di diniego della definizione agevolata della controversia tributaria -prot. 0080599 del 13.7.2020, notificato il 27 luglio 2020, l’Agenzia delle entrate , ai sensi dell’art. 6, co. 12, D.L. 23.10.2018 n.119, conv. in legge 17.12.2018 n. 136, rigettava la domanda volta ad ottenere la definizione della controversia, pendente innanzi alla Corte di cassazione (R.G. n. 29405/2015).
Con ricorso, notificato in data 26.10.2020 e depositato presso la Commissione tributaria provinciale di Napoli il 6 novembre 2020 (R.G.R. n. 10443/2020), la società impugnava il diniego.
L’Ufficio delle entrate si costituiva in giudizio, evidenziando che la mera impugnazione della Cartella di pagamento n. 071 2009 NUMERO_CARTA non rendeva di per sé ‘definibile’ la lite che atteneva a un atto di mera riscossione, come tale non soggetto a definizione agevolata.
La Commissione tributaria provinciale di Napoli, con sentenza n. 13742/12/2021, depositata il 15 dicembre 2021, rigettava il ricorso.
-Avverso tale sentenza, proponevano appello la società e il socio NOME COGNOME
L’Agenzia delle entrate si costituiva in giudizio, ribadendo le difese di prime cure.
La Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Campania, Sez. n. 13, con la sentenza n. 576/13/2023, depositata il 17 gennaio 2023, accoglieva l’appello, compensando le spese .
-L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
I contribuenti non hanno svolto attività difensiva.
-Il ricorso è stato avviato alla trattazione camerale ai sensi dell’art. 380bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6, commi 1 e 3, d.l. n. 119/2018, in relazione al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. L’articolo 6 del d.l. limita la definizione agevolata alle controversie inerenti agli atti impositivi, di talché sono esclusi dal suo ambito di applicazione i giudizi riguardanti gli atti di mera riscossione, quali ruoli, cartelle di pagamento e avvisi di liquidazione. Il Collegio di seconde cure, riformando la sentenza di primo grado, avrebbe illegittimamente qualificato la Cartella di pagamento n. NUMERO_CARTA quale atto impositivo e non come atto di mera riscossione. Come chiarito nei documenti di prassi dell’Agenzia delle entrate (cfr. Circolare n. 6/E del 1° aprile 2019, par. 2.3.4), gli atti di mera riscossione non rientrano nel novero degli atti impositivi e, pertanto, « in linea generale, non sono definibili le controversie aventi ad oggetto i ruoli per imposte e ritenute che, sebbene indicate dai contribuenti e dai sostituti d’imposta nelle dichiarazioni presentate, risultano non versate ». A sostegno di tali di costruzione viene richiamata la sentenza 25 giugno 2021, n. 18298, con cui le Sezioni unite hanno composto un contrasto di giurisprudenza, includendo solo le controversie concernenti l’impugnazione dell’iscrizione a ruolo effettuata all’esito del controllo automatizzato ex artt. 36 -bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633/72 tra quelle definibili in forma agevolata. Nel caso concreto, non vi sarebbe dubbio che la Cartella di pagamento n. 071 2009 02259662240 00, emessa, ex 68 del d.lgs. n. 546/92 richiamato dall’articolo 19 del d.lgs. n. 472/97, in esecuzione della Commissione tributaria regionale n. 90/51/2009, con cui l’Ufficio iscriveva a ruolo le sanzioni derivanti dall’Avviso di rettifica, non poteva che ritenersi att o di mera riscossione. Il fatto che la cartella di pagamento n. 071 2009 02259662240 00 fosse stata impugnata non renderebbe
‘definibile’ la lite. La decisione sarebbe, altresì, errata laddove ha ritenuto che, essendo stato definito il rapporto relativo al tributo (in pendenza del giudizio avverso l’avviso di rettifica, l’Ufficio provvedeva alla iscrizione a ruolo, riportata nella Cartella di pagamento n. NUMERO_DOCUMENTO, anche della sola maggiore imposta accertata per euro 308.335,10, oltre interessi e la società, al fine di scongiurare azioni esecutive, aveva effettuato il pagamento della suindicata somma a titolo di imposta, oltre interessi di mora e compensi esattoriali), doveva essere consentito al contribuente di accedere alla definizione agevolata in base all’articolo 6, comma 3, del D.L. n. 119/2018. Una corretta interpretazione dell’articolo 6, comma 3, del D.L. n. 119/2018, il quale esordisce affermando “in caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate al tributo’, consente di perimetrare l’applicazione della norma ai soli casi in cui la controversia, alla cui definizione si tende, riguardi l’ap plicazione delle sanzioni. Nel caso di specie, la controversia che la resistente intendeva definire non atteneva al merito delle “sanzioni’, bensì alla cartella di pagamento, emessa a seguito di sentenza della Commissione tributaria regionale il cui oggetto era l’opposizione all’avviso di rettifica.
1.1. -Il motivo è infondato.
L’articolo 6 del decreto -legge 23 ottobre 2018, n. 119, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2018, n. 136 ha introdotto la definizione agevolata delle controversie tributarie ‘in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio’. Il comma 1 dell’articolo 6 prescrive che la definizione agevolata attiene alle controversie pendenti aventi ad oggetto atti impositivi, vale a dire avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni, atti di recupero dei crediti di imposta indebitamente utilizzati e ogni altro
atto di imposizione che rechi una pretesa tributaria quantificata. Dal momento che l’articolo 6 limita la definizione agevolata alle controversie inerenti agli atti impositivi, sono esclusi dal suo ambito di applicazione i giudizi riguardanti gli atti di mera riscossione. L’articolo 6 , comma 3, del d.l. 119/2018, dispone che : ‘in caso di controversia relativa esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, per la definizione non è dovuto alcun importo relativo alle sanzioni qualora il rapporto relativo ai tributi sia stato definito anche con modalità diverse dalla presente definizione’.
Secondo l’insegnamento di questa S.C., in tema di definizione agevolata, in caso di controversie tributarie relative esclusivamente alle sanzioni collegate ai tributi cui si riferiscono, tenuto conto dell’univoco tenore letterale dell’art. 6, comma 3, d.l. n. 119 del 2018, conv., con modif., in l. n. 136 del 2018 (sulla cd. “rottamazione-ter”), la “definizione a zero” della sanzione postula che il rapporto relativo al tributo sia stato “definito”, e cioè che sia stato risolto mediante l’estinzione dell’obbligazione tributaria (principale) secondo le diverse modalità previste dalle norme di diritto civile e tributario (annullamento dell’atto impositivo, conciliazione giudiziale o stragiudiziale, definizione agevolata, pagamento del tributo, ecc.) (Cass., Sez. V, 22 novembre 2021, n. 36037).
Nel caso che ci occupa si verte in tema di sanzioni collegate al tributo, che nella specie è stato pagato, e, dunque, il contribuente poteva accedere alla definizione agevolata per le sanzioni.
La questione posta con l’impugnazione del diniego di definizione agevolata ha trovato soluzione nella sentenza di questa Corte n. 18298 del 25 giugno 2021, a Sezioni Unite, secondo cui, in tema di definizione agevolata, anche il giudizio avente ad oggetto l’impugnazione della cartella emessa in sede di controllo
automatizzato ex art. 36-bis del d.P.R. n. 600 del 1973, con la quale l’Amministrazione finanziaria liquida le imposte calcolate sui dati forniti dallo stesso contribuente, dà origine a una controversia suscettibile di definizione ai sensi dell’art. 6 del d.l. n. 119 del 2018, conv. dalla l. n. 136 del 2018, qualora la predetta cartella costituisca il primo ed unico atto col quale la pretesa fiscale è comunicata al contribuente, essendo come tale impugnabile, ex art. 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva (in senso conforme, da ultimo, Cass., Sez. V, 27 agosto 2024, n. 23183). Nel caso in questione, il merito non poteva essere più messo in discussione avendo la Corte di cassazione definito la vicenda.
-Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c. n. 4 e dell’art. 36 n. 4 del d.lgs. 546/92, in relazione al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. Parte ricorrente eccepisce la nullità della sentenza che recherebbe una motivazione appiattita sulle difese della società appellante e, dunque, meramente apparente, inidonea a rendere percepibile la ratio decidendi .
2.1. -Il motivo è infondato.
In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa
e obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass., Sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090).
Nel caso di specie non sussiste nessuna motivazione apparente, né una lesione del minimo costituzionale, avendo la pronuncia impugnata chiaramente evidenziato che la controversia aveva ad oggetto le sanzioni irrogate con l’atto originario , ovverosia l’avviso di rettifica.
3. -Il ricorso va dunque rigettato.
Non si deve provvedere sulle spese stante la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; nulla spese.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione